Luigi Sturzo e il Personalismo
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Il Personalismo italiano, storicamente, dal punto di vista della sua struttura è una ripresa e uno sviluppo del Personalismo francese ma si distingue per l’attenzione alla dimensione politica, in particolare modo a partire dal 1935 e fino al 1955 e per essere militante. Non a caso nel 1935 videro la luce le prime opere di Sturzo e Capogrossi e come detto, l’impegno politico è costante al punto che la politica è senza dubbio la dimensione centrale dell’attività filosofica. Il movimento italiano non ha solo l’ascendenza transalpina ma presenta dei tratti originali, per cui accanto alla comune eredità tomistica ci sono sia l’influenza di Antonio Rosmini, profondamente avvertita da Sturzo e Capogrossi, sia la diversità degli interlocutori. In Francia il Personalismo si era misurato con il Positivismo e il Marxismo mentre in Italia aveva già trionfato l’Idealismo di Croce e Gentile, inoltre accanto a queste correnti di pensiero si ponevano l’Esistenzialismo di Heiddeger e Sartre, ancora poco conosciuti nel nostro paese. Sturzo appartiene alla stagione già menzionata che va dal 1935 al 1950 e può essere considerato un personalista, anche se preferisce usare i termini individuo e uomo in luogo di persona. L’individuo è un essere strutturalmente sociale, che trova nella società il suo campo di relazione naturale e in questa prospettiva i rapporti fra stato, società civile e pluralismo assumono il rango di categorie fondamentali. Mentre nel Personalismo francese vi è una certa diffidenza nei confronti dello stato, basti pensare all’opera fondamentale di Maritain “L’uomo e lo stato”, per Sturzo diviene invece il tema centrale al punto che definisce l’istituzione “l’organizzazione giuridica della forma politica della società”. Lo stato opera la riconduzione a unità dei molteplici rapporti degli uomini e si pone in rapporto di diarchia con la chiesa, anche se Sturzo riconosce il valore positivo dello stato e lo ritiene la concretizzazione storica della società. In “Politica e morale” egli afferma che lo stato è il custode dell’ordine, fermamente convinto della necessità di una democrazia organica e non individualista. Un tema affine, quello del pluralismo, originariamente elaborato dagli autori francesi, è ripreso da Sturzo in “La società, la sua natura e le leggi”, edito nel 1935, tuttavia il termine non gli piace, ritenendolo addirittura pericoloso, se inteso come sinonimo di frammentazione sociale. In modo del tutto originale Sturzo sviluppa il pluralismo nel contesto delle autonomie locali, appena accennate dai francesi, ponendole come elemento fondamentale. I comuni sono le entità che devono organizzarsi da sole, garantendo ai cittadini la realizzazione della democrazia attraverso la partecipazione diretta. Il referente sociologico di Sturzo è Tocqueville, che studiò la democrazia americana. In definitiva il pensiero di Sturzo si sviluppa permeato da un forte senso dello stato e dell’autonomismo, con sullo sfondo l’attenzione per la concreta realizzazione della persona umana, che necessita di ordine, tutele, garanzie e di spazi di espressione.

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