Manlio Farinacci
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Ricordato il prof. Manlio Farinacci al Trigallia international celtic festival di Argenta (Ferrara). La figura e l’opera del prof. Manlio Farinacci, sostenitore del celtismo ternano, sono state al centro di una conferenza nella terza edizione del festival internazionale celtico svoltasi al Parco della Pieve di San Giorgio, ad Argenta, a 30 km da Ferrara, dal 21 giugno (solstizio d’estate) al 24. Nel corso dell’iniziativa si è parlato, ovviamente, delle ricerche condotte dallo studioso su Carsulae e sull’osservatorio di Torre maggiore. Le tesi di Farinacci continuano a far discutere e a suscitare appassionate reazioni contrastanti, imponendosi, ad ogni modo, all’attenzione dei sempre più numerosi cultori del mondo celtico. Ricordiamo che sul sito archeologico di Carsulae, la Provincia di Terni ha pubblicato tre anni fa un libro, curato da Claudia Angelelli e dalla Scuola media statale “Giovanni XXIII”, con un intervento di Luciano Giacché, intitolato Carsulae: la storia, la memoria, una esperienza didattica.

 
 

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I CELTI DISCENDONO DAI SUMERI

 

Sulle tracce di curiose coincidenze di Manlio Farinacci, a cura di Federico Giovenzana – tratto da “Revue d’Histoire Celtique”

 
 

I primi spostamenti dei Celti dal loro territorio situato a Nord della Persia e dell’India, chiamato l’Ariana, avvennero secondo quanto è riportato, verso la valle dell’Indo a Oriente e quella del Tigri e dell’Eufrate Occidente circa il X millennio a.C.
Anteriormente al primo millennio Avanti Cristo ma senza date precise essi furono riportati variamente in Europa specialmente nelle Isole Britanniche coi nomi di Gaelici e Goidelici e in Italia Centrale col nome di Protocelti.
Questi, in piccole masse combattive, erano tutti guerrieri tagliatori di teste di cui facevano orgogliosa mostra appendendole davanti alle loro capanne (O. Launay). Si definivano vanagloriosa mente “Gal” che nella loro lingua significa “potente, coraggioso”, e anche “grande condottiero”. (…)
La loro lingua si arricchì di vocaboli dei finitimi persiani e tribù semitico-accadiche in conseguenza dei presumibili contatti per scambi commerciali e per l’avvento di regnanti di diversa cultura molto spesso alternatisi subendo così anche variazioni di pronuncia di alcune parole della propria lingua. Infatti la “c” dura della loro lingua per l’influenza di quelle semitiche acquisì un suono fortemente aspirato, simile ad una “h”, quello cioè che troviamo nella pronuncia toscana della “c” intervocalica, mentre in altre combinazioni sillabiche essa conservò il suono di “k”. Quella lingua celto-sumerica in cui sono tutte le stesse vocali e le due semivocali “w” e “y” oltre al continuo non regolare scambio tra “b” e “p”, tra “g, k” e “q” e altri adattamenti locali come dimostra ad esempio il noto immortalato nome di “Nabucodonosor” che di venne anche “Nabukuburriusur, lu gal sha Babeli” significante “Nabucodonosor il grande Re di Babilonia”, come pure “Nebuchadnezzar” e altre versioni sempre dovute a qualche diversità delle componenti del nome di natura agglutinante.
Un piccolo esempio di parole celto-sumeriche chiamate poi indoeuropee possiamo vederlo nel celto-sumerico “gauh”, “bue”, divenuto “cow” in inglese (pronunciato “cau”) e “kuh” in tedesco col significato di “vacca”. Parimenti “lu gal” sumerico è una testimonianza dell’origine gallo-celtica della loro lingua il che troviamo anche in nomi dell’accadico e nei suoi dialetti assiro e babilonese.
Al rinvenimento delle pietre o tavolette con incisi caratteri cuneiformi, ora conservate al British Museum di Londra, nella loro prima lettura non si capì che la lingua sumerica era di tipo agglutinante (vedi l’ungherese e il finnico) le cui componenti erano in maggioranza celto-sanscrite. Vedere infatti l’esempio del nome del Re di Uruk predecessore di Sargon I° scritto in un unica parola e cioè “Lugalzagesi” che è formato dalle tre parole “Lu-gal-zagesi” che proprio in celtico significano “Il potente calcolatore”. Anche il Re della dinastia Cassita chiamato “Kurigalzu” aveva un nome agglutinante scindibile in Kuri-gal-zu. Quando il Re Sargon I° salì al trono nel 2334 Avanti Cristo, usò nella scrittura il suo dialetto accadico ma verso il 2200 a.C. si tornò a scrivere e usare di nuovo nell’Amministrazione il sumerico (fu questa continuativa alternanza che trasformò il sumerico in etrusco come proporremo). Anche secondo quanto scriveva “Le Scienze” n° 261 del Maggio 1996 “…gran parte delle lingue occidentali deriva da una ramificazione orientale…. Contatti con lingue semitiche in Mesopotamia portarono al l’adozione di numerose parole straniere.”
Il non riconoscimento fino ad epoca recente del sumerico come lingua indoeuropea in quanto questo popolo lo si presumeva scomparso dalla Storia e le tavolette con scrittura cuneiforme non erano state ancora trovate, non ha tenuto presente il fatto che tutte le popolazioni del Medio Oriente hanno sempre aspirato a raggiungere le terre dove “il sole non tramonta mai” e che quindi si siano spostate nei secoli verso occidente seguendo proprio il corso del Sole. Per terra risalendo il corso del Danubio, per mare con zatteroni alla deriva trasportati dalle correnti in prossimità delle Coste Nord-mediterranee. I Sumeri dunque in questi spostamenti via mare sarebbero approdati nelle coste tirreniche a nord dello sbocco del Tevere nel territorio già abitato dai Protocelti, riportati nell’albero genealogico delle lingue indoeuropee dei sovietici-caucasici Gankrelidge e Ivanovic e dal tedesco A. Schleicher, respingendoli man mano nella loro espansione, verso le zone sabine ed umbre attuali come riportato nel testo di Storia delle Scuole Pontificie del 1789. Che i Protocelti abbiano abitato anche le coste della Toscana e dal Lazio è testimoniato dal fatto che in alcune tombe di Tuscania furono trovate alcune Svastiche attribuite ai Celti ivi insediati prima dell’arrivo degli Etruschi dai quali essi furono respinti verso l’attuale Umbria della riva sinistra del