Piersanti Mattarella
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(1935-1980)

Nella capacità di identificare uno sviluppo e di proporre scelte coerenti di carattere produttivo che garantiscano una crescita economica, sociale e civile dell’Isola, c’è anche la risposta essenziale all’eliminazione delle ragioni di fondo del prosperare della mafia nella nostra Regione.” Così si esprimeva davanti all’Assemblea Regionale il Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, il 20 novembre 1979. A meno di due mesi dall’attentato nel quale sarebbe rimasto ucciso, e all’indomani dei gravissimi assassini del giudice Terranova e del maresciallo Mancuso, Mattarella riportava il dibattito sulla mafia nelle sedi istituzionali. Per affermare che occorreva andare oltre “alla identificazione dei momenti repressivi, di lotta da parte degli organi istituzionali a ciò preposti: le forze dell’ordine e la magistratura.
Per ribadire con forza che il problema mafioso non era solo un problema di ordine pubblico, ma un problema squisitamente politico, che pertanto necessitava di risposte politiche. Per sostenere che la mafia la si combatteva in primo luogo nelle sedi istituzionali, con gli strumenti propri della politica. Piersanti Mattarella, nato a Castellammare del Golfo (Tp) nel 1935, si formò nella gioventù dell’Azione Cattolica, e ne ricoprì importanti incarichi diocesani, regionali e nazionali. Consigliere comunale di Palermo dal 1964 al 1967, divenne componente della direzione regionale, del Consiglio nazionale e della direzione centrale della Democrazia Cristiana. Dal 1967 al 1978 fu deputato nell’Assemblea della Regione Sicilia, eletto per la DC nel collegio di Palermo. Come deputato regionale lavorò nella Commissione per il bilancio, per la riforma burocratica e per la riforma urbanistica, divenendo poi Assessore alla Presidenza con delega al bilancio.
Nel 1978 assunse la carica più alta, quella di Presidente della Regione Sicilia, fino a quando non venne assassinato a Palermo il 6 gennaio 1980. La politica, dunque, come momento in cui l’impegno di azione civile si congiunge col rigore morale e la fede religiosa. Allo stesso modo di Sturzo, De Gasperi, Vanoni, La Pira e Moro, per Mattarella la propria esperienza cristiana è alla base dell’impegno civile. Profondamente convinto che “per il cristiano l’azione politica, sociale economica e la morale non sono mai dissociabili; ad essi principi occorre ispirare tutta la nostra azione“. Il credo individuale si riflette nel modo di confrontarsi con la realtà sociale: “Evangelizzazione e promozione umana non sono dunque due termini nuovi: sono in definitiva i tratti costanti non solo dell’insegnamento della Chiesa, ma anche della stessa azione politica e sociale dei cattolici“. Proprio guardando alla dottrina sociale della Chiesa, Mattarella fa derivare una sua certa “disapprovazione del capitalismo che non è mai né accettato né approvato” ed allo stesso tempo la convinzione e la volontà di un’azione politica che, “attraverso pacifiche mutazioni” potesse in definitiva modificarlo “dal di dentro“. Un “riformismo cattolico” che scaturisce da una spinta morale individuale, diventa così una prassi di governo fortemente consapevole. Una linea politica che Mattarella persegue inizialmente senza l’obbiettivo di opporsi frontalmente alla mafia, ma che inevitabilmente lo porrà in frontale contrasto con il blocco socio-politico-malavitoso che governava l’Isola. La militanza nella DC palermitana, il medesimo partito di Ciancimino e Salvo Lima, lo porta ad essere deputato dell’Assemblea regionale e assessore, impegnato per dare al partito una marcata spinta riformatrice e “quella incisività necessaria per ottenere risultati di cambiamento“.
Fin dall’inizio della sua esperienza politica sostiene la formula del centro-sinistra e quindi la formazione di giunte che vedano l’alleanza fra DC, PSI, PSDI e PRI. “C’è la necessità“, afferma nel 1971 “che la politica di centro-sinistra assuma un significato riformatore per una coraggiosa eliminazione di talune vistose sperequazioni e che la DC, partito di maggioranza relativa, sappia mantenere l’iniziativa e la guida politica“. Il terreno sul quale l’iniziativa riformatrice della coalizione si sarebbe misurata sarebbe stata l’attuazione della riforma burocratica, la riforma urbanistica, una ristrutturazione degli enti regionali, una razionale legge di incentivazione industriale, una nuova e più trasparente legislazione sugli appalti pubblici. Particolare importanza avevano, per Mattarella, il decentramento amministrativo e una maggiore collegialità della giunta regionale, per servire gli interessi generali e non quelli particolaristici. “Occorre spostare i centri di interesse e di riferimento tanto all’interno quanto all’esterno, dalle correnti, dai gruppi o peggio dalle persone a dimensioni più ampie che coinvolgano tutta la nostra comunità ed il suo avvenire“. Proprio nel campo delle intermediazioni parassitarie Piersanti Mattarella, quindi, identificò il terreno di lotta alla mafia per l’amministrazione regionale e per la sua attività come assessore regionale. Su questo campo Mattarella non era ostile neppure ad una collaborazione col PCI.
