Considerazioni sul Quarto Rapporto curato dal Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali
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Il Quarto Rapporto curato dal Centro Studi e Ricerche di “Itinerari Previdenziali”, presentato recentemente alla Camera dei Deputati e avente come oggetto “Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2015”, fornisce una serie di informazioni e dati di sicuro valore che ci aiutano a capire la situazione reale del welfare in Italia.

Con estrema chiarezza e in modo critico, esso delinea il quadro della previdenza in Italia, vista nella complessità delle varie Gestioni in cui si compone l’INPS, abbracciando anche altri Fondi o Casse previdenziali pubbliche e private, ma svolge le sue considerazioni anche su altre istanze del sistema welfare finora considerate sempre a parte, quali l’assicurazione infortuni, le prestazioni a sostegno del reddito, il sistema sanitario, l’assistenza sociale, il welfare locale.

Grazie a questa visione complessiva si possono fare alcune considerazioni originali che dovrebbero essere tenute in debito conto dai politici e dai legislatori e che sfatano alcuni luoghi comuni, quali ad esempio che il bilancio del sistema previdenziale è negativo e che l’Italia spende meno degli altri Paesi europei per il welfare.

Infatti, a differenza di quanto spesso si afferma la spesa per prestazioni sociali nel 2015, sommando tutte le sue componenti, ammonta a 447,396 miliardi di euro e incide per il 54,13% sull’intera spesa statale, comprensiva degli interessi sul debito pubblico, assorbendo il 27,34% del PIL. Aggiungendo a questa percentuale le altre funzioni sociali quali la casa, l’esclusione sociale, la famiglia e le spese di funzionamento degli enti che gestiscono le varie funzioni di welfare, la spesa sociale arriva al 30%, uno dei livelli più elevati dell’Europa a 27 Paesi e al 6° posto tra i Paesi OCSE.

Per finanziare la spesa complessiva per welfare relativa all’anno 2014 – che è stata pari a 444,507 miliardi – sono occorsi, oltre a tutti i contributi sociali per pensioni e prestazioni temporanee, i premi versati all’INAIL, tutta l’Irpef, l’Ires, l’Irap e il 36% dell’Isos (Imposta Sostitutiva). In pratica tutte le imposte dirette, per cui il resto della spesa pubblica è finanziato dalle sole imposte indirette.

Tale rappresentazione della reale portata del Welfare in Italia, attraverso la riclassificazione fatta dal Rapporto, dovrebbe essere comunicata alla Commissione Europea e all’OCSE, i quali spesso mettono sotto osservazione l’Italia per lo scarso impiego di risorse in questo o quel campo del Welfare.

Il Presidente del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, evidenzia che “si tratta di un onere difficilmente sostenibile in futuro, che già ora limita gli investimenti pubblici in tecnologia, ricerca e sviluppo, unica via per garantire la competitività del Paese e un futuro più favorevole per le giovani generazioni già gravate da un abnorme debito pubblico“.

Secondo il Rapporto una parte consistente del debito pubblico in Italia è causata dai disavanzi previdenziali del passato e soprattutto dall’eccessiva spesa per il welfare assistenziale. In 36 anni è stato accumulato un debito in moneta corrente di 1.000,087 miliardi di euro pari al 45% dell’attuale debito pubblico complessivo. 

Considerato che, come abbiamo visto, lo squilibrio non sta nel sistema previdenziale, il quale, escludendo le spese assistenziali, è finanche in surplus nella differenza tra contributi e prestazioni, il problema risiede nella spesa assistenziale, ed è su questa che il legislatore dovrebbe intervenire, non solo per ricondurla in ambiti più compatibili con la finanza pubblica, ma soprattutto per eliminare le gigantesche incongruenze ed ingiustizie di cui il Welfare pubblico è permeato

In considerazione di ciò la spesa sociale cresce molto più rapidamente di quella pubblica totale e del PIL, trascinata soprattutto dalla spesa per assistenza che, a differenza di quella pensionistica, non ha regole precise, un monitoraggio efficace e spesso non ha strumenti di controllo, o meglio che non si vogliono applicare.

L’innalzamento dell’età media non supportata da un numero di unità forza lavoro proporzionale ha provocato squilibrio contributivo/pensionistico ancor più accentuata dalla crisi che ha avuto un risvolto negativo sull’occupazione e di conseguenza sul PIL della nostra nazione. Tale situazione potrà avere un’inversione di tendenza se supportata da politiche economiche sociali atte a favorire la ripresa del lavoro con abbassamento del costo dello stesso, dando ai lavoratori una cifra disponibile maggiore e tagliando all’impresa i costo contributivo, in tal caso si genera un circuito dove aumentando i consumi delle famiglie ne trarrebbe giovamento l’economia intera. Certo qualcuno obietterà che cosi tornerebbe a volare l’inflazione, ma se essa fosse monitorata e gestita con politiche appropriate un suo valore entro il 2% sarebbe da volano per la ripresa del Paese.