Tevere. In queste zone a etnia mista oltre le svastiche si trovano altri reperti tipici dei Celti quali le Rune (la Runa Raido significante “il viaggio dell’anima dopo la morte” vastamente ripetuta, nella roccia di soffitta a volta, d’una tomba etrusca sulla sponda di un torrente presso Baschi e un bacino femminile della fecondità tipicamente celtico, nella stessa zona). Siccome simili reperti sono rinvenibili soltanto nelle zone di confine non li si può attribuire decisamente alla cultura sumero-etrusca avente la stessa origine ma diverso sviluppo in quanto detti reperti non li si rinviene in altre zone a etnia prettamente etrusca. A testimoniare il protrarsi nei secoli delle lotte in Italia centrale tra i Sumeri chiamati ormai Etruschi (dal celtico “Tursh” che significa arcigno, altezzoso, e riportato nelle Tavole Iguvine come Tursce) e i Protocelti chiamati ormai Galli da Gal = coraggioso, le quali lotte culminarono in periodo storico con l’occupazione di Roma nel 387 a.C. perché considerata etrusca e quindi da debellare da parte dei Celti Galli e Sanniti, esistono il sarcofago dell’Abbazia di Farfa in Sabina in cui sono raffigurati gli Etruschi a cavallo e coperti di vestiario in combattimento contro i Celti nudi e a terra, quello di Pieve di Perugia con la stessa raffigurazione e infine quello del museo Celtico di Treviri in Germania di cui non si conosce la provenienza italica, anche questo con la stessa raffigurazione.
L’accordo di confine che pose fine agli scontri invece raggiunto pacificamente tra Etruschi e Celti, Tursce e Naharci (Celti del Nera) delle Tavole Iguvine, nella città sacra del paganesimo celtico non dissimile da quello etrusco per simbolismo e riti comuni, accordo limitato alla zona sacra dell’attuale città di Gubbio, è dimostrato dal nome accadico-sumerico di Ekibié (nome dell’Arca della Alleanza Ebraica) latinizzato, nel riportarlo, in Agabium, col suo significato appunto di Accordo o Alleanza sacra, e che è divenuto in italiano Gubbio dall’Agobbio menzionato come tale da Dante Alighieri nella Divina Commedia parlando di “Oderisi d’Agobbio”. L’analogia tra la Valle Ternana e quella di “Nocera Umbra-Gualdo Tadino” con a occidente di entrambe relativamente Carsulae e Agobium, la si desume dalle ricerche archeologiche, storiche, linguistiche e di con figurazione orografica, effettuate dallo studioso Sante Cioli. Infatti al centro di dette Valli, egli fa rilevare, come per quella ternana vi è il paese di Cesi sotto la “penna” di Sant’Erasmo e il monte sacro di Torre Maggiore con in cima i suoi Santuari, in quella Nocerina vi è il paese di Colle sotto il monte la “Penna” e il Monte Merlana con in cima i suoi Santuari. Il toponimo Merlana non è che l’italianizzazione ortografica del gallo-celtico “Maer” che si pronuncia “Mer” e significa “Maggiore” e “llana” che è il plurale di “llan” che significa “santuari”. Quindi “Merlana” è Santuari Maggiori analoga a Torre Maggiore.
La presumibile epoca dell’arrivo sulle coste Tirreniche di questi Sumeri combaciante con quella altrettanto presumibile dell’arrivo degli Etruschi in detta medesima zona, con la loro lingua misto di sanscrito e persiano come dimostrato recentemente dal Bernardini Marzolla nel libro “L’Etrusco una lingua ritrovata”, e le varie particolarità della pronuncia toscana in rapporto a quelle semitiche attuali, potrebbe convalidare molto logicamente la tesi che i Sumeri ritenuti misteriosamente scomparsi dalla Storia o assorbiti dagli ebrei secondo qualche tesi di costoro, siano in realtà gli Etruschi.
Anche essi quindi di origine celtica come ora si sta tentando di dimostrare con ulteriori tesi a volte anche azzardate secondo il nostro parere, benché apparente mente tutte logiche e verosimili.
Il fatto che nelle Tavole Iguvine sia specificato che “dai Riti della Confraternita degli Atiedii in Gubbio siano tenuti lontano i Tursce (Etruschi) e i Naharci (Celti Umru)” deve suggerire l’idea che i Celti di tutta la riva sinistra del Tevere estendentisi fino alla riva destra del Nera (Nahars) venivano chiamati Naharci, cioè popolazioni del Nera, non in quanto tali per i loro insediamenti presso il fiume i quali invece si estendevano fino a Nord nelle Marche anch’esse celtiche, ma perché appartenenti alla religione che aveva i suoi centri più importanti presso il Nera (zona di Terni) che dava loro il nome, con al centro di essa la Montagna Cosmica di Torre Maggiore (Terra Majura) e Carsulae (Car-suli) capitale o città sacra del Paganesimo celto-germanico. Questa quando fu chiaramente minacciata dal Benedettismo della Chiesa Cattolica provocò le invasioni dei Longobardi che si insediarono a Spoleto in sua difesa, come poi a Benevento in difesa di Juvanum, Sepino ecc. nel Sannio e a Pavia in difesa della Celtica-Padania.

