L’errore e la scelta. Ruolo della politica neoliberista nella crisi dell’acciaieria ternana e dell’industria italiana. Le possibili soluzioni
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(Pubblicato in Indagini, n. 85/2004)
 

“… abbiam voluto distruggere e non
abbiamo saputo nulla edificare.

(F. Martini)

Il linguaggio più inadeguato è quello della potenza impotente, il linguaggio di chi crede di disporre di armi che non ha, è il linguaggio degli intellettuali, per eccellenza una categoria di disarmati. D’altra parte gli intellettuali sono stati a più riprese invitati a non mischiare il proprio sapere alla politica. Julien Benda sosteneva che nella misura in cui fa politica l’intellettuale tradisce la cultura, mentre se l’uomo di cultura si pone al di sopra delle passioni umane si dice che fa opera sterile, come è noto questa fu la posizione di Gramsci.
Mannheim sosteneva che agli intellettuali spettava l’elaborazione di una sintesi delle varie ideologie per aprire la strada a nuovi orientamenti politici, mentre Croce concepiva un impegno necessariamente straordinario, adatto soprattutto a tempi di crisi. Tuttavia lo stesso Benda divenne intellettuale militante man mano che si acuiva la crisi della democrazia e della pace sotto i colpi del fascismo e del comunismo, riconoscendo di fatto la strumentalità e la necessità della politica per la realizzazione di ogni forma di civile convivenza.
Le condizioni necessarie per cui un appello di intellettuali abbia successo sono principalmente tre: il prestigio morale o intellettuale; la validità degli argomenti; la probabilità che chi sia tenuto all’ascolto dell’appello abbia a subire qualche conseguenza spiacevole dal non aver seguito le direttive consigliate.
Questa premessa di carattere puramente accademico mi aiuta a giustificare tutta una serie di considerazioni eminentemente politiche sulla gravissima crisi industriale ternana e più in generale dei grandi comparti strategici del paese, caduti sotto i colpi di una lunga serie di complotti, errori ideologici e politici e degli odierni governanti, che nella prima repubblica erano ballerine di terza fila. Tutto cominciò con l’attacco di certi poteri al sistema della prima repubblica, caratterizzato principalmente da un meccanismo di democrazia bloccata che non poteva, di necessità, prevedere l’alternanza alla guida del paese, almeno fino al disfacimento del blocco sovietico.
Caduto il muro, dissolto l’avversario rosso, si prospettò la possibilità di cambiare le regole del gioco in occidente ed anche la necessità di disfarsi rapidamente di una classe politica di cavalieri crociati che non avevano più nessun avversario da combattere, ma che costavano troppo, a voler continuare a mantenerli. Il 17 marzo 1992, il Ministro dell’Interno Vincenzo Scotti lanciò per la prima volta un allarme relativo a possibili attacchi, non meglio precisati, tesi a destabilizzare il quadro politico italiano, i prefetti furono messi in allerta. Ne parla il mio amico Geronimo, secondo il quale Scotti era a conoscenza, su informazione del SISDE, di riunioni internazionali nelle quali si decidevano azioni destabilizzanti i cui principali strumenti dovevano essere attentati mafiosi e indagini giudiziarie riservate principalmente ai leader dei partiti di governo.
Alla fine del ’92 i capi delle forze dell’ordine confermarono l’allarme lanciato da Scotti e avvertirono che i primi due partiti di governo, DC e PSI, sarebbero stati presto eliminati, come avvenne un anno dopo. Purtroppo il fianco della politica era scoperto dai finanziamenti illeciti alle organizzazioni di partito, tutti si fecero sorprendere in una condizione di estrema e ingenua vulnerabilità.
