Riforma della Pubblica Amministrazione. Perché il Ministro Brunetta ha buone possibilità di fallire
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Il Ministro Brunetta ha certamente un merito, quello di avere scoperto il pentolone dell’acqua calda dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione, problema irrisolto comune agli apparati pubblici di tutto il mondo.Purtroppo ha commesso un errore di metodo, nella sua attività di riformatore si è spogliato della sua funzione di Ministro per vestire quella dei dirigenti, che guarda caso, sono, per una quota importante, di nomina politica, quasi a prescindere dal possesso di titoli ed esperienza. L’intervento, autorevole, di un ministero sarebbe stato efficace se si fosse manifestato a livello sistemico, per competenze gerarchiche, restituendo la responsabilità che compete al datore di lavoro, appunto il dirigente, lui si responsabile dell’organizzazione del lavoro e della produttività dei suoi dipendenti, anche e soprattutto a livello di valutazione della produttività, oggi generalmente riconosciuta a tutti con metodo molto simile a quello della concessione del sei politico di sessantottina memoria. Per non parlare della inutilità dell’obbligo di cortesia dei dipendenti della PA nei confronti degli utenti, obbligo formalizzato ormai da tempo nel Codice Etico, alla cui vigilanza, circa il rispetto dello stesso, è preposto sempre il datore di lavoro, il dirigente.

Una riforma nella valutazione dei dirigenti e dei titolari di posizioni organizzative si impone poiché la realizzazione del principio di riforma della Pubblica Amministrazione non è più quel processo fortuito che fino a pochi anni or sono era offerto quasi esclusivamente, o principalmente, dalla sola esperienza. I pubblici amministratori non possono più comportarsi come quei cinesi dei quali il saggista inglese Charles Lamb racconta come per caso conobbero l’arrosto di maiale, nell’incendio di una stalla. Non possiamo rinunciare all’arrosto di maiale, nel caso della riforma della pubblica amministrazione, purché non si debba appiccare un incendio ogni volta che occorresse introdurre un cambiamento[1]. Né la riforma dell’apparato amministrativo statale, centrale o locale, potrà tradursi in un ridimensionamento puro e semplice dello Stato, per dirla con Wilhelm Röpke: “un regime di concorrenza genuino, leale e funzionante non può esistere senza una ponderata cornice giuridico morale e senza la costante sorveglianza delle condizioni alle quali la concorrenza deve svolgersi come vera gara di rendimento. Ciò presuppone la maturità economica di tutti i responsabili e uno stato forte e imparziale[2].

Le funzioni svolte dallo Stato e dai suoi Enti Locali, sia quelle di natura economica sia quelle sociali, richiedono di disporre di funzionari adatti, dotati della necessaria preparazione e di un indispensabile senso di responsabilità, prescindendo, definitivamente, dal meccanismo delle nomine dirigenziali di origine politica, che violano il principio di separatezza tra amministrazione e politica, sancito dal Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

Tra gli esempi esteri più indicativi quello del Giappone, paese nel quale è in vigore un sistema premiale dei pubblici dipendenti sino dalla fine degli anni cinquanta, ma una vera e, per così dire, massiccia ondata di politiche premiali legate alle performance nel settore pubblico si ebbe verso la fine degli anni ottanta all’interno dei paesi membri dell’OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), Danimarca, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna, Svezia, Regno Unito e USA, adottarono, con varie modalità, forme di PRP (Performance Related Policies). Alcune sperimentazioni furono tentate in Finlandia e nel servizio postale tedesco.

Un secondo gruppo di aderenti, Australia, Finlandia, Irlanda e Italia, introdusse, timidamente, la pratica delle PRP negli anni novanta.

Tra la fine degli anni novanta e i primi anni 2000, Germania, Corea, Svizzera, Repubblica Ceca, Polonia e Repubblica Slovacca adottarono il meccanismo delle PRP. La Francia ha iniziato nel 2004 la sperimentazione in sei ministeri, introducendo un bonus massimo del 20% sullo stipendio base. Nello stesso anno gli USA hanno iniziato la loro sperimentazione all’interno dei ministeri della Difesa e dell’Interno, permettendo a queste amministrazioni di sviluppare un proprio sistema salariale regolato dal principio del pay for performance[3].

