Mario Scelba
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Mario Scelba nacque nel 1901 a Caltagirone, in Provincia di Catania e fu stretto collaboratore di una altro autorevole uomo politico siciliano, don Luigi Sturzo di cui fu segretario particolare nel primo dopoguerra.
È morto a Roma nel 1991 a 90 anni lasciando una cospicua opera autobiografica, molto utile per ricostruire e capire gli anni dell’immediato dopoguerra, anni tragici e duri di cui Mario Scelba fu, nel bene e nel male, uno dei più importanti protagonisti.
Visse fin dall’inizio l’esperienza politica e culturale del Partito Popolare. Chiamato a Roma da Sturzo, di cui divenne collaboratore, allievo ed autorevole interprete, condivise la storia del partito in tutti i suoi momenti cruciali, dalla presa del potere da parte di Mussolini al congresso di Torino e alla conseguente svolta “antifascista” del partito, dalla battaglia contro la legge Acerbo all’assassinio di Matteotti, dalla secessione aventiniana all’esilio di Sturzo ed allo scioglimento del partito.
Scelba rimase profondamente colpito dalla debolezza dello Stato liberale che si era lasciato sopraffare dalle violenze eversive fasciste e le cui classi dirigenti si erano rivelate inette e incapaci di garantire la sopravvivenza dello Stato di diritto. Questa esperienza orienterà in avvenire la sua condotta politica che, assieme a quella di De Gasperi, assumerà sempre più connotati di indiscutibile intransigenza contro ogni tentazione di cedimento e di compromesso nei confronti del fascismo, fino alla legge, di cui fu promotore e che porta il suo nome, emanata per impedirne la ricostituzione.

La radice del suo antifascismo è la stessa che caratterizzò il suo anticomunismo: la difesa della libertà e della persona umana contro tutte le diverse forme di totalitarismo.
Nel 1943, alla vigilia della catastrofe militare e quindi del crollo del fascismo, ritroviamo Scelba sui sentieri della politica, assieme agli ex popolari, partecipe delle riunioni clandestine con De Gasperi, Spataro, Gronchi, Gonella. In quei giorni tempestosi si gettarono le basi del nuovo partito dei cattolici democratici e Scelba contribuì in modo decisivo alla stesura definitiva delle “Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana“.
La guerra lasciò il Paese materialmente e moralmente prostrato, carico di forti tensioni politiche e sociali. In questi difficili momenti della storia della nostra Repubblica Scelba fu incaricato da De Gasperi di assumere il dicastero degli Interni, che tenne senza interruzioni dal 1947 al 1953. Egli spese tutta la sua passione politica nelle trattative per definire, nell’Italia