 

La grande vallata di Nocera Umbra con inclusa Gualdo Tadino, confinante con Gubbio al suo occidente come abbiamo già riportato, secondo i reperti archeologici celtici di ogni tipo in essa scoperti, inclusi i toponimi e la sua configurazione orografica era analoga a quel la di Interamna (Terni), come risulta ripetiamo dalle lunghe accurate ricerche dello studioso Sante Cioli di Colle di Nocera, per cui non essendo detta Valle situata presso il Nera, i suoi abitanti Celti Umru “da tener lontani dai Riti degli Atiedi” non potevano esser chiamati Naharci se non per “appartenenza religiosa”.

 

Se la detta Civiltà Sumerica di cui stiamo parlando in relazione agli Etruschi, che per importanza fu la prima del Medio Oriente, non era mai stata definita celtica per mancanza di informazione, (la scoperta delle tavolette sumeriche con scrittura cuneiforme è molto recente) quella del III e II millennio a.C. fiorita in zone diametralmente opposte e cioè presso le Coste del Mediterraneo orientale, vagamente ubicate tra Galazia (Anatolia) e Galilea, è sempre stata definita come grande civiltà indoeuropea.
Quella cioè degli Ittiti, guarda caso anch’essi scomparsi dalla Storia.

 

(Scherzi dei Concili di Laodicea e Nicea ?)

 

Alcuni ricercatori affacciano l’idea che gli Ittiti fossero frange sumeriche verificatesi nello spostamento verso occidente appunto dei Sumeri erranti non inglobati nei Caldei, i Babilonesi e gli Accadi, basandosi su analogie linguistiche e culturali nonché sulle datazioni.
Ebbene, studi approfonditi sono in corso di effettuazione partendo dalla considerazione che gli Ittiti in quanto Celti erano parimenti ai Galilei e i Galati, adoratori del Sole, chiamati Esseni in Galilea come lo fu il Gesù di Nazareth (Rotoli di Qumram). Figli dunque e adoratori del Sole.
Le ricerche linguistiche, oltre a quelle archeologiche che forniscono reperti di una simbologia del tutto identica in molti casi farebbero individuare gli Ittiti poi nei Troiani. Quindi non popolazioni scomparse anche questi ma sempre spostatisi verso l’occidente dove il Sole non tramonta mai.
Non ci dilungheremo molto su questo argomento per altro a volte anche controverso ma faremo presente che se il Sole in galileo-aramaico Aesun ha dato il nome di Aessen ossia Esseni ai Celto-galilei, essendo i Troiani adoratori del Sole in quanto Ittiti, furono chiamati da coloro che li portarono alla ribalta storica, cioè i Greci, col nome del sole in lingua greca che è Elios (pronuncia Ilios).
Da cui invece di Esseni il nome collettivo di Ilion accanto a quello di Frigi o Troiani derivanti da Tros, nipote di Dardano Re della Frigia, che fondò la città di Troia.

 

Allora quando Virgilio nel Sesto Libro dell’Eneide riporta i Teucri o Troiani fondatori di Roma, col suo linguaggio esoterico ormai dimostrato intendeva i Celti che non taceva provenire dalla Valnerina Umbra come Terenzio Varrone, ma dalla Troade immortalata dai poemi omerici.