Nell’autunno del 1992 il capo dei revisori dei conti nominati dalla Camera per il controllo dei bilanci dei partiti si dimise sostenendo che quei bilanci erano tutti falsi, “... specialmente quello del PCI…“. Di lì a poco caddero DC e PSI, portandosi dietro nel gorgo anche gli altri partiti della sinistra che, seppure solo sfiorati dalle indagini giudiziarie, si spaccarono e trasformarono. Di fatto con la prima repubblica e con il sistema della democrazia bloccata si apprestava a finire anche lo stato sociale, che entrò rapidamente in una lenta agonia che dura ancora oggi, mentre iniziava l’assalto alle migliori società di proprietà statale, cioè di tutti i cittadini italiani.
La nostra acciaieria è stata praticamente regalata ad un prezzo, pagato a rate, che è stato ammortizzato dall’acquirente privato con gli utili di un solo esercizio. Ricordo ancora lo slogan di qualcuno che si improvvisò economista, oltre che giustizialista, che diceva più o meno” lo stato non deve fare panettoni“. Il concetto poteva certo sembrare di lapalissiana ovvietà al grande pubblico, all’oscuro del fatto che quando lo Stato ha venduto il suo settore alimentare e della grande distribuzione, l’intero sistema alimentare italiano ha subito un danno enorme di immagine, la SME controllava importantissimi marchi alimentari come Bertolli, De Rica, Cirio, Motta, Alemagna, GS, Autogrill, ecc., possedeva supermercati un po’ ovunque in Italia e in Europa e su quegli scaffali facevano bella mostra di se i prodotti italiani, contribuendo ad alimentare il mito dell’italian food e della dieta mediterranea.
L’operazione giudiziaria meglio nota con il nome di mani pulite un paio di risultati li ottenne, tolse di mezzo una intera generazione di politici capaci, capaci di gestire il paese, dal governo e dall’opposizione, capaci di costruire una solida democrazia, quelli del miracolo economico degli anni Sessanta e i loro allievi, e al posto loro ha messo gli uomini dei miracoli inesistenti quelli che dichiarano pubblicamente: siamo scesi in campo per cambiare il paese mica per fare la politica. Quella classe politica aveva saputo pensare progetti a lungo termine, come le grandi infrastrutture stradali o i piani INA CASA, dette al paese una grande siderurgia e una chimica d’eccellenza, affrontò il sottosviluppo del meridione con la Cassa del Mezzogiorno, ecc.
La cosiddetta anomalia di quel sistema fu l’esorbitante debito pubblico, che comunque permise al paese di compiere un enorme passo avanti. Tento spesso di spiegare queste cose ad un mio amico, convinto liberista, provando a fargli entrare nella zucca che oggi non avrebbe una casa di proprietà se a suo tempo non avesse contratto un debito pari a oltre dieci volte il suo reddito annuo. Quei politici che sono stati messi a riposo forzato dalle procure non furono mai servili, come gli attuali, nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche, vedi l’introduzione del divorzio.
Mani pulite tolse di mezzo chi si rifiutava di sterzare il timone della nave verso un tipo di economia neoliberista, verso l’adozione di un modello di stato in cui lo stato fosse meno ingerente possibile, tolse di mezzo quelli che non volevano permettere la svendita del patrimonio pubblico a vantaggio di una oligarchia di capitalisti che desideravano soltanto avere le mani libere in economia, magari di fare falso in bilancio o di emettere obbligazioni sapendo sin da principio di non poterle rimborsare ai risparmiatori.

