Democrazia Cristiana e Socialismo
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L’articolo che tratta questo importante tema appare sul “Granellino” del 1 dicembre 1901 ed è firmato da “Demofilo”.
Dietro questo pseudonimo è facile scorgere la penna di Rizzo anche se non se ne può avere l’assoluta certezza. Ci sentiamo di fare questa affermazione perché se guardiamo all’etimo della parola Demofilo, composta da “demos” che vuol dire popolo e da “filos” che vuol dire amico, ci rendiamo conto che questo appellativo ben si adegua a Giuseppe Rizzo, sempre sollecito e attento nei confronti del popolo da lui tanto amico. A questo punto è doverosa una precisazione sul termine “democrazia cristiana”.
L’uso della parola che qui viene fatto risente certamente dell’interpretazione che ne era stata da Valente e Murri al Congresso Cattolico di Milano del 1897, dove era emerso che la democrazia cristiana non si poneva sul piano della democrazia politico-parlamentare. De Rosa precisa che “nell’assunzione del termine -democrazia cristiana- da parte dei giovani cattolici, in luogo dell’altro tradizionale di -movimento cattolico sociale- o – movimento economico cristiano- era già indicata la preferenza di un metodo che segnò immediatamente una distinzione ben netta tra il vecchio gruppo intransigente, che fino ad allora aveva controllato l’Opera con tutte le sue attività sociali e coloro che si dichiaravano democratici cristiani“. Ancor più avvertita è l’influenza dell’enciclica di Leone XIII “Graves de Communi” del 18 gennaio 1901. Con questa enciclica si vuol porre fine alle polemiche che divampavano tra intransigenti e democratici cristiani (guidati da Murri) circa il senso da attribuire al termine. Candeloro dà una valenza paternalistica e conservatrice all’enciclica. Ad ogni modo Leone 13, dopo aver affermato che la democrazia cristiana non deve avere nulla di comune con la “democrazia sociale“, dice: “… Non sia poi lecito di dare un senso politico alla democrazia cristiana. Perché, sebbene la parola democrazia, chi guardi all’etimologia e all’uso dei filosofi, serva ad indicare una forma di governo popolare, tuttavia nel caso nostro, smesso ogni senso politico, non deve significare se non una benefica azione cristiana a favore del popolo“.
I precetti del Vangelo, aggiunge quindi Leone XIII, sono indipendenti dalle forme di governo e al di fuori dei partiti, perciò “l’intendimento e l’azione dei cattolici che mirano a promuovere il bene dei proletari, non deve punto proporsi di preferire e preparar con ciò una forma di governo invece di un’ altra“. Quindi il termine “democrazia cristiana”, oltre a contrassegnare la nuova corrente cattolica progressista sorta in seno all’ Opera dei Congressi stava anche a designare un metodo ben preciso di azione nel sociale. E di questo nuovo metodo Giuseppe Rizzo fu consapevole. Fatta questa doverosa precisazione passiamo ad esaminare i punti salienti dell’ articolo apparso sul “Granellino” e per noi tanto prezioso per la comprensione dello spirito che animava i cattolici alcamesi. L’ autore ha piena coscienza della “questione” sociale che si agitava in quei giorni. Scioperi, agitazioni popolari, improvvisi fallimenti di banche (chiaro riferimento alla Banca Segestana e alla Banca Cooperativa, n.d.a.) e casse commerciali si susseguono infiammando ancor più gli animi popolari esacerbati dallo sfruttamento e dalla miseria. Viene riconosciuto che “il lavoro manuale che per molto tempo è stato con abilità pari all’ ingiustizia sfruttato da ingordi capitalisti, oggi opera una giusta rivendicazione“. Naturale quindi che i lavoratori si uniscano tra di loro per conquistare i propri diritti. Questi diritti secondo l’autore sono: “Prima di tutto la riabilitazione morale di fronte alla società, sollevandosi da quello stato di abiezione nel quale lo pose il disprezzo e l’oppressione dei grandi, i quali (salvo eccezioni) sono usi riguardare i piccoli come esseri appartenenti ad ordini inferiori“. Inoltre viene rivendicata “la giusta ricompensa del lavoro” affinché i contadini possano provvedere ai bisogni fisici e morali della propria famiglia. Bisogna però vedere quale sia la bandiera spiegata nel campo dell’azione sociale: se quella della Democrazia Cristiana o quella del Socialismo. Secondo “Demofilo”: “dal trionfo dell’una o dell’altra dipenderà la salvezza o la rovina della Patria“.
