Ipotesi sulla storia antica della bonifica della Valle Ternana
Print Friendly, PDF & Email

Pubblicato in Indagini n. 74/1997

Circa la storia della bonifica, a Terni come nel resto del paese, occorre forse rivedere tanti punti fermi che così saldi sembrerebbero non essere più non appena ci si prenda cura di riflettere sui dati storici a disposizione, mettendoli a confronto con tutti quei dogmi che hanno resistito per tanto tempo, forse solo grazie al “copia incolla”, sino a divenire molto più che stantii. I primi abitatori della valle ternana si trovarono sicuramente nelle condizioni di subire i vezzi stagionali della grande energia dei corsi d’acqua, senza poterla dominare o utilizzare per i propri bisogni, e dalla quale potevano soltanto difendersi a costo di enormi sacrifici. Probabilmente per questo motivo edificarono i loro villaggi e i loro santuari in posizioni sicure di altura, presso l’intersezione di antichi sentieri, mentre alcune delle loro necropoli, situate più in basso, vennero periodicamente invase e coperte dal limo depositato dalle piene del fiume Nera e del torrente Serra. Ritengo non si possa ignorare la possibilità che le prime opere di canalizzazione siamo state realizzate in epoca preromana, pure in assenza di fonti storiche o di resti che possano confermare definitivamente una simile teoria.

 

Tuttavia credo improbabile che gli antichi abitanti della valle e dei declivi pedemontani abbiamo potuto tollerare passivamente i capricci del fiume fino all’arrivo dei colonizzatori romani. Sembra più verosimile che gli ingegneri romani abbiamo perfezionato ed ampliato opere idrauliche preesistenti, probabilmente modeste ed approssimative, per garantire una maggiore affidabilità e portanza delle opere stesse. Una traccia di queste primitive opere di bonifica può essere ravvisata in alcuni passi di Dionigi di Alicarnasso, riferiti ad opere idrauliche realizzate dai cosiddetti Pelasgi nella valle reatina, cui lo stesso Verri fa riferimento scrivendo di grandi opere che modificarono pesantemente la regione (Cfr. Verri, Un capitolo di geografia fisica, Roma, 1901). D’altro canto la presenza dell’uomo è attestata nella valle ternana e sulle rive del Lacus Velinus fino dal X secolo a. C., quindi tra il bronzo finale e l’inizio dell’età del ferro, come è testimoniato dai reperti provenienti dal ripostiglio di Piediluco, dalle tracce erratiche di Cor delle Fosse, sito nelle immediate adiacenze dell’abitato di Marmore, e dalle tombe rinvenute in località Ponte del Toro. In particolare nella zona del Lago di Piediluco e della piana reatina sono stati di recente individuati numerosi insediamenti perilacustri per i quali è stata documentata una frequentazione continuativa che va dal bronzo medio (XIV-XIII sec. A. C.) alla prima età del ferro (IX-VIII sec. A. C.). Con una intuizione che sarà confermata solo negli anni cinquanta, in occasione degli scavi condotti dalla Oxford University, il Verri e il Lanzi ipotizzarono che il popolamento vero e proprio della zona fosse avvenuto dopo la fine delle grandi eruzioni dei vulcani laziali, seppure in un’epoca in cui una certa attività eruttiva permaneva.


Nel 1819, nelle vicinanze della villa Graziani, in località Selva Piana, fu scoperto dal Riccardi o dal Guattani, un ponte ad una sola arcata. E’ il cosiddetto Ponte del Toro, situato nei pressi dell’opera di presa del canale Cervino e del sito in cui Massimo Pallottino localizzò il più antico insediamento umano della conca ternana. Luigi Lanzi, che riscoprì il ponte all’inizio del XX secolo, dopo che l’umus e la vegetazione ne avevano di novo fatto perdere le tracce, postulò una interessante datazione del ponte, collocandone la costruzione ad un’epoca anteriore al taglio Curiano della Cascata delle Marmore, quindi anteriore al 271 a. C. L’assunto si basa sull’ipotesi che “con il prosciugamento della palude reatina cessarono le incrostazioni sul ciglione delle Marmore. Il carbonato di calcio cominciò a depositarsi con ancora maggiore forza nella valle sottostante. Natura tale di cose farebbe prendere a stimare la costruzione arcuata del Toro anteriore all’emissario. Pel Ponte del Toro ci sono ragioni forti per porlo nei monumenti della remota civiltà …. La misura del tempo in cui successero le incrostazioni non misura il grado di antichità del ponte, il quale allorché fu sepolto doveva essere, chi sa da quando, un rudere inservibile”. Dello stesso avviso sembra essere Gisa Giani: “… è assolutamente certo che il ponte costruito con grossi blocchi regolari … deve considerarsi di epoca molto anteriore al taglio della Cascata, rappresentando perciò il più antico manufatto del nostro territorio” (Cfr. G. Giani, Qualcosa che non sapevamo sulla Cascata delle Marmore, Terni, 1980). Effettivamente il ponte del Toro appare, ad una prima analisi, il risultato del restauro di un’opera precedente; la parte sommitale dell’arco è realizzata con pietre di dimensioni e lavorazione completamente diverse dai blocchi basali, le aggiunte più recenti sono rappresentate da blocchi bugnati, mentre le basali, più antiche, sono blocchi semplici. Queste supposizioni, in contrasto con il dogma che vuole gli Etruschi inventori dell’arco, trovano un ragionevole fondamento nelle scoperte che seguirono le campagne di scavo condotte negli anni cinquanta e sessanta del XX secolo dall’Università di Oxford presso il Foro Romano. In quell’occasione furono rilevati alcuni canali di scolo coperti, collegati alla Cloaca Massima, nei quali erano presenti archi a tutto sesto che vennero stimati come precedenti a qualsiasi arco dello stesso genere, conosciuto in Etruria. Il professor Last scriveva in proposito: “L’affermazione che Roma imparò dall’Etruria a impiegare strutture architettoniche ad arco non è basata su alcuna prova … ” (Hugo Last, La fondazione di Roma, in The Cambridge Ancient History, Londra, 1975). Dato anche il ruolo preponderante che la maggior parte della recente letteratura scientifica riconosce agli Umbri nella fondazione di Roma, sembra potersi ridimensionare il ruolo avuto da altre genti contermini e sembra altresì ridursi a livello strettamente episodico lo stesso contributo etrusco. Si può quindi ipotizzare che il ponte del Toro possa rappresentare il modello più evoluto di un tipo di arco già in uso nella bassa Umbria, in epoche di molto antecedenti il taglio della Cascata delle Marmore, e quindi antecedenti l’occupazione romana. Naturalmente questa mia ipotesi necessiterà di fortunati riscontri archeologici che sono certo non mancheranno, quando la ricerca nel nostro territorio potrà riprendere seriamente e in modo sistematico.

[youtube]http://youtu.be/PCDq__aWJB4[/youtube]

Vedi anche: Ponte Toro