Le privatizzazioni della Seconda Repubblica
Dopo mani pulite tutta una serie di governi che si sono autoreferenziati come di centro sinistra, guidati da Amato, Dini, Prodi e D’Alema, hanno portato a compimento le privatizzazioni richieste, tra le prime quella dell’acciaieria di Temi, che non mi pare azzardato definire emblematica della dilapidazione di patrimonio pubblico, secondo un modello tatcheriano già allora sorpassato da buoni dieci anni. Ma non bastava eliminare i vecchi leader politici, occorreva sterilizzare definitivamente i partiti attraverso un cambiamento del sistema elettorale perché non nascessero nuovi leader.
A quel punto partì la scellerata operazione referendaria del Patto Segni tesa alla abolizione del sistema proporzionale e alla introduzione del maggioritario e dell’uninominale. Il proporzionale lasciava agli elettori la facoltà di scegliere un candidato, in una forma di selezione naturale, il maggioritario uninominale concentra nelle mani dei segretari di partito la scelta dei candidati in ciascun collegio, lasciando all’elettore la sola possibilità di approvare questa scelta senza poter optare per un altro candidato della stessa area politica.
Sarà il trionfo dei cortigiani e degli ossequiosi. Tra il ’92 e il ’94 entrarono in agonia, per morire poco dopo, le grandi culture politiche italiane, democristiana, socialista, comunista e liberale. Tra il 1996 e il 2001 poco meno di 200 deputati e senatori hanno cambiato partito per ragioni di convenienza, in Toscana addirittura un ex leader dei giovani DC riuscì a passare attraverso tutti i principali partiti dell’arco costituzionale, fino a piazzarsi con Rutelli nel 2001.
Dieci anni di assenza della politica hanno fortemente indebolito il paese che nel frattempo veniva colonizzato economicamente da gruppi finanziari e industriali tedeschi, francesi, olandesi, spagnoli, ecc., divenuto debolissimo anche a livello internazionale. Anche il sistema bancario non è più in mani italiane, in Banca Intesa ci sono i francesi del Credit Agricole, nella BNLci sono gli spagnoli del Banco di Bilbao, altri spagnoli in San Paolo, nella Banca di Roma gli olandesi dell’ABN Ambro, mentre le banche italiane non acquistano partecipazioni all’estero.
Risultato, negli anni novanta le grandi famiglie del capitalismo italiano sono partite all’assalto di un patrimonio pubblico di poco inferiore ai 200 mila miliardi di lire, dimostrandosi poi incapaci di produrre la crescita dell’economia o una finanza competitiva a livello europeo. Il capitalismo italiano non si è trasformato, è stato colonizzato, l’Italia ha perso oltre 10 punti nella scala della competitività internazionale, avviandosi a diventare un’area di consumi come era all’inizio del XIX secolo.
La tutela della salute, l’istruzione, il lavoro, la questione previdenziale e molto altro sono diventati argomenti subalterni al sommo valore morale della massima remunerazione del capitale e degli elevati corsi azionari. Il pacchetto Treu, più che altro un pacco, e la riforma Biagi hanno minato le fondamenta dei diritti dei lavoratori e delle famiglie, introducendo forme di sfruttamento legalizzate, chiamate lavoro interinale ,in prestito, e precario in genere.
La riforma Dini ha dato una spallata al sistema previdenziale introducendo il concetto di necessità della previdenza integrativa. L’attuale coalizione di governo, guidata da un neoliberista che si compiace di citare il padre dell’economia liberista Adam Smith, si è trovata in una situazione in cui la maggior parte del lavoro sporco era già compiuto, senza dover tenere conto del fatto che l’applicazione pratica di questo modello economico fosse stata sconfessata, nella sua estrema labilità, dal crollo di Wall Street del 1929 e dalla Grande Depressione.
Non a caso si sta rappresentando lo stesso copione di allora, ispirato ad una sequenza tristissima di fallimenti industriali, crisi di banche finanziatrici e volatilizzazioni dei valori mobiliari , posseduti dai risparmiatori (scandali Enron, Arthur Anderson, Merril Linch, Cirio, Parmalat, Banca 121, ecc.).
Adesso proviamo a chiederei perché è successo questo vero e proprio casino, un processo che inizia, velocemente, dopo il crollo del regime comunista in Unione Sovietica e nei paesi del Patto di Varsavia. Dal mondo anglosassone ci sono state improvvisamente impartite direttive categoriche come privatizzazione, omologazione alla globalizzazione e alla new economy, liberalizzazione dei mercati.
A quelle direttive i governi progressisti di quegli anni hanno dato una supina e sollecita soddisfazione, iniziando una stagione di privatizzazioni svendita, a prezzi di saldo, possibilmente a favore di grandi gruppi finanziari e industriali amici, non certo noti per aver brillato nel firmamento imprenditoriale italiano. Sono stati alienati i settori chimico e petrolifero, sono stati aperti i mercati, mentre scoprivamo che l’alleato americano ci stava sfottendo. Infatti mentre inducevano noi e mezzo altro mondo a instaurare sistemi economici in regime di concorrenza perfetta, con la minima intrusione regolatrice dello stato, loro non solo proteggevano, e proteggono, le loro produzioni industriali poco competitive con forti dazi all’importazione, ma detengono saldamente nel patrimonio federale ben quattro delle famose sette sorelle del petrolio.
Le crisi nell’universo bancario e industriale statunitense hanno inoltre evidenziato i pericoli insiti in un mercato senza vincoli e regole, casomai non fosse bastata l’esperienza reganiana. Eppure il Tesoro degli Stati Uniti e il suo fedele cane da riporto, il Fondo Monetario Internazionale, continuano a ripetere al mondo la favola bella della deregolamentazione. Il FMI fu istituito nel 1944 sul presupposto che i mercati spesso funzionano male e necessitano di correttivi (vedi Keynes), mentre oggi sostiene con fanatismo la supremazia del mercato. Costruito sul presupposto che gli stati debbano adottare politiche economiche espansive, oggi il FMI concede prestiti solo a quei paesi che si impegnano a contenere il deficit o alzare i tassi, contraendo l’economia, con un metodo antikeynesiano.

