Un sistema politico in crisi
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Tuttavia non ho ancora ascoltato una, dico una, sola riflessione apprezzabile o intelligente sull’argomento, e meno di tutti riesco a comprendere proprio i commenti antipolitici provenienti da ambiente industriale, perché mi chiedo se davvero in occasione di una crisi un imprenditore si preoccupa di pagare meno i suoi bravi dirigenti, con la certezza che vadano a cercare retribuzioni più elevate altrove, secondo le più elementari leggi di ottima allocazione delle risorse, lasciando il posto a manager meno capaci che si potrebbero accontentare di quel livello di retribuzione.

In realtà i pur alti emolumenti dei parlamentari, il cui valore si attesta intorno ai 15000 euro mensili, sono veramente poca cosa per un “nominato” che faccia fino in fondo il suo lavoro. Dall’importo lordo andrebbero sottratte: una percentuale che per statuto, nei maggiori partiti, deve essere conferita come contributo di funzionamento alla segreteria nazionale e alle segreterie regionali e provinciali di appartenenza, la retribuzione di uno o due collaboratori di segreteria a Roma, una segreteria e uno o due collaboratori di segreteria nel collegio di appartenenza, le spese personali di soggiorno, le spese di consulenza (perché nessuno, nonostante il possesso eventuale di titoli accademici, è tuttologo), ecc.

La vera questione è: “chi paghiamo per fare cosa?”. La collettività paga i parlamentari per svolgere una funzione, l’esercizio del potere legislativo, non in rappresentanza dei rispettivi partiti di appartenenza, ma in nome e per conto del popolo elettore (L. Sturzo, 1957). Questa è la funzione assegnata al Parlamento dalla nostra Costituzione, gli altri titolari della sola fase dell’iniziativa legislativa sono il Governo, i cittadini (possono presentare una proposta formulata in articoli e accompagnata dalle firme di 50.000 elettori), i consigli regionali e il CNEL. Il Parlamento è inoltre titolare della funzione di controllo sul Governo e di indirizzo politico, forse le funzioni più scomode per governi che tendono a derivare in senso presidenzialista e autoritario. La funzione di controllo si sostanzia in inchieste, interpellanze ed interrogazioni. Le inchieste sono svolte dalle commissioni d’inchiesta, le quali in questa veste assumono i caratteri dell’autorità giudiziaria (art.82 Costituzione), realizzando indagini sull’operato del Governo che consentono al Parlamento di esercitare un controllo su fatti e comportamenti di tutti quei soggetti che operano nella realtà sociale politica ed economica del paese. La funzione di indirizzo politico trova le sue ragioni nel rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo, i cui strumenti operativi sono la mozione di fiducia, la questione di fiducia e la mozione di sfiducia, rivolta all’intero governo oppure a un singolo ministro. Ulteriori strumenti di indirizzo politico sono le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del giorno di istruzione al governo.

Quindi si evince che la vera questione ruota intorno alla capacità, accertata, del parlamentare di assolvere a questa molteplicità di funzioni, cardine dei moderni sistemi democratici.

Sorvoliamo, per ora, sulla faccenduola della assoluta mancanza di democraticità insita nel sistema di elezione dei nostri parlamentari, inseriti in una lista bloccata e progressiva decisa di fatto dal principe, non dalle segreterie di riferimento dei rispettivi collegi elettorali, metodo degno di quei sistemi dittatoriali comunisti dell’est Europa che tutti noi ex di qualche partito della prima Repubblica abbiamo tanto deplorato.

Ma come potremmo sorvolare sulla questione relativa al possesso di idonei requisiti da parte dei candidati a qualsiasi tipo di elezione in assemblee amministrative, deputate ad assolvere a funzioni che a livello nazionale e regionale sono prima di tutto di tipo legislativo.

Se a chi esercita la professione medica si richiede, come requisito essenziale, la laurea in medicina, se a un ingegnere si richiede la laurea in ingegneria, se a un addetto al movimento terra si richiede la patente di guida idonea ed esperienza, se per fare l’usciere in un ente pubblico o l’addetto all’igiene ambientale ti chiedono almeno la terza media, come mai qualunque sprovveduto, anche branchiato di fiume, può andare ad espletare la funzione legata al potere legislativo, così importante, fondamentale, per una nazione, senza sapere assolutamente nulla di diritto pubblico, privato, amministrativo, regolamenti parlamentari, ecc.? Come mai non ci si preoccupa minimamente di inviare a svolgere questa importantissima funzione il meglio del Paese? Come mai non interessa un fico secco neppure della fedina penale dei nominati? Non stiamo parlando del circolo canottieri, ma del Parlamento, o dei Consigli regionali, per i quali probabilmente il numero dei membri andrebbe rivisto, ma non le retribuzioni, perché se questa è la funzione più importante per una nazione non si comprende perché non dovrebbe essere pagata più di qualunque altra mansione economica.

Personalmente vorrei un parlamentare retribuito adeguatamente, in relazione al suo livello di produzione, fornito di ogni tipo di benefit per meglio espletare il suo compito, impossibilitato per legge a svolgere qualunque altro lavoro, passibile di essere licenziato dopo un certo numero di assenze, come in qualunque consiglio di amministrazione, anche quello di una associazione del volontariato. Poco mi interessa dei gusti sessuali, del colore della pelle, del numero di divorzi, di cosa colleziona, dello sport che pratica un candidato o un eletto, vorrei essere certo che si staesse facendo il possibile per mandare nelle assemblee legislative il meglio dei figli d’Italia. Lo Stato su questo si fonda, su problemi tecnici, di tecnica economica, giuridica e sociale, la cui soluzione è correlata al possesso di capacità, tecniche appunto, espresse in conformità a norme base, condivise (Luigi Sturzo, 1945).

 

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