Industria e multinazionali a Terni
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Atti del Convegno “Industria e multinazionali a Terni” a cura del CE.ST.R.E.S.
Terni, Palazzo Bazzani, 13 luglio 2004

Intervento del Vice Presidente del CE.ST.R.E.S. Danilo Stentella
(Pubblicato in integrale su Indagini n. 87/2004)

Premetto al mio breve intervento che mi pare di aver capito, a questo punto dei lavori, che si va delineando un problema di metodo della gestione dei processi di privatizzazione, più che di giustificazione o meno del fenomeno. Sono stato particolarmente e favorevolmente colpito dall’auspicio del professor Terenzio Malvetani che sostiene: “il neoliberismo non è l’ultima puntata, non può avere vinto”. Come sono spaventato quando sento asserire da esponenti politici di sinistra: “il mercato ci richiede questo, il mercato ci chiede quello, ecc”.
Il mercato non è un’entità astratta, gestire la cosa pubblica e fare politica significa coltivare l’interesse della collettività. Un mio docente universitario mi ricordava spesso che il dilemma irrisolto dell’economia è il seguente: si vive per lavorare o si lavora per vivere? Il mercato ci governa o noi possiamo governarlo? L’approfondito e qualificato ragionamento del Professor Carnieri sulla necessità di essere capaci di attrarre multinazionali mi fa riflettere sul bisogno di distinguere tra la capacità di attrarre queste potenti entità e il bisogno di difendersi dalla pericolosa e spietata capacità che le stesse hanno di colonizzare economicamente i territori unita alla enorme velocità con la quale sono in grado di delocalizzare i loro impegni.
Qualcuno, agli inizi degli anni 90, ha pensato che fosse utile e giusto che lo stato smettesse di occuparsi di panettoni, pelati in scatola, ecc. ecc. e acciaio. Per convincere lo stato a cessare di fare tutte queste cose che non si addicono a una così alta istituzione è stato necessario mandare in congedo una intera classe politica di riluttanti guardiani della cosa pubblica. Mani pulite si rivelò lo strumento più efficace per questo fine. Scomparvero dalle scene in breve i grandi leader politici e per essere veramente sicuri che non se ne potessero formare di nuovi attraverso un sistema di selezione fu provveduto alla sterilizzazione dei partiti attraverso il cambiamento del sistema elettorale.
L’operazione referendaria del Patto Segni contribuì ad indebolire il sistema paese chiudendo l’epoca delle elezioni con il sistema proporzionale, introducendo il maggioritario uninominale, che avrebbe dovuto stimolare il formarsi di due soli schieramenti politici. Tra privatizzazioni allegre, quasi da sbronzi, e una classe politica che presa nel suo complesso brilla per la mancanza della politica stessa e assenza di capacità di programmazione, il paese è entrato nell’epoca della cosiddetta globalizzazione come colonizzato.
Il momento ci ricorda un po’ i tempi in cui una volta scendevano a dominarci i francesi, una volta gli spagnoli, l’altra i tedeschi e così via. Molte multinazionali hanno realizzato ottimi investimenti grazie alle dismissioni dello Stato, acquisendo pacchetti azionari di maggioranza o di riferimento nei principali settori strategici italiani, mentre analoghi tentativi di aziende italiane hanno trovato e trovano enormi difficoltà di penetrazione anche e soprattutto all’interno della Comunità Europea.
E’ chiaro che chi ha messo le mani in pentola per preparare questa cosa sono stati i ballerini di terza fila rimasti sul palcoscenico dopo le epurazioni di Tangentopoli, come è chiaro che sicuramente hanno combinato questo casino convinti di lavorare per il bene del paese.
Purtroppo i grandi guai di questo pianeta non sono quasi mai stati il prodotto di cattive intenzioni ma di una sconfinata ambizione verso il bene e della assoluta convinzione dei presuntuosi di poterlo ottenere senza il concorso di molti. I cosiddetti riformatori degli anni 90 hanno lavorato alacremente a distruggere, senza alcun rispetto, un modello di cooperazione sul quale si basava, seppure con molte imperfezioni, la coesione sociale.


Hanno accresciuto le disuguaglianze e la brutalità della concorrenza, diminuendo la qualità dei sistemi economici e della vita. In proposito mi piace citare il paradosso di Michel Albert: “il capitalismo renano sembra tanto superiore alla versione anglosassone, ma sono i tedeschi a tentare di diventare come gli americani, non viceversa” .
Quindi credo di poter esprimere una risposta al primo quesito posto dal Presidente Bartolini così: non so se fu giusto privatizzare la Temi, sono convinto che avrebbe potuto essere utile ed efficace se ciò avesse potuto contribuire a migliorare un sistema economico di economia mista, con uno Stato più snello. Anche se sono convinto che i settori strategici delle economie regionali europee non possano essere lasciati alla discrezionalità di localizzazione delle multinazionali e dei privati in genere.
Fu giusto imboccare la via delle grandi privatizzazioni e del disimpegno dello stato dall’economia industriale pubblica come suggerito dal fondo monetario internazionale a tutti i paesi del mondo? Grandi pensatori del Novecento, come Croce, Sturzo, Einaudi e altri, auspicarono uno stato che ingerisse il meno che fosse stato possibile nell’economia, erano i filosofi e gli economisti liberisti, portatori, ancora negli anni 50 di un’idea teoricamente affascinante che aveva dolorosamente mostrato tutti i suoi limiti fin dall’inizio del XX secolo, appalesandosi in tutta la sua tragica precarietà con il crack di Wall Street del 1929. Keynes e i neokeynesiani ci consegnarono una insuperata teoria di sistemi economici efficienti, che se ricordo bene, come ricordo bene, non prevede elementi di liberismo selvaggio o di espulsione dal sistema dei fattori economici più deboli.
La ricetta suggerita dal FMI sarà anche buona, perché è applicata dalla maggior parte dei paesi, ma nei fatti genera crisi e fallimenti a catena in tutto il mondo, coinvolgendo seriamente grandi banche creditrici e mettendo in crisi un sistema globale. La dove il metodo FMI genera crescita non induce distribuzione della ricchezza ma concentrazione. Quindi la mia risposta non può che essere negativa.
La nuova economia postulata dal FMI, o sarebbe meglio dire dal Tesoro degli USA, sostituisce l’interesse e l’utile al benessere diffuso, alla cura dell’ambiente, della democrazia, dei diritti umani, alla giustizia sociale e ai diritti del lavoro. Ritengo che la finanziarizzazione dell’economia e dei sistemi organizzativi sociali non possa e non debba sostituirsi ai grandi progetti del XX secolo, quello socialista e quello cristiano sociale.
Tornando alle nostre privatizzazioni, ma si, chiamiamole pure all’italiana, attuate sull’onda emozionaIe di una chimera di nome New Economy o liberalizzazione dei mercati, teniamo presente che gli USA detengono nel patrimonio federale fior di aziende, tra le quali quattro delle famose sette sorelle del petrolio, e, pur in mezzo al caos dell’economia americana, proteggono o tentano di proteggere con forti dazi all’importazione le produzioni strategiche, mentre in sede di round agreements non si stancano di chiedere al mondo di aprirsi ai loro prodotti e soprattutto ai loro servizi.”

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