C’era una volta la Règia Fabbrica d’Armi di Terni, d’Italia.
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Gen. B. (RIS) Aldebrano Micheli, 2017 ©

L’ultimo corso allievi operai si è svolto nel 1985, quando furono assunte 16 unità lavorative, poi il nulla. La fabbrica sta estinguendosi e sta perdendo l’immenso patrimonio di capacità lavorativa, di conoscenza, di esperienza e di nozioni apprese in 142 anni di storia e di lavoro.

C’era una volta … così cominciano le favole, come quella della Règia Fabbrica d’Armi di Terni, (in seguito RFA).

La favola della RFA cominciò il 2 maggio del 1875, quando il Tenente Generale nonché Ministro della Guerra Cesare Francesco Ricotti Magnani pose la prima pietra di questa fabbrica che si rivelò di importanza vitale per l’Esercito Italiano in primis ma, anche per le altre Forze Armate.

600 operai completarono i lavori di costruzione dei fabbricati in soli quattro anni, altrettanti ce ne vollero per realizzare gli impianti tecnologici e piazzare le macchine utensili, ma dal 1884 ogni ora uscivano da questa fabbrica 25 fucili tipo Vetterli monocolpo calibro 10,35×47.

L’evoluzione tecnologica delle armi costrinse, nel tempo, la fabbrica ad adeguarsi e, sotto la guida di valenti Direttori, costituì sempre un punto di riferimento per la progettazione e la costruzione di armi. Oggi, questa gloriosa fabbrica agonizza per l’incuria, il menefreghismo, il sabotaggio, il tradimento di coloro che, al contrario, ne dovrebbero assicurare il mantenimento e lo sviluppo nell’interesse della nazione e delle sue Forze Armate.

Ho lavorato 17 anni in questa fabbrica e vedendo giornalmente degradarne l’efficienza e la produzione, ho cercato in tutti i modi di sensibilizzare chi di dovere a prendere i necessari provvedimenti per rilanciarla. Ho parlato con una moltitudine di politicanti che su vetture di prestigio sono venuti a rendersi conto della realtà, accompagnati da scorte di decine di persone, ho assistito al loro parlare a vanvera, li ho visti gradire un pranzetto per poi non dare seguito a niente. Mi viene la nausea solo a pensarci.

L’ultimo corso allievi operai si è svolto nel 1985, quando furono assunte 16 unità lavorative, poi il nulla.

La fabbrica sta estinguendosi e sta perdendo l’immenso patrimonio di capacità lavorativa, di conoscenza, di esperienza e di nozioni apprese in 142 anni di storia e di lavoro, per mancanza di nuovi assunti da affiancare ad operai esperti prossimi alla pensione. La RFA, oggi PMAL, è destinata a morire per inedia.

Sono anni e anni che non vengono verniciati i bellissimi lampioni in ghisa prospicienti il fabbricato principale, che non viene rinnovata la pittura della facciata, che non vengono fatti i lavori per eliminare le infiltrazioni di umidità, evidenti trascuratezze che evidenziano il disinteresse a mantenere in vita quest’opificio.

Ci fu un tempo in cui Terni e tutta l’Italia erano un immenso cantiere, nascevano industrie di ogni tipo, quelle esistenti si sviluppavano, la nazione era rispettata dal mondo intero per la sua operosità, eravamo eccellenti in ogni campo, in ogni disciplina, le leggi sociali ed i diritti personali furono oggetto di studi ed applicazione in altri paesi come gli Stati Uniti d’America che nel 1930 mandarono un’ apposita commissione per comprendere come fosse stato possibile applicare si governa in Italia, con successo, quelle stesse politiche di New Deal che negli USA avevano prodotto modestissimi risultati, a fronte di una spesa colossale.

La nostra città venne definita la Manchester d’Italia per le sue prestigiose industrie, tra le quali eccellevano la Fabbrica d’Armi e l’Acciaieria.

Ora le industrie che una volta erano fiorenti e che davano lavoro ad una moltitudine di persone, schiacciate da una tassazione assurda e criminale, chiudono, emigrano o vengono vendute, e a che prezzo. Un esempio: nell’interland di Feltre è stata venduta ai cinesi una fabbrica con 254 operai, ai quali per conservare il posto di lavoro i nuovi proprietari hanno posto queste condizioni: stipendio ridotto del 30%, ferie una settimana all’anno, assenze per malattia non pagate, ed altre amenità del genere.

Adesso che il danno è fatto, anzi il disastro, i sindacati sembrano uscire dal letargo per richiamare l’attenzione delle autorità sulla situazione reale della Fabbrica. Non servirà a niente!

Terni perderà una realtà industriale ricca di storia che poteva assicurare più di 1000 posti di lavoro ed un indotto di pari entità, l’Italia perderà un’industria che poteva assicurare una calmierazione del mercato delle armi ed un collaudo sicuro per le armi fornite da privati.

Ma è proprio questo il problema insormontabile, un fucile prodotto nella Fabbrica d’Armi di Terni verrebbe pagato al prezzo di costo in quanto, essendo la Fabbrica di proprietà del Governo, non c’è scopo di lucro sui prodotti, quindi niente soldi di “ritorno” altrimenti detti “mazzette”.

Quindi nella logica dei vertici degli addetti ai lavori sarebbe meglio pagare un fucile venti volte tanto per accontentare i vari attori politici?

Questo sarebbe un atteggiamento schifoso, dannoso, incompatibile con lo status degli attuali vertici militari e governativi, oserei aggiungere che tutto questo mi ricorda il disfacimento per corruzione del Regno delle Due Sicilie, poco prima della sua occupazione da parte della piccola potenza militare dei Savoia.

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