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(Da: La Discussione 22/11/2005)

A proposito della presunta ingerenza della gerarchia ecclesiastica nella vita pubblica dello stato mi torna alla mente il pensiero di Laboulaye, che nel 1865 scriveva: “i palazzi dei Papi hanno sostituito i palazzi dei Cesari, il Vaticano rappresenta la potenza della Chiesa; ma sotto a quello splendido edificio vi sono le catacombe che rappresentano la libertà”.
Innegabilmente la fiamma della libertà, come oggi la intendiamo, fu accesa dai martiri cristiani, che con il loro coraggio infransero il dispotismo romano in nome della loro religione e conquistarono il diritto dell’anima individuale, emblema delle moderne libertà.
La Chiesa cristiana occidentale ha rappresentato un insuperato contrappeso allo Stato, del quale è sempre stata rivale. Senza questa contrapposizione non si potrebbe nemmeno immaginare il concetto stesso di libertà europea e dell’occidente stesso in genere. La dove, come a Bisanzio e in Russia, le chiese d’oriente si fusero con il potere laico generarono un tetro dispotismo civile e religioso e un esagerato potere statale che gettò le basi per i futuri stati totalitari di ispirazione marxista. Dal canto suo il Luteranesimo fu così devoto allo Stato e inetto ad esercitare questa funzione di contrappeso da divenire strumento dell’assolutismo germanico che portò, attraverso Bismarck e Treitschke, fino alla folle avventura di Hitler.
Guglielmo Ferrero ebbe a sostenere che l’azione rivoluzionaria del Cristianesimo fu di frantumare lo spirito faraonico del vecchio Stato.
Molto delle radici della storia economica e sociale dell’occidente possono essere trovate nei principi espressi dalle encicliche promulgate fino dall’inizio dell’era industriale per meglio chiarire la Dottrina Sociale della Chiesa, sulle cui basi si è formata tanta parte della stessa cultura occidentale. Questi principi, mi pare, non sono mai stati espressi con la pretesa di imporre rigide regole per la gestione dello Stato, della società e dell’economia, e forse si sono limitati essenzialmente a ricordare quel passo del Vangelo che dice: “che giova egli all’uomo, se guadagna tutto il mondo, e fa perdita dell’anima sua?”.
Senza rappresentare una ingerenza nella vita dello Stato, la Santa Sede non ha mai smesso di sottolineare che una economia priva di senso morale ed etico può trasformarsi in un mezzo di oppressione persino peggiore di una dittatura. Le encicliche Rerum Novarum e Mater et Magistra rappresentano due capisaldi della dottrina sociale. In particolare quest’ultima spostò il centro delle riflessioni dalla questione operaia alla possibilità di garantire la dignità dell’uomo, la sua personalità, la famiglia, libertà e giustizia, senza pregiudicare il progresso materiale, da un lato rifiutando il socialismo, dall’altra proponendo una economia di mercato che tuteli la dignità e il valore dell’uomo.
La Mater et Magistra sottolinea come il mercato e la concorrenza necessitino di limitazioni e regolazioni tali da scongiurare le degenerazioni monopolistiche e la spietatezza dei rinascenti sistemi neoliberisti, che subdolamente cercavano di rinascere, sviluppandosi tra le smagliature del neoliberalismo. Di grande lungimiranza risulta la critica a certi eccessi dello stato assistenziale moderno e al centralismo statale, contro i cui rischi di degenerazione venne proposto il principio di sussidiarietà, che di fatto coincide con la filosofia del federalismo e pone l’uomo e la famiglia al centro e alla base dell’agire economico.
L’enciclica precorse i tempi anche nell’affrontare il tema delle imprese possedute dallo stato e dagli enti, sottolineandone il carattere di eccezionalità e la necessità di disporre dei funzionari adatti a gestirle, dotati di onestà e senso di responsabilità nazionale. Ancora perplessità venivano espresse a proposito della grande proprietà industriale che troppo spesso riduceva gli operai a semplici venditori della capacità lavorativa, negando loro il rispetto.
In questa linea di ragionamento si è inserita la Centesimus Annus, che mi piace ricordare i sintesi nel passo in cui Giovanni Paolo II sostiene che la sconfitta del socialismo reale non può lasciare il capitalismo come unico modello di organizzazione economica, l’uomo non è solo un produttore/consumatore di beni, ma un essere che produce e consuma per vivere.
Forse alcuni considerano una ingerenza nella vita dello stato il monito a “provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi del mercato o l’esortazione ad inquadrare in un solido contesto giuridico le libertà economiche perché restino al servizio delle libertà umane. Io non riesco a non rispettare il messaggio del magistero della Chiesa e a non farne tesoro, nemmeno dalla mia posizione di cristiano convinto della necessità della laicità dello Stato.

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