La globalizzazione degli USAe delFMI
La globalizzazione come la intendono Stati Uniti e FMI sta generando fallimenti a catena in aziende di tutto il mondo e nelle banche creditrici, ormai prive di una rete di protezione statale. Così come è applicata porta una crescita reale solo in pochi casi, e anche quando crescita c’è avvantaggia pochi a spese di molti, senza innescare un processo redistributivo. Gli interessi e l’utile si sono sostituiti alla cura dell’ambiente, della democrazia, dei diritti umani e alla giustizia sociale.
Poco importa se i lavoratori godono di tutele sempre minori, è divenuto prioritario che i datori di lavoro possano licenziare a bassissimo costo, pagando al massimo una liquidazione, pochissimo importa della distribuzione del reddito prodotto. Si teorizza l’economia del trickle down, che più o meno afferma che se l’economia cresce i vantaggi arriverebbero a tutti per sgocciolamento, come le molliche che possono sfuggire casualmente dalla bocca di un grasso maiale. Teoria sfatata da oltre un secolo, e più di recente negli USA degli anni ottanta. In quel decennio negli Stati Uniti a fronte di un forte progresso economico i più poveri hanno subito una riduzione del loro reddito reale. Per restare nella casa europea un ulteriore freno allo sviluppo è stato posto da un patto di stabilità troppo restrittivo che in caso di recessione economica rende difficilissimo applicare politiche fiscali espansive.
Quasi tutto il XX secolo è stato speso da generazioni di politici e studiosi per evitare di costruire un mondo in cui vigesse la legge del più forte e del più furbo. Lo hanno fatto due grandi progetti, il socialismo reale, fallito, e l’idea cristiano sociale di stato assistenziale che ha avuto successo producendo un occidente terra felice e progredita, attraverso un sistema che tutelava i più deboli senza bloccare lo sviluppo. Quei pensatori non erano né buoni né fessi, erano pieni di orrore per le condizioni di vita degli operai, per la possibilità che una crisi finanziaria internazionale potesse gettare sul lastrico in un giorno un terzo della popolazione.
Avevano capito che un mondo senza distribuzione della ricchezza, senza tutele per i più deboli era un mondo disumano che ti poteva estromettere al primo errore, che ti poteva chiudere la fabbrica dove lavori per riaprirla all’altro capo del mondo. Se oggi definiamo progressista la liberalizzazione commettiamo un errore, sarebbe la restaurazione di un mondo che faticosamente era stato cancellato
dalla storia.

Globalizzazione e Pace
La globalizzazione che tentano di farei accettare è un sogno sbagliato, soprattutto piccolo, partorito dal sonno della ragione di manager e banchieri. Soprattutto, anche così come è confezionata, la globalizzazione non ha bisogno della guerra totale preventiva al terrorismo internazionale, balla colossale inventata anche per consentire all’industria degli armamenti americana di continuare a vendere la paura e ricevere consistenti commesse militari, e all’esercito di marciare alla testa dei petrolieri.
Una qualsiasi globalizzazione necessita della pace perché è difficile commerciare con un paese in guerra o aprire una fabbrica in un luogo che è sotto minaccia di attacco da parte di una superpotenza, al rischio che te la bombardino per errore dopo un mese, mentre esportano una democrazia non richiesta.

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