L’Impero Romano richiedeva ora origini più nobili di quelle dei pastori umbri Romolo e Remo e, Virgilio, celta di Mantova, lascia però comprendere la celticità dei Teucri facendoli attestare originariamente “per chiedere protezione”, in Sabina molto lontano dal loro approdo, presso la reggia del Re Picus (mai esistito) ma che in realtà era il Dio Fallo adorato dai Celti (Picus latino è il Picun celtico che significa Fallo).
Perché i Celti ribadiamo erano adoratori del Sole e del Dio Fallo (Bel-ten) protettore della procreazione e della fecondità in generale. E la “protezione” richiesta dai Teucri era solo di questo genere. A Carsulae il primo Santuario salendo la Via Sacra venendo dalle Terme era quello fallico e l’ultimo era quello del Sole.
Per quanto riguarda la lingua sumerica che presumiamo di ritrovare come sottofondo del toscano diverso dall’Umru per gli apporti persiani e semitici, riporteremo che il nome maschile sumero-accadico Awil (“to my brother Awil” del testo inglese che ne tratta ) lo troviamo solo in un reperto celtico di Todi come Awile, quella Todi considerata porta etrusca verso la Celtica il cui nome etrusco originario era Tular che significa appunto Porta (Tor in umru) divenuta poi Tuder in latino. Non sappiamo se in qualche scritta etrusca vi sia altro caso di Awile. Secondo qualche glottologo germanico “Awil” potrebbe essere anche “Aghil” dato che la “w” nelle lingue europee diventa spesso “gh” come in italiano Wald diventa Gualdo, Walter diventa Gualtiero ecc., il che potrebbe essersi verificato nel nome Awil sanscrito divenuto Achil(eos) in greco. L’Achille dell’lliade infatti ha origine sanscrita-vedica dato che l’Iliade omerico è l’adattamento in ambiente greco del poema sanscrito Mahaharatta come l’Odissea lo è del Ramajana e le Favole di Esopo lo sono del Pancha Tantra. (Odisseus che si perde nei mari è la trasposizione del principe Rama che si perde nelle foreste dell’India). I Troiani, alias Ittiti, ne sarebbero stati i portatori oralmente in Grecia e quindi in Europa. Questo contribuisce a determinare da quando sono state effettuate le comparazioni, che la Cultura Classica era di origine indoeuropea parimenti alle lingue che come l’etrusco irriconoscibile come celto-sumerico al primo impatto aveva subìto apporti e adattamenti nell’alternarsi, come lingua del potere, del sumerico all’accadico e al babilonese. Come riportato da vari studiosi d’Israele con motivazioni e spiegazioni molto convincenti. Che i testi del Mahabaratta, Ramajana e Pancha Tantra siano stati portati oralmente dagli Ittiti o Teucri verso la Grecia e un fantomatico ipotizzato Omero li abbia trascritti, riportandolo tra il IX e VII secolo a.C., potrebbe essere dimostrato dal fatto, oltre che dalle date approssimativamente combacianti, che in Europa non si è mai trovato nulla che fosse stato scritto dai Celti perché i Druidi non insegnavano a scrivere in quanto “conoscere” doveva significare “ricordare a memoria”. Giusto perché ciò che fosse stato scritto e non affidato alla sola memoria sarebbe stato prima o poi dimenticato. La sola scrittura usata e riservata ai Druidi era quella con segni runici per le invocazioni agli Dei. Si spiega così allora il mistero dei due poemi di Omero definito variamente scrittore o poeta ma non autore la cui esistenza perfino è messa in dubbio.
Le prime popolazioni dell’Italia Centrale dunque insediate dal Tirreno all’Adriatico (Sabina, Umbria, Marche) furono come già detto i Celti, chiamati Galli, che lo sbarco degli Etruschi sulle coste del Tirreno, spinse verso l’interno della Penisola, nella zona tra il Tevere e le sponde del Nera. Poi la discesa dei Galli Senoni dalla Padania lungo le coste adriatiche spinse anche qui i Celti verso l’interno e così cominciò a configurarsi la “Celtica”, che verso il X secolo era composta grossomodo (dato il continuo spostamento di confini e denominazioni) dall’Umbria, Sabina e Basse Marche, ossia Piceno e Sannio. Alcune frange isolate erano presenti compatte fino al Gargano (la Foresta Umbra era il loro Bosco Sacro più importante), come in altre zone della Puglia e della Lucania con frange fino in Campania, il ché è testimoniato da certe caratteristiche esistenti nella zona Nocera-Nola a popolazione originaria picena. Infatti, a parte la ripetizione del nome Nocera (campana) e Nocera (umbra), nella città di Nola esiste la festa pagana chiamata Corsa dei Gigli identica in tutto a quella di Gubbio chiamata Corsa dei Ceri. Anche qui i gigli erano simboli fallici come quelli di Gubbio, trasformati e coperti di Santi cattolici e si svolge anche qui nel mese di Giugno. Ma tutte queste ultime località non conservarono le caratteristiche della Cultura Gallo-celtica, perché furono sempre più assorbite dalla Cultura Greca e quindi da quella Araba dell’Italia Meridionale, del cui Regno di Napoli e Sicilia fecero parte.
Al primitivo insediamento gallico della “Celtica” seguì, tra il V e IV secolo, quello degli Umru, che furono chiamati Nahars quelli della riva destra del Nera e Sab-Saf quelli della riva sinistra. Scriveva Strabone: “Umbria est regio Italiae vetustissima et nobilissima”, intendendo con detto nome anche la Sabina. La risultante Cultura Romana, se era di scuola e ispirazione greca per quanto riguarda l’arte della scultura, era celtica-umru per quanto riguarda la Poesia e la Letteratura in generale. Erano infatti di origine celtica Virgilio di Mantova, Properzio di Assisi, Plinio di Spello (con provenienza comasca?), Tacito di Terni, Ovidio di Sulmona celto-sannita, Plauto di Sarsina Umbra, Catullo del Veneto, Tibullo Umbro e Livio Patavino.