Ugo La Malfa
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Ugo La Malfa nasce a Palermo il 13 gennaio 1903 in una famiglia piccolo-borghese, il padre è un maresciallo di pubblica sicurezza e la madre affronta dure ristrettezze economiche per farlo studiare. Si avvicina fin da giovane a posizioni antifasciste che non celerà mai, anche ricorrendo alla dialettica dei cazzotti. Studia al corso di allievi ufficiali, ma ne viene espulso con disonore perché trovato in possesso di un giornale sovversivo. Verrà anche trasferito in un reggimento di punizione e trascorrerà alcuni mesi in carcere. L’idolo della sua giovinezza era stato Giovanni Amendola di cui condivise l’esperienza della Pentarchia e la visione liberaldemocratica e progressista della politica. Arrivò a Milano nel 1933 dopo essersi laureato a Ca’ Foscari, dove aveva studiato con Gino Luzzatto. Collaborò con l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana come redattore di voci economiche. Durante il fascismo lavorò alla Banca Commerciale del banchiere umanista Raffaele Mattioli dove si occupò del servizio studi, nel 1939 ne divenne direttore. Fu un duro periodo di apprendistato economico, che pochi dei suoi colleghi politici avevano sperimentato nella quale pochissimi dei contemporanei hanno avuto l’umiltà e la compiacenza di cimentarsi, e i risultati si vedono. Alla Banca Commerciale c’erano Giovanni Malagodi, Cesare Merzagora, Enrico Cuccia ed altri nomi eccellenti. L’esperienza della banca lo portò a contatto con tematiche di altissimo spessore, che spesso condizionarono il dopoguerra. Si occupò di efficacia e tempestività delle politiche economiche, fiscali e monetarie, approfondì le forme di interevento dello Stato nell’economia, sperimentate dall’IRI di Beneduce e quelle tentate con grande coraggio da Roosevelt negli Stati Uniti. Studiò con grande attenzione la nuova e economia di Keynes ed Hics, ma anche quella di tradizione neoclassica americana di Taussig, Fisher e quella liberale tedesca di Hayek e Von Mises. Approfondì gli economisti inglesi e francesi di scuolaclassica, da Smith a Say, da Bastiat a J. S. Mill. Il confronto con uomini dello spessore di Malagodi lo guidò verso un serio approfondimento dei rapporti tra politica ed economia ed alla considerazione della necessità di inserire misure di protezione e di gestione degli scambi, materia che non poteva essere lasciata alle decisioni arbitrarie del mercato. Ebbe modo di studiare l’efficacia delle politiche economiche, fiscali e monetarie, e le forme di intervento dello Stato in economia. Dai suoi scritti traspare una profonda conoscenza della materia economica, che ebbe modo di mettere a frutto nella sua lunga carriera politica
Quindi, dopo un lungo e serio apprendistato (Ndr. tanto diverso dall’avventurismo politico odierno), dopo l’8 settembre, diviene uno dei massimi rappresentanti del Partito d’Azione e della Resistenza. Nel P.d’A., con Calamandrei e Parri, rappresenta l’ala libelraldemocratica e anglofila che si contrapponeva, anche aspramente, alla corrente filosocialista di Emilio Lussu e Riccardo Lombardi. Nel governo Parri, 1945, assume la direzione del Ministero dei Trasporti dando impulso, anche all’aiuto logistico degli americani, alla ricostruzione delle più importanti arterie ferroviarie e stradali del Paese. La contrapposizione tra le due anime del P.d’A. e gli scarsi risultati conseguiti alle elezioni per l’Assemblea Costituente del 1946, portano alla fine del piccolo partito laico. La Malfa ne era uscito nel febbraio dello stesso 1946. Benché vi fossero rappresentati i massimi esponenti della cultura dell’epoca, i membri del P.d’A. aderiscono agli altri partiti della sinistra, al PCI, al PSI i filosocialisti ed al PRI i liberaldemocratici. La Malfa e Parri entrano, dopo la breve esperienza della Concentrazione Repubblicana, nel partito dell’Edera e La Malfa ne diventerà segretario nel 1965 per rimanerne leader fino alla morte avvenuta nel 1979. Dopo la fine della solidarietà antifascista e l’estromissione dei socialcomunisti dal governo del paese, il PRI rimane nella coalizioni degasperiane centriste. Nel 1950-51, VI e VII De Gasperi, è Ministro senza portafoglio ed a interim Ministro per il Commercio Estero. È in questo ruolo che promuove l’avvio della liberalizzazione del commercio italiano verso l’estero passando per l’abolizione di molti dazi doganali, è il primo passo verso il lungo percorso di integrazione europea che, proprio in quegli anni e in maniera lungimirante l’Italia stava intraprendendo. Il ministro La Malfa, così operando, dimostrava tutta la sua convinta fede europeista a cui cercava di dare applicazione pratica. Matura in quegli anni anche una convinta strategia politica, creare una terza forza, laica e progressista, composta dai repubblicani, i socialisti riformisti di Saragat, i demolaburisti di Ruini, gli ex azionisti dispersi e liberali radicali raccolti attorno a Il Mondo di Mario Panunzio. Compito di questo partito liberalriformista di stampo europeo è la mediazione e il raccordo di due grandi blocchi di massa, i democristiani ed i socialcomunisti di Togliatti e Nenni. Fallito questo tentativo, volle fare del PRI l’elemento propulsore dell’innovazione politica in Italia in ottica europea ed europeista. È il massimo fautore dell’apertura a sinistra, ossia dell’inclusione del PSI di Nenni nel governo, infatti insieme a Moro, Fanfani e Nenni, terrà a battesimo il centro-sinistra, formula di governo auspicata fin dagli anni ’50.