Le differenze tra i due partiti sono da lui chiaramente spiegate: “Questi due grandi eserciti partono dal principio di sollevare la classe dei poveri operai, ma mentre l’uno, la Democrazia Cristiana, per la sincerità delle sue intenzioni e per mezzo della religione perviene allo ristabilimento dell’ordine e della giustizia nella società, l’altro, il Socialismo, che ostenta amore verso il popolo per farsene sgabello ai suoi disegni ambiziosi, sfruttando ai propri interessi la buona fede degli operai e servendosi dell’irreligiosità e dell’immortalità, perviene a risultati negativi, aumentando sempre più il disordine sociale“. Il socialismo è condannato sia perché parla alle masse di diritti, ma non di doveri, sia per il suo professato ateismo e infine per il principio della lotta di classe. L’ autore è convinto che se il popolo “s’educa irreligiosamente, esso calpesterà ogni autorità e chiederà non solo i diritti che per giustizia gli spettano, ma ne chiederà degli altri ancora, trascurando i doveri e diventando oppressore da oppresso che era“. Il merito della Democrazia Cristiana sta nel ricordare i diritti e i doveri, nell’ essere “mediatrice tra il capitalista e il proletario“. L’arma usata è quella della persuasione. Difatti al capitalista si dirà “di amare e rispettare il lavorante ch’ è un suo fratello, di retribuirlo con giustizia, di provvedere ai suoi bisogni morali e materiali“, mentre al secondo si cercherà di fa “fare con coscienza il suo lavoro e rispettare colui che gli dà il pane, poiché egli non è solo un suo fratello ma è anche un suo benefattore“.
Come si può ben vedere siamo ancora nell’ambito di una visione dei conflitti sociali legata a vecchi schemi; infatti, come si può con le sole armi della persuasione cambiare una situazione di sfruttamento oramai radicatasi da secoli? L’importante arma dello sciopero non è ancora persa in considerazione, ma se pensiamo che due anni più tardi lo stesso Rizzo prese parte ai tumulti per l’abolizione della cinta daziaria e del dazio sul consumo, ci rendiamo conto che le teorie esposte in questo articolo vanno considerate come un punto di partenza per il movimento cattolico alcamese, ricco di interessanti considerazioni e di fertili spunti. Viene citata la definizione che della Democrazia Cristiana dà Toniolo: questa “innalza gli umili senza abbassare i grandi, sicché essa aborre dalla lotta di classe che è antireligiosa, antisociale, contraria alla civiltà e alla fratellanza, pur tanto professata dal socialismo, a parole, si intende“. L’obbiettivo della Democrazia Cristiana è dunque quello di raccogliere capitalisti e proletari all’ombra dei medesimi ideali. Ma se gli uni o gli altri non accetteranno, sarà ineluttabile l’avanzata del socialismo.
(Leone XIII

Viene ribadito a chiare lettere qual’è il mezzo di cui bisogna servirsi per una rigenerazione sociale:”non è con la lotta di classe, ovvero suscitando l’odio dei poveri contro i ricchi che si può venire ad una soluzione della questione sociale, ma soprattutto, anzi solamente, con la carità cristiana con la quale il povero ottiene quel che rivendica: la riabilitazione morale e la giusta mercede del suo lavoro“. Il ricco da parte sua deve in ogni modo cercare di venire in aiuto alle classi lavoratrici e, in caso di rifiuto, i “democratici cristiani ” continuerebbero “ad organizzare le masse dei sofferenti e a reclamare nei limiti legali i diritti del povero che lavora e additerebbero al ricco che si mostra restio ai suoi doveri verso gli umili lo spettro sanguinoso del socialismo“. In queste ultime considerazioni è chiaramente avvertita l’influenza della “Rerum Novarum” soprattutto per quanto riguarda la teorizzazione dell’interclassismo.

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