In Italia l’applicazione di sistemi di valutazione delle prestazioni dei dipendenti della Pubblica Amministrazione si sta rivelando troppo spesso poco più che una mera intenzione o un adempimento formale da concordarsi con le parti sindacali, fatta eccezione per alcune eccellenze che fanno scuola, come l’Agenzia delle Entrate, talune amministrazioni locali, come il Comune di Milano, il Comune di Ravenna ed altri. Individuare i best performers tra i dirigenti e i funzionari, in mancanza di un sistema di valutazione formalizzato omogeneo, in mancanza di criteri univoci per la valutazione del raggiungimento dei loro risultati, in un ambiente complesso e con attività molto diversificate, si è rivelato privo di reale efficacia. La necessità odierna di disporre di mansioni sempre più flessibili ed in evoluzione per gestire la complessità delle organizzazioni moderne, la crescente rilevanza della formazione continua, il forte orientamento all’utente finale nel processo di individuazione dei livelli di qualità ed efficienza dei servizi erogati, definiscono ciò che si chiede al lavoro e alla sua organizzazione.

La fase di verifica e valutazione delle prestazioni e delle competenze diviene un momento chiave dell’intero processo. Mentre la prestazione è più facilmente individuabile in quanto dato eminentemente quantitativo, per la definizione di competenza, intesa come capacità di agire e decidere in un contesto, si sono contrapposti due approcci. Il primo definisce le competenze richieste al personale come quelle che sono dedotte dalle competenze fondamentali dell’ente, il secondo invece si definisce dal basso, nella individuazione delle competenze dei singoli, in un processo di individuazione delle caratteristiche dei best performers, a partire dal capitale umano detenuto[4]. Questo secondo approccio assegna una notevole rilevanza al sistema gestione e sviluppo delle risorse umane.

Una ulteriore discriminazione delle competenze viene proposta da Sparrow (1996) che sviluppa tre ulteriori livelli distintivi, nel primo le competenze sono individuate per mezzo della analisi funzionale delle responsabilità, nella identificazione di quanto al manager è richiesto di possedere in termini di conoscenza e di traduzione delle conoscenze nel raggiungimento dei risultati; nel secondo le competenze sono strettamente associate ad alcune caratteristiche, come motivazione, abilità, immagine di se, ruolo sociale, ecc.; il terzo livello mette in stretta relazione le competenze con la capacità di analisi e di pianificazione strategica[5].

Tutto ciò premesso, nemmeno in modo sintetico, la mia provocazione consiste nella proposta di trasformare l’obbligazione che nasce dall’essere un dipendente pubblico da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato, ovviamente per tutti quei dipendenti che non sono addetti agli sportelli per il pubblico. Perché, da dipendente pubblico, posso affermare con certezza che ci sono interi stuoli di dipendenti che vanno regolarmente a lavorare, stanno sempre in ufficio, non vanno né a fare la spesa né a prendere decine di caffè al giorno, ma non producono quasi un tubo. E questi ligi “stacanovisti” se lo possono permettere perché non esiste un reale sistema che valuta imparzialmente quanto in realtà producono in termini di servizi ai cittadini. E il cosiddetto metodo Brunetta non credo che apporterà nulla per migliorare il sistema, semplicemente costringendo le persone ad andare in ufficio, o chiudendo gli accessi a Facebook. Personalmente addirittura raccomanderei ai miei dipendenti di andarsi a rilassare ogni ora, a condizione che tutta l’attività del mio ufficio fosse condotta con responsabilità ed efficienza, oltre che con passione. Questo significa introdurre sani principi privatistici nella Pubblica Amministrazione, dubito che ci si possa riuscire trattando le persone come monelli da correzionale.



[1] Cfr. D. Stentella, “La valutazione dei dirigenti, dei titolari di posizioni organizzative e dei responsabili dei servizi nella Pubblica Amministrazione“, in “Studi e ricerche in economia aziendale e ragioneria“, Siena, 2009.

[2] Cfr. Wilhelm Röpke, “Democrazia ed economia, l’umanesimo liberale nella civica humana”, 2004.

[3] Cfr. PERFORMANCE RELATED PAY POLICIES FOR GOVERNMENT EMPLOYEES, OECD, 2005.

[4] Cfr., D. Duccoli, S. Fabiano, R. Giovannetti, R. Ruffini, RICERCA SULLE COMPETENZE DISTINTIVE DEI DIRIGENTI PUBBLICI, SSPA.

[5] Ibidem.

Per approfondimenti:

  • Absence from work (Da: http://www.eurofound.europa.eu/ewco/studies/tn0911039s/index.htm)