Nel 1962 è Ministro del Bilancio e della programmazione economica nel IV Governo Fanfani, sarà artefice delle grandi nazionalizzazioni come, ad esempio, l’Enel e di un tentativo di pianificazione economica attuata attraverso la “Nota aggiuntiva al bilancio”, del 1962, in cui si auspicava, in cambio di una moderazione salariale da parte delle organizzazioni operaie, una serie di riforme strutturali dell’Italia. La nazionalizzazione dell’industria elettrica fu un grande atto politico, ma soprattutto una ottima scelta economica, che prendeva atto della sussistenza dello status di monopolio naturale del settore energetico. Anche questa una scelta strategica vanificata dai governi post Tangentopoli, anche sulla spinta di una nuova era neoliberista che ha influenzato non poco tutta l’Unione Europea. La Malfa tuttavia non era un fautore dei monopoli, anzi sosteneva che questi andavano combattuti attraverso l’intervento legislativo, per creare condizioni di libera concorrenza, anche al fine di regolamentare i prezzi dei servizi di pubblica utilità provvisti in regime di monopolio. Fu un fautore della tassazione dei profitti da monopolio.
I sindacati ed il Pci riterranno inaccettabile tale proposta di moderazione salariale, ma il maggiore ostruzionismo alle tesi lamalfiane ed all’azione riformatrice del centro-sinistra verranno da ambienti confindustriali e dalla destra. Nel 1964, dopo il “rumor di sciabole” dell’affaire De Lorenzo, finisce la spinta propulsiva del centro-sinistra e le riforme, con buona pace e con il rammarico di La Malfa e del duo socialista Lombardi Giolitti, vengono rinviate “a data da destinarsi”. Sul finire degli anni 60 La Malfa compie un’ulteriore elaborazione politica, sostiene la necessità di includere e di coinvolgere il Partito Comunista Italiano nel governo. In quest’ottica, anche attraverso articoli apparsi sulla rivista ufficiale del partito di via delle Botteghe Oscure, Rinascita, comincerà un lungo e proficuo confronto con i massimi dirigenti comunisti, in primo luogo con Giorgio Amendola e Pietro Ingrao. La linea della formazione di una grande coalizione, comprendente i maggiori partiti democratici, dai democristiani ai comunisti, passando per i socialisti e senza escludere i laici, trova l’assenso del leader del PCI Enrico Berlinguer, teorizzatore di un compromesso di portata storica, del segretario del Psi Francesco De Martino, che proponeva equilibri più avanzati, e del presidente della DC Aldo Moro, che voleva allargare le basi della democrazia. La tragedia di Moro impedirà la realizzazione di questo programma di modernizzazione dell’Italia e aprirà le porte al craxismo di cui Ugo La Malfa fu uno dei più convinti e forti oppositori. Da sempre impegnato nella lotta alla corruzione, anche a costo di ammettere errori personali e del suo partito, La Malfa si oppose duramente, da Ministro del Tesoro del IV Governo Rumor, 1973, ai piani di Sindona e di Gelli. L’ultimo incarico di governo lo assunse pochi giorni prima di morire nel 1979, divenendo Vicepresidente del Consiglio e Ministro del Bilancio e della programmazione economica nel V governo presieduto da Giulio Andreotti.
Fu un propugnatore della programmazione della spesa pubblica, a fronte di un aumento del risparmio, finanziata attraverso la tassazione, sotto il vincolo delle risorse esistenti. Intendeva l’intervento dello Stato principalmente come produzione dei beni pubblici, cioè di quei beni che danno un benefici collettivo superiore a quello privato, infrastrutture, scuole, servizi sanitari. Sostenne la tesi dello sviluppo industriale del sud, anche in un regime di crescita duale del paese, sostenuto in questa tesi da economisti di scuola classica, come W. A. Lewis e Paul Rosenstein, e da economisti di scuola keynesiana, come Alfred Hirschman.
Purtroppo, lentamente, un po’ come era già successo a De Gasperi, La Malfa si venne a trovare in un ambiente politico in decadenza, poco orientato alla missione dei grandi obiettivi, sempre più impegnato nel mantenimento del potere, governato da quelli che Guido Carli definì “spezzoni di partito senza ideali”, padri degli attuali nani, nel nostro caso non è esattamente una metafora.