Il Sarto di Palazzo Chigi
Print Friendly, PDF & Email

Il bocconiano Monti ha le idee chiarissime sulle strategie da adottare per tirare fuori l’Italia dalla crisi internazionale ed evitare la recessione, con una serie di provvedimenti che se io avessi proposto come interventi strategici durante uno dei miei esami alla Facoltà di Economia dell’Università di Perugia ne avrei ottenuto forse anche una sediata, oltre, ovviamente, la bocciatura. In periodi di recessione, qualsiasi manuale di politica economica lo insegna, non è efficace adottare misure recessive, questo è, semmai, un tipo di azione che potrebbe venire utile in fasi fortemente espansive, in presenza di un concreto pericolo di inflazione. Quindi l’aumento dell’aliquota IVA comporta una contrazione dei consumi e una riduzione della proporzionalità e delle progressività della imposizione fiscale. Il 21% di aliquota IVA rappresenta una sorta di flat tax, che grava sul ricco e sul povero in eguale percentuale; le liberalizzazioni possono generare forti shock aziendali provocando fallimenti a catena; il consistente aumento dell’età pensionabile, in un sistema che secondo gli amministratori delle casse previdenziali pubbliche e private è sostanzialmente in equilibrio quando non in avanzo, contrae ulteriormente i già esigui spazi occupazionali del mercato del lavoro. Potevo poi capire che si fosse imposto ai pubblici dipendenti un particolare regime contributivo, ma imporlo anche alle casse previdenziali private mi sembra certamente un provvedimento autoritario.

 

