Giovanni Marcora
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(Inveruno 1922 – Inveruno 1983)

Nell’aprile del 1958 Giovanni Marcora viene eletto segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Milano. Dalle colonne del settimanale democristiano Il Popolo Lombardo, il nuovo responsabile del partito abbozza un programma di lavoro volto a rinnovare la Dc anche attraverso costanti rapporti con la società e con il mondo del lavoro.
Si tratta del punto di arrivo di un impegno militante all’interno del partito iniziato all’indomani della Liberazione e maturato in particolare, negli ultimi anni, nell’ambiente basista. Ma è anche il trampolino di lancio per chi, come Albertino, ha deciso di dedicare quasi tutto il suo tempo e le energie personali alla politica.
La segreteria provinciale della Dc si rivela per lui la posizione più adatta per “tradurre le idee in fatti“, come ripete spesso, per verificare sul campo la bontà delle proprie convinzioni e dei valori che vorrebbe vedere realizzati. Egli si appresta ad assumere il ruolo di motore dell’attività della Dc milanese della fine degli anni ’50 e di buona parte degli anni ’60. Le grandi scelte amministrative operate dal partito, le decisioni strategiche, il lavoro svolto nel campo della formazione di una nuova classe dirigente prendono forma in primo luogo dalle sue intuizioni, modellate poi con il contributo ideale e materiale di tanti amici di partito.
Mentre la sua notorietà cresce negli ambienti politici lombardi, Marcora consolida una vasta esperienza come “regista della politica”; solo più avanti assumerà un ruolo da attore protagonista. Si conferma, anzi, un leader “del tutto particolare. Non saranno mai suoi gli interventi più importanti, gli scritti più significativi“, sostiene Roberto Mazzotta, uno dei giovani avviati alla politica da Albertino. Egli non sarà mai, neppure una volta, il mattatore di convegni o congressi. Né assumerà neppure per primo le cariche più importanti, a partire da quelle pur modeste, ma tanto faticosamente conquistate, dei primi anni. Ma sarà invece sempre lui il promotore delle iniziative, il punto di riferimento nel momento delle scelte con la sua particolarissima capacità di intuizione politica, con il suo tempismo e con quell’altra dote, forse la più importante, che gli consentiva di misurare e pesare gli uomini, sbagliando raramente.
L’esperienza della Base comincia contemporaneamente alla crisi dell’età degasperiana e fin dall’inizio il movimento opera per realizzare, nelle diverse situazioni politiche, tre linee principali. La creazione di una struttura di partito di quadri, con la formazione di una classe dirigente amministrativa e politica. L’introduzione nella Dc di una moderna cultura delle strutture sociali, economiche e istituzionali. Il superamento delle crisi non attraverso lo scontro ideologico e politico, ma attraverso nuove alleanze destinate ad allargare l’area democratica. Il lavoro di Marcora sarà sempre costantemente orientato a realizzare questi obiettivi, prima a livello locale milanese, poi a livello nazionale. In particolare nel Comitato provinciale di Milano la sua attività è rivolta a creare quadri efficienti in ogni zona e in ogni sezione, “sedi proprie e decenti perché una sezione non può vivere senza una sua sede” ad organizzare i nuclei di presenza, il tesseramento, i convegni zonali nei quali si discutono i problemi amministrativi concreti.

 