Fin dal 1975 egli constatava infatti che “il reale spostamento a sinistra della società e della stessa DC può e deve consentire ad essa di assolvere al suo compito con le necessarie collaborazioni democratiche. Occorre liberare la DC dalla arroganza o anche dalla semplice ansia del potere, ripristinando a pieno il nostro senso dello stato, il rispetto per la cosa pubblica“. Coerentemente con l’avvicinamento fra Moro e Berlinguer su scala nazionale, Mattarella avviò un confronto coi comunisti, guidati in Sicilia da Pio la Torre, anch’egli vittima della mafia nel 1982. Nel febbraio 1978, mentre a Roma Aldo Moro stava lavorando per formare una maggioranza di Compromesso Storico col PCI, progetto poi realizzato da Andreotti nel marzo, a seguito del rapimento dello stesso Moro), in Sicilia veniva a formarsi la prima giunta di Unità nazionale.
Il PCI entrava nella maggioranza di governo dell’Isola, votando l’appoggio esterno ad una giunta democristiana presieduta da Piersanti Mattarella. La collaborazione fu breve, poiché terminò nel febbraio 1979, ma assai intensa. L’azione riformatrice di Mattarella, forte dell’appoggio comunista, poté concretizzare alcune misure che porranno il neo Presidente della Regione Sicilia in contrasto col suo stesso partito, e che gli varranno la condanna a morte da parte della mafia. In primo luogo venne elaborato un progetto di pianificazione economica. Seguendo l’insegnamento di Vanoni, Mattarella era per l’idea di piano non come fatto di pianificazione collettivistica e quindi non come strumento di mutamento dell’economia liberale, ma piuttosto come correttivo della stessa, come strumento pratico di coordinamento diretto ad eliminarne le più vistose contraddizioni dettate da interessi o da spinte particolaristiche. Ciò gli procurò l’ostilità degli imprenditori, della rete politico clientelare che prosperava grazie all’affarismo mafioso. In secondo luogo si adoperò per l’attuazione della legge del 1976 sul decentramento amministrativo, trasferendo competenze agli enti locali, sottraendole alle clientele burocratico politiche palermitane colluse col sistema mafioso, trasferendo a livello locale la gestione dei finanziamenti, controllando capillarmente l’utilizzo dei fondi erogati dalla CEE.
In terzo luogo varò una importantissima legge di riforma del sistema degli appalti pubblici indetti dalla Regione. Venivano così lesi per la prima volta interessi enormi che ruotavano attorno al mondo dell’imprenditoria locale, dell’affarismo mafioso, del riciclaggio del denaro sporco, della stretta connessione fra potere politico, edilizia e malavita organizzata. Fu così che la DC tolse la fiducia alla giunta di Mattarella, che fu costretto, con riluttanza, a dichiarare esaurita la collaborazione coi comunisti: la nuova giunta che Mattarella guidò dal febbraio 1979 vide il ritorno del PCI all’opposizione. Ma nonostante le pressioni, si rifiutò di abrogare le riforme da lui stesso introdotte nel corso del precedente mandato, prima fra tutte la riforma del sistema degli appalti. Al centro di una crisi economica che fece aumentare la disoccupazione, l’inflazione e mise in crisi l’Halos di Licata, l’IMSA di Messina e la FIAT di Termini Imerese, nel 1979 esplose la seconda guerra di mafia.
Intervistato alla RAI nell’ottobre di quell’anno, Mattarella difese con forza la linea del confronto coi comunisti, la nuova legislazione sugli appalti e chiamò tutta la società civile alla mobilitazione contro la violenza mafiosa. “Se tutti quelli che parlano di mafia si comportassero per isolare la mafia, forse avremmo già fatto un grosso passo avanti Tutti quelli che avvertono la gravità di questo fenomeno, si comportino per creare condizioni di isolamento“. L’invito di Mattarella era rivolto, probabilmente, verso coloro che, nel suo partito, invece di isolare la mafia, isolavano lui stesso. La sua parola d’ordine “una Regione con le carte in regola” riportava al centro della politica regionale il rispetto della legalità e la trasparenza, specialmente nell’amministrazione pubblica e nella sfera economico-finanziaria dell’Isola.

 

 

A questo proposito Mattarella dispose un controllo capillare dei bilanci dei singoli assessorati e dispose una severa ispezione sugli appalti per la costruzione delle scuole comunali. Sempre più solo, marginalizzato nel partito, alle prese con una drammatica crisi economica, nel pieno della guerra di mafia, la DC provocò la seconda crisi della giunta Mattarella. In una intervista rilasciata al Giornale di Sicilia questi dichiarava, con grande amarezza: “Il peggio è cominciato, ma il peggio va affrontato.” Quindi, riprendendo gli appelli del Cardinale Pappalardo, lanciava un drammatico richiamo: “Nella classe dirigente non solo politica, ma pure economica e finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per eliminare quanto a livello pubblico, attraverso intermediazioni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare la mafia”. L’intervista, rilasciata il 5 gennaio 1980, fu pubblicata sul quotidiano palermitano l’indomani, il giorno dell’Epifania; la stessa mattina in cui Piersanti Mattarella, a bordo della propria auto, veniva falcidiato in un agguato mortale.