CISL
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Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori

 
Il 30 aprile 1950, in una Assemblea generale a Roma, le organizzazioni sindacali di categoria aderenti alla Libera CGIL, alla FIL (Federazione Italiana dei Lavoratori) e all’UFAIL (Unione federazioni autonome italiane lavoratori) proclamavano la costituzione della CISL (Confederazione italiana dei sindacati dei lavoratori) approvando all’unanimità un documento fondamentale in cui si richiamano le ragioni che avevano portato a quella decisione, si proclamano i diritti fondamentali dei lavoratori e si illustrano gli obiettivi da raggiungere.
Nel successivo primo congresso della Cisl, nel novembre del 1951, tale documento sarà inserito a titolo permanente nel suo statuto col nome di “Preambolo” e costituisce tutt’oggi il suo manifesto politico. La fondazione della CISL fu tenacemente perseguita da Giulio Pastore, primo Segretario generale della CISL, ex segretario generale della Libera Cgil: un ex operaio tessile, fin da giovane impegnato nelle lotte del sindacalismo “bianco” sotto la guida di Achille Grandi, finito più volte in prigione durante il Ventennio per il suo intransigente antifascismo, che aveva partecipato poi attivamente alla Resistenza e quindi, nel 1945, alla fondazione delle ACLI e della CGIL unitaria.

Egli era in Italia un acceso fautore di un nuovo tipo di sindacalismo, libero e indipendente, non confessionale e democratico, da contrapporre al tradizionale sindacalismo politico della CGIL, nell’obiettivo di raccogliere la maggioranza dei lavoratori italiani sotto le bandiere di un sindacato forte e combattivo, profondamente legato alle moderne democrazie occidentali.
La scelta di Pastore e degli altri sindacalisti veniva appoggiata dalle ACLI che, nel loro congresso nazionale del settembre 1948, si pronunciavano per un nuovo sindacalismo libero e democratico. La Libera CGIL era nata il 16 ottobre del 1948, durante un’assemblea generale a Roma di tutti i sindacati di categoria, fondati dai lavoratori già aderenti alla Corrente Sindacale Cristiana ed usciti dalla CGIL unitaria dopo lo sciopero politico proclamato il 14 luglio dalla maggioranza comunista e socialista per chiedere le “dimissioni del governo complice”, a loro dire, dell’attentato a Palmiro Togliatti, Segretario del PCI.
Questo episodio, vissuto dalla minoranza cristiana come l’ennesima ingerenza politica contro l’autonomia sindacale, rappresentava la fine , dopo 3 anni di esaltante ma travagliata convivenza, della prima ed unica esperienza sindacale unitaria della storia italiana. La rottura, che aveva profonde ragioni nella concezione stessa dell’azione sindacale e dei suoi strumenti, fu favorita ed esasperata però dal clima di “guerra fredda” che allora cominciava a segnare la vita sociale e politica del nostro paese.
Nella primavera del 1949 anche le correnti socialdemocratica e repubblicana uscivano dalla CGIL unitaria con motivazioni analoghe alla Corrente Sindacale Cristiana e fondavano la FIL. La maggioranza del gruppo dirigente della FIL confluiva successivamente nella CISL mentre la minoranza, sostenuta dal partito Repubblicano e da ampi settori del PSDI perseguiva l’obiettivo di una terza confederazione sindacale concretizzandolo nel marzo del 1950 con la nascita della UIL, un’organizzazione che, dopo un inizio incerto, raccolse a fine anni ’50 gran parte degli ex iscritti della FIL.
Nonostante la nettezza della scelta, nella Libera CGIL, nella CISL, ma soprattutto nelle ACLI e nel mondo cattolico restavano ancora incertezze attorno all’identità del nuovo sindacato: se confessionale e quindi cristiano, come chiedeva Rapelli, o indipendente e democratico come voleva Pastore. Non a caso Pastore figurerà tra i promotori, nel dicembre del 1949, della Cisl Internazionale, l’attuale centrale internazionale dei sindacati democratici di tutto il mondo, evitando di entrare nella CISC, oggi CMT, l’internazionale dei sindacati cristiani, fondata nel 1919 e a cui i sindacalisti “bianchi” italiani avevano tradizionalmente aderito.
La CISL nasceva quindi raccogliendo il contributo di una tradizione assieme cattolica e laica e quindi come esperienza sindacale originale e “non confessionale”, ispirata al nuovo unionismo anglosassone, emerso soprattutto in Usa dopo la Crisi del 1929 e durante il New Deal, pur reinterpretato in una realtà economico sociale e culturale profondamente diversa, qual’era quella italiana del secondo dopoguerra. Artefice primo di tale innovativa rilettura dei nuovi compiti del sindacalismo democratico nelle società avanzate, fu in primo luogo Mario Romani, giovane professore di storia economica dell’Università Cattolica di Milano, responsabile del settore Studi e Formazione della CISL per quasi un ventennio: la linea sindacale della CISL rappresentava infatti una novità radicale per il nostro paese e pertanto essa faticò molto, nei primi anni, ad essere assimilata nell’arretrata realtà sociale ed economica italiana, a cominciare dal mondo del lavoro e dagli stessi quadri sindacali, anche della CISL.
Ciò comporterà un lungo periodo di gestazione, perché quelle idee trovino una significativa affermazione nella coscienza dei lavoratori e degli stessi iscritti, contribuendo soprattutto a superare la diffusa convinzione secondo la quale l’azione sindacale sia inferiore, quando non semplicemente subordinata, a quella politica ed istituzionale. Il nuovo modello proposto dalla CISL è infatti il primo nel nostro Paese ad individuare nel metodo sindacale un’azione ed un insieme di strumenti che possono ottenere, meglio di altri, risultati importanti e cumulabili per i lavoratori.
Al centro di questa concezione, già nei documenti costitutivi della CISL, c’è infatti l’idea dell’autonomia del sindacato, fondata sulla libera associazione dei lavoratori e intesa come capacità di autogoverno della propria rappresentanza e della propria linea d’azione, evitando regolamentazioni di legge e condizionamenti politici o comunque extra sindacali, pur considerando fondamentale coniugare gli interessi dei lavoratori con le esigenze di solidarietà e di sviluppo generale del Paese.
La preferenza riservata all’azione contrattuale rispetto alla tutela legislativa, la partecipazione dei lavoratori, al pari degli altri soggetti sociali, alla gestione dell’impresa e all’elaborazione della politica economica del Paese, la ricerca della presenza sindacale all’interno dei luoghi di lavoro, il legame tra azione sindacale e sviluppo produttivo, costituiscono le altre idee di fondo del “sindacato nuovo”.
Queste idee, unite alla convinzione della superiorità della democrazia ai regimi totalitari, di destra o di sinistra che fossero, della valutazione del tutto positiva, e forse un po’ troppo ottimistica, degli effetti sociali provocati dallo sviluppo dell’industrializzazione, del sindacato come fattore importante di modernizzazione, costituiscono la concezione di cui la CISL si farà portatrice dentro l’esperienza sindacale in Italia.
Bibliografia:
  • G. Tarello, La CISL degli anni ’50 e le ideologie giuridiche dominanti, in Dottrine giuridiche e ideologie sindacali, Milano, 1973;
  • G. Baglioni, Il tema della partecipazione nella storia della CISL, in Analisi della CISL, Roma, 1980;
  • V. Saba, La nascita della CISL, 1948 – 1951, Roma, 1990;