Il Comitato provinciale della Dc milanese, a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, è sede di approfondimento e di discussione dei problemi generali, dal petrolio alla riforma fondiaria, dalla libertà nelle fabbriche al Piano Vanoni. Il nascente apparato è soprattutto impegnato nella diffusione dei corsi di formazione per quadri di partito e per amministratori locali. Marcora intende creare una classe dirigente alternativa, costituita “da cattolici che vengono dalle fabbriche o dall’università e che trovano nel partito e nel metodo di lavoro del gruppo il luogo della loro formazione civile e del loro apprendistato politico. Il partito, quindi, come strumento di innovazione della società, di mobilitazione morale delle energie“.
La costituzione della prima Giunta comunale che può contare sulla formula di centro-sinistra, realizzata a Milano il 21 gennaio 1961, in netto anticipo sugli sviluppi della politica nazionale, è un risultato politico di cui Marcora va fiero. Dc, Psi, Psdi e Pri uniscono le forze per dar vita, a Palazzo Marino, sede municipale di Milano, ad una inedita alleanza, che incontra molte resistenze nel mondo cattolico e nella stessa Curia ambrosiana, retta dall’arcivescovo Giovanni Battista Montini, ma destinata ad aprire una nuova fase della politica italiana. In questo caso Marcora parla di “Milano capitale della periferia del Paese” e spinge gli esponenti basisti presenti nel Consiglio Nazionale della Dc ad approfondire il dibattito interno sull’apertura a sinistra.
In effetti l’VIII congresso nazionale della Democrazia Cristiana, che si svolge a Napoli nel gennaio 1962, è dominato da un’ampia e lucida relazione di Aldo Moro che indica nel rapporto organico tra Dc, formazioni laiche e Partito Socialista la via maestra per il governo del Paese. Il 22 febbraio successivo nasce infatti il nuovo Gabinetto Tripartito (Dc, Psdi, Pri) presieduto da Fanfani, che ottiene l’appoggio esterno dei socialisti. Sarà invece lo stesso Moro a varare, il 5 dicembre 1963, il primo Governo Quadripartito, comprendente a pieno titolo il Psi di Pietro Nenni.
Si tratta di una svolta epocale per la politica nazionale, benché il cammino del centro-sinistra si riveli presto irto di ostacoli. Viene realizzata fra l’altro la nazionalizzazione dell’energia elettrica, ma il progressivo rallentamento del trend economico crea nuovi problemi e tende a limitare gli spazi per una decisa azione riformatrice, che dovrebbe costituire uno dei cardini del programma dell’alleanza governativa il cui asse si è spostato a sinistra.
Giovanni Marcora, la cui stima verso Moro, consolidatasi nei primi anni Sessanta, non verrà meno fino alla tragica scomparsa dello statista pugliese, è considerato uno degli ispiratori del dialogo e del matrimonio tra DC e PSI. Eppure, criticando i risultati effettivamente conseguiti nei primi anni del centro-sinistra, assume toni polemici verso il Governo e, soprattutto, verso il Partito Socialista, che accusa di interessarsi troppo alla spartizione del potere piuttosto che mirare al profondo rinnovamento della vita economica e sociale italiana. In qualche caso si lascia andare ad una delle sue sentenze più velenose, definendo i socialisti dei “dorotei che non vanno neanche in chiesa“.
Con le elezioni politiche del 19-20 maggio 1968, quando, dopo un lunghissimo praticantato politico, Giovanni Marcora si candida nel collegio senatoriale di Vimercate, scelto fra quelli considerati sicuri per la DC, ottenendo un indubbio successo personale, e dove verrà rieletto nelle successive tornate del 1972, 1976 e 1979. Così l’ex partigiano Albertino lascia, dopo quasi dieci anni, la carica di segretario provinciale della Dc e prepara le valigie per Roma.
L’approdo a Palazzo Madama avviene in uno dei momenti più travagliati della recente storia italiana. La contestazione giovanile si sta diffondendo nelle scuole e nelle università; il mondo del lavoro è percorso da tensioni crescenti, che sfoceranno nell’“autunno caldo” del 1969. E non tarderà ad emergere il fenomeno del terrorismo. La società, nelle sue diverse espressioni, e le realtà economiche chiedono alla politica adeguate capacità di interpretare e di guidare i cambiamenti. Anche nella Chiesa postconciliare si scontrano tendenze più attente a recepire le novità del Vaticano II, con atteggiamenti di conservazione e di diffidenza rispetto ai “segni dei tempi”. Marcora insiste spesso su questi problemi. Nelle riunioni di partito preme perché la DC non si lasci “scavalcare dagli eventi“, dimostrando, al proprio interno e negli impegni governativi, capacità di analisi dei fatti e un attivismo commisurato alle sfide contemporanee.
In uno dei suoi primi interventi in Senato, tenuto in occasione della fiducia al primo governo presieduto da Mariano Rumor (dicembre 1968), Marcora afferma: “Compito di un sistema politico democratico è quello di non lasciare spazio a tensioni legittime insoddisfatte, di impedire quei momenti di vuoto di potere all’interno dei quali abbiano margine di manovra e capacità di incidenza forze e tendenze reazionarie, e di dare piuttosto una risposta politica alle tensioni, alle volontà, alle idee, per quanto confuse e disarticolate, che hanno preso forma nella società“.
Coerentemente, il neo senatore investe le proprie energie su vari fronti. È assiduo ai lavori parlamentari;,raramente trascura incontri e convegni sui temi d’attualità che si svolgono a Roma e nel resto del Paese. Mantiene contatti costanti con il collegio di Vimercate e con la DC milanese, dal luglio del 1969 figura nella Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana.
Malgrado i nuovi impegni nazionali, non dimentica il piccolo paese d’origine. Alle elezioni amministrative del 7 giugno 1970 guida la lista della DC e diventa sindaco di Inveruno. Si tratta di un ruolo istituzionale che non intende trascurare e per il quale può contare sulla stretta collaborazione di alcuni amici di gioventù, primo fra tutti Angelo Belloli. Nei cinque anni della legislatura, infatti, il Comune realizza l’edificio della scuola media e alcune case popolari, la Giunta, ispirata dal sindaco Marcora, acquista un’area sulla quale dovrà sorgere una casa per anziani e definisce il passaggio di proprietà della Villa Tanzi, che diventerà la futura sede municipale. Si impegna, inoltre, per l’avvio in paese di una scuola professionale e di un istituto tecnico.
In Parlamento l’attività di Marcora è legata soprattutto alla legge sul riconoscimento dell’obiezione di coscienza. Fino ad allora in Italia era stata introdotta la possibilità di ottenere l’esenzione dal servizio militare, in base al dettato della legge n. 1033, dell’8 novembre 1966, legge Pedini, per quei giovani che avessero chiesto di prestare la loro opera per la durata di almeno due anni continuativi in un Paese in via di sviluppo fuori d’Europa. Per il diritto all’obiezione di coscienza, inserito in un più ampio impegno pacifista, si erano già mobilitati personaggi del calibro di Giorgio La Pira e di don Lorenzo Milani, quest’ultimo, nel 1965, era stato addirittura processato per essersi apertamente schierato a favore dell’obiezione al servizio militare.
Dopo l’approvazione della legge Pedini si intensifica in Italia la discussione soprattutto attorno al riconoscimento dell’obiezione di coscienza come diritto soggettivo. Una parte del mondo cattolico, così come altri ambienti della sinistra, si dimostra sensibile sulla questione e il Movimento Giovanile della Dc elabora delle proposte che trovano attenti alcuni parlamentari, fra cui Luigi Granelli e Giovanni Marcora. Rispettivamente alla Camera e al Senato i due parlamentari democristiani seguono l’iter per l’approvazione di una legge in materia. Marcora, assunto l’incarico di relatore, espone in aula il progetto legislativo, definitivamente approvato dal Parlamento il 15 dicembre 1972, legge n. 772. L’art. 1 della cosiddetta legge Marcora recita: “Gli obbligati alla leva che dichiarino di essere contrari in ogni circostanza all’uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza, possono essere ammessi a soddisfare l’obbligo del servizio militare nei modi previsti dalla legge. I motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto“. È un primo riconoscimento del diritto all’obiezione e si tratta certamente di un passo avanti rispetto alla concezione allora imperante del “sacro dovere” di difesa armata della Patria. In realtà, però, la legge mostrerà ben presto gravi lacune, le motivazioni addotte dal giovane sono sottoposte al vaglio di una commissione e ad un decreto ufficiale del Ministero della Difesa, il servizio sostitutivo dura otto mesi in più della leva, non vengono individuati con precisione i campi e le modalità di attuazione del servizio sostitutivo, che potranno essere sanate negli anni Ottanta con nuovi provvedimenti normativi.
Nel frattempo Marcora continua ad esercitare il ruolo di capo della corrente di Base e risulta tra i protagonisti sulla scena democristiana nazionale. Nel 1973, alla vigilia del XII congresso DC (Roma, 6-10 giugno), egli preme affinché i basisti aderiscano al cosiddetto Accordo di Palazzo Giustiniani, promosso da Aldo Moro. In questo modo l’assise dello Scudocrociato strappa ai dorotei la guida del partito, Amintore Fanfani assume nuovamente, dopo tanti anni, l’incarico di segretario, consentendo in prospettiva il ritorno a Governi di centro-sinistra, dopo una problematica fase centrista.

 

Per Marcora si apre una ulteriore fase di responsabilità nel partito. Il 5 agosto successivo viene nominato Vicesegretario Nazionale, il politico lombardo non avrebbe forse mai pensato, dopo le battaglie contro Iniziativa democratica degli anni Cinquanta, che un giorno avrebbe raggiunto i vertici della Dc in qualità di vice di Fanfani.
Tra le più riuscite iniziative di Marcora di questo periodo va annoverato il convegno economico di Perugia del dicembre 1973, nel quale si cerca di delineare una adeguata risposta politica alla luce della ormai evidente recessione economica internazionale. Marcora, coadiuvato da Roberto Mazzotta, assegna a Pasquale Saraceno il compito di svolgere la relazione introduttiva al convegno, in cui intervengono altri esperti emergenti del settore, vicini alla sinistra DC: fra di essi Siro Lombardini, Romano Prodi e Beniamino Andreatta.
La crisi del Paese“, spiega Giovanni Di Capua, tra i testimoni dell’impegno profuso da Marcora alla vicesegreteria del partito, “fortemente condizionata dalla crisi petrolifera che stava scuotendo l’intero Occidente […], richiedeva scelte di politica economica radicalmente nuove. Albertino si sforzò di dare un contributo originale e risolutivo. Intanto predicò la linea dell’austerità, che non considerava solo come una risposta obbligata alle difficoltà congiunturali, ma come una linea coerente con gli indirizzi di Ezio Vanoni, per i quali il futuro dell’Italia stava in una industrializzazione guidata e programmata, non abbandonata allo spontaneismo, ma neppure allo spreco delle energie e delle risorse determinato da un interventismo sradicato dal mercato e dalle sue regole più elementari. Ben presto Albertino dovette misurarsi con il diverso orientamento dei responsabili dei dicasteri economici e delle autorità monetarie. Le sue analisi, documentatissime e in un primo tempo approvate dalla direzione democristiana, […] restarono disattese. Rendendo con ciò inevitabili le dimissioni di Albertino dalla vicesegreteria“.
Nell’estate del 1974 Marcora torna quindi tra le fila dei parlamentari democristiani, libero da più diretti impegni nella dirigenza del partito. Ma in realtà si stanno preparando per lui tempi per altre, importanti, responsabilità politiche. Fu Ministro dell’Agricoltura dal 1974 al 1980, gidò il Ministero dell’Industria dal 1981 al 1982, poco prima della morte.