Intanto Draghi, dalla sua ennesima rocca dorata, lancia l’allarme per l’area Euro, per la stessa tenuta della moneta unica e per l’e. Mentre il Fondo Monetario Internazionale, uscito da poco dalla guida di Dominique Strauss Kahn, prevede un 2012 recessivo per l’Italia, con un Pil a –2.2 %, certamente una dichiarazione che aiuterà non poco l’ottimismo dei mercati. Ecco il vero nodo della questione, le sorti di interi continenti sono nelle mani di questo demiurgo, il “Mercato”. Lo spread tra il tasso di interesse sul debito pubblico di un Paese e quello di un altro non è più, da molto, molto tempo, una variabile sotto il controllo delle autorità monetarie. In Europa, in particolare, lo strumento di politica monetaria non è più nella disponibilità dei Governi, le banche centrali sono state quasi tutte privatizzate insieme alle banche cosiddette di interesse nazionale (Nda. Chissà come mai erano denominate cosi?), mentre il preziosissimo sistema locale delle Casse di Risparmio è stato neutralizzato, un piccolo provvedimento legislativo dopo l’altro, la BCE è una azienda privata, partecipata anche da società extraeuropee, che decide in piena autonomia il tasso di sconto della moneta che essa stessa stampa e vende ai paesi dell’area Euro, sottratta ad ogni controllo da parte degli organi dell’e Europea (Cfr. Trattato di Maastricht, articolo 107). Una funzione sovrana e strategica come la politica monetaria è delegata a un soggetto diverso dallo Stato, in violazione degli articoli 1 e 11 della Costituzione italiana[1]. Ma, tranquilli, il Parlamento italiano ha depenalizzato questo reato. Per colmo di ridicolo organizzativo la Banca d’Italia svolge la funzione di vigilanza sulle banche, pur essendo controllata da banche private, lo stesso vale per la BCE. Già con la legge n. 82/1992 era stata attribuita alla Banca d’Italia la facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo concordare con il Ministero del Tesoro. Una banca di fatto privata, posseduta da Banca Intesa San Paolo, UniCredit, Assicurazioni Generali, Monte dei Paschi di Siena e altri, decideva per lo Stato italiano il costo del denaro e si faceva pagare il signoraggio. La scelta di distruggere il sistema delle banche pubbliche in Italia e in gran parte d’Europa è, soprattutto in questo lungo periodo di crisi, motivo di discussione. In un articolo del The Economist, del maggio 2010, si sottolineava come in Cina, India e Brasile la proprietà pubblica delle banche sia stato un elemento di successo nell’affrontare le conseguenze della crisi finanziaria che ha avuto inizio nel 2008. Dopo il crollo di Lehman Brothers in India, come nel resto del mondo si era manifestata una difficile crisi di liquidità, tra giugno e dicembre 2008 la banca privata ICICI, una delle più ammirate banche private tra quelle dei paesi in via di sviluppo, subì un decremento della raccolta del 10%. Nel 2009 il portafoglio prestiti di ICICI si era ridotto del 17%. I risparmiatori tuttavia concessero fiducia alle banche pubbliche, ritenendole più sicure perché fortemente garantite, spostando verso queste la loro liquidità. Om Prakash Bhatt, Direttore Generale della State Bank of India ha dichiarato che in quel periodo i liquidi detenuti dalla sua banca “uscivano letteralmente dalle orecchie”. Tra giugno 2007 e dicembre 2009 le banche di stato indiane hanno registrato una crescita dei loro depositi e prestiti dal 73 al 77 %, dopo un lungo periodo di forte concorrenza con le banche private. In quella fase oltre alle grandi banche pubbliche un ruolo strategico fu giocato dalle banche rurali regionali. Alcuni osservatori hanno convenuto che il vecchio sistema di regolazione del settore bancario, certamente più restrittivo, come lo era quello italiano ed europeo in genere, aveva i suoi meriti. Oggi le banche indiane sono obbligate a detenere tra i propri assets circa un terzo di titoli del debito pubblico, il cui tasso di interesse passivo, quindi, viene deciso dalle autorità monetarie, in grado di disinteressarsi dei capricci speculativi del mercato. Quindi il sarto di Palazzo Chigi, e la sua squadra, in sintesi ci propongono di mettere delle pezze, costosissime, su un vestito che non vale più assolutamente il prezzo della riparazione e la cui trama è completamente da rifare. La trama del Paese è da rifare non perché sia ormai inadeguata al panorama internazionale, quanto perché da Amato a Prodi, in poi, ognuno ha combinato una serie di guai che meriterebbero una scarica di calcioni nel culo, per usare un eufemismo che non mi esponga ad una accusa di apologia di reato. Romano Prodi, l’uomo i cui “artigli”, secondo una battuta di Massimo Giannini, “grondano bontà”[2], era stato consulente della Goldman Sachs dal 1990 al 1993, quindi nel 1997, subito dopo il suo primo mandato come Presidente del Consiglio dei Ministri, guarda caso proprio di una delle società che avevano condotto attacchi speculativi a danno del nostro Paese e, successivamente, avevano partecipato alla grande svendita del patrimonio pubblico, post Tangentopoli, come advisor e come acquirente[3]. Mario Draghi prima di diventare governatore di Bankitalia, dal 2002 al 2005 è stato vicepresidente e membro del management Committee Worldwide della Goldman Sachs, negli anni in cui le banche d’affari americane si scatenavano nelle manovre speculative che hanno condotto al crollo mondiale del 2007/2008. Dal 2005 anche Mario Monti è stato international advisor  della Goldman, dopo essere stato presidente europeo della Commissione Trilaterale, un gruppo di interesse di tendenza neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller. Ma c’era già stato Massimo Tononi, passato dalla Goldman Sachs di Londra al sottosegretariato all’Economia nel governo Prodi del 2006. E Gianni Letta, anche lui membro dell’Advisory Board di Goldman, quindi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del Governo Berlusconi, 2008. In pratica c’è stato un ininterrotto governo della grande finanza anglosassone, da Tangentopoli in poi, in principio era un triumvirato Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers. Certo si fa presto a sminuire tutto gridando al complottismo, ma quando tutti sono stati al soldo di Goldman diventa un po’ difficile.Staremo a vedere cosa succederà, io prevedo soltanto una svendita finale del patrimonio statale, Eni, Poste, Snam, Federmeccanica, Ferrovie, public utilities, ecc, la sostanziale sparizione dello Stato sociale, di alcuni diritti fondamentali del lavoro, della istruzione, ecc. dopo di che saremo definitivamente in mutande, e lo Stato italiano sarà diventato una pura entità astratta. Non mi sembra una difficile profezia quella che a quel punto vedrà una sollevazione popolare titanica, in tutta Europa, contro questa classe di traditori che avendo ricoperto tutte le più svariate cariche istituzionali dal 1994 ad oggi hanno svenduto alcuni paesi europei e hanno contribuito al fallimento della e. L’unico modo per evitare una rivolta potrebbe essere un conflitto bellico di enormi proporzioni (?).

 

Tutta la verità sul M.E.S. il meccanismo europeo di stabilità

L’impero sulle nostre spalle
 L’italia è sotto occupazione straniera

 

 

 


[1] Art. 1: “… La sovranità appartiene al popolo,che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Art. 11: “L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Quindi, l’art. 11 permette limitazioni della sovranità nazionale, non cessioni, al solo fine di assicurare “la pace e la giustizia tra le nazioni”, che non è il fine perseguito dalla BCE.

[2] Cfr., Massimo Giannini, E d’Alema sponsorizzò la pax politica delle banche, in la Repubblica, 21/05/2007.

[3] Cfr., Andrea Holzer, Mr. Prodi e i soldi della Goldman Sachs, l’Occidentale, 04/06/2007; in www.loccidentale.it; Ambrose Evans-Pritchard, Italians claim country run by Goldman Sachs, in The Telegraph, 29/05/2007; The smearing of Roamano prodi, The Economist, 31/07/2003.