Dilettanti allo sbaraglio o delinquenti incalliti?
Print Friendly, PDF & Email

Essenzialmente non si può accettare di essere guidati da un qualsiasi Governo espresso da un parlamento eletto con procedure non democratiche, secondo le quali i candidati sono nominati, senza un criterio basato su regole certe e funzionali, da una ristretta cerchia di burocrati di partito, impedendo ai cittadini di esprimere alcuna preferenza.

A proposito dei Deputati e Senatori, del loro numero, delle loro retribuzioni, apparentemente laute, certa demagogia piduista, alla quale si unisce anche la sinistra, si è votata a ridurre, tagliare senza alcun criterio razionale, in buona sostanza a prendere per il culo i cittadini, in quanto nessuno ha avuto la saggezza di sostenere che anche un solo euro speso nella retribuzione di un demente è un enorme spreco e una offesa per i cittadini. Per fare il deputato dovrebbe essere indispensabile innanzitutto il possesso di una serie di requisiti e di capacità, documentati da titoli di studio, onorabilità, fedina penale intonsa, conoscenza della materia. Perché non ci dimentichiamo che viviamo in un paese nel quale anche per concorrere a un posto di usciere ti richiedono il possesso di un minimo titolo di studio, il superamento di una prova attitudinale che comprovi che sei in grado di fare una fotocopia o recapitare un plico all’ufficio giusto, per fare il medico ti chiedono la laurea in medicina (ma guarda un po’), per fare l’avvocato la laurea in giurisprudenza e l’iscrizione a un albo professionale, e via così, mentre per svolgere il mestiere di parlamentare, forse il più importante per uno Stato, puoi anche essere analfabeta, oggi è sufficiente essere un cortigiano. Questo si che è un modo di sperperare denaro pubblico, mai come oggi il termine peones si addice alla maggior parte dei parlamentari.

Questa classe dirigente, scusate la stupidaggine, in realtà si tratta di delinquenti abituali saccheggiatori del patrimonio pubblico, viene da lontano, dal tatcherismo che ha dato inizio ad un processo di riduzione dell’intervento pubblico e di imitazione del modello privato. L’amministrazione Reagan sposò il neoliberismo sotto lo slogan “lo Stato non è la soluzione ai vostri problemi, ma il problema da estirpare” (Gruening G., 2001). In Italia lo smantellamento è stato avviato da compagini miste e trasversali (rappresentanti di comitati di affari e di grandi finanziarie internazionali), governi tecnici, nel periodo immediatamente seguente la tempesta di Tangentopoli, quindi fu proseguito da tutti i governi, di centrodestra e di centrosinistra, indistintamente, facendo del nostro paese una specie di repubblica postsovietica, nel quale le vecchie nomenclature sopravvissute alle epurazioni si sono appropriate del patrimonio pubblico o ne hanno favorito la cessione a lobbies amiche.

La ricetta anglo americana delle privatizzazioni dei patrimoni statali finalizzata al contenimento del debito pubblico e allo stimolo della competitività fu sperimentata dal governo del Regno Unito nel 1979, sotto il coordinamento della  Nathan Mayer Rothschild. L’esperimento non si tradusse, come auspicato dai più illuminati politici ed economisti, in un nuovo assetto di public company, altresì un ristretto gruppo di finanzieri si trovò a dominare per quasi 12 anni l’economia inglese (C. Beauman, 2002). Il gruppo degli acquirenti fu così ristretto che il grosso dello stock del patrimonio privatizzato passò nelle mani di rappresentanti della Società Mont Pelerin, i nomi più noti furono quelli dei consiglieri del Primo Ministro Britannico Margaret Tatcher, Karl Brunner, sir Alan Walters, lord Harris of High Cross ed altri. La Società Mont Pelerin era presieduta a livello internazionale dall’economista ultraliberista Milton Friedman, consigliere del Presidente degli Stai Uniti D’America Ronald Reagan. La rivoluzione “salvifica” di Margaret Hilda Roberts, questo il nome da nubile della Thatcher, portò alla alienazione anche delle imprese migliori del Regno Unito, come British Petroleum, delle compagnie del gas e dell’acqua, dell’industria militare Vickers, oltre che di quelle i cui bilanci avevano da qualche tempo virato in perdita, come British Railways, il settore dell’acciaio e delle miniere, British Airways, Jaguar, Rover, British Leyland e altre. La svolta rivoluzionaria, o controrivoluzionaria, come taluni l’hanno definita, di Margaret Hilda Roberts Tatcher conferì priorità strategica alle questioni finanziarie su quelle industriali. Nell’ottobre 1986 il governo britannico decretò la completa deregolamentazione del mercato finanziario, meno di un anno dopo la borsa di Londra crollò, in buona compagnia, a  causa di una serie di speculazioni e truffe che proprio da lì avevano avuto origine (Benito Li Vigni, 2009). L’ispiratore delle privatizzazioni britanniche, Milton Friedman, era stato l’ideatore della politica economica imposta al Cile dalla dittatura di Augusto Pinochet, che si può semplicemente descrivere come un piano di allontanamento del governo da ogni intervento per lasciare mano libera agli interessi privati. Già in quella occasione si aveva avuto modo di verificare come non necessariamente l’industria privatizzata potesse diventare più efficiente.

In Italia l’operazione di dismissione delle imprese pubbliche non poteva incidere per un valore percentualmente elevato sulla riduzione dello stock di debito pubblico, che nel 1994 era di 1.771.108 miliardi di Lire mentre le entrate previste per il triennio 1993-95 dalle privatizzazioni erano di 27.000 miliardi. Il ricavo lordo avrebbe inciso sul debito pubblico per un modesto l’1,52 %. Le entrate generate dalle privatizzazioni nel periodo 1992- 2000 fu di 198.000 miliardi di lire, a fronte di un debito pubblico che nel 2000 era di 2.500.000 di miliardi di lire, con una riduzione, apparente, del 7,92%. La riduzione fu apparente perché alcune alienazioni furono fatte in perdita, ovvero vennero cedute, insieme alle aziende decotte, anche attività economiche efficienti e capaci di generare entrate di cassa per lo Stato, come Comit, Credit, IMI, Eni, Enel e Telecom, i veri gioielli di famiglia, in grado, attraverso gli utili futuri, di alleggerire progressivamente il debito pubblico.

Quindi la domanda alla quale dobbiamo fornire una risposta è la seguente: dove andiamo a prendere una nuova classe dirigente per l’Italia? Saranno proprio le crudeli leggi del mercato a impedirci la soluzione del problema. Proprio la riduzione dei compensi dei manager pubblici e dei parlamentari allontanerà i migliori da questo tipo di lavoro, continuando ad attrarre gli scarti del settore privato,  i falliti e i faccendieri che a vario livello in questo momento si annidano nelle segreterie di partito. Forse sarà il caso di darci un taglio con la demagogia da Repubblica di Weimar o presto ci troveremo in mani ben peggiori di quelle dei simpatici Berlusconi, Bersani o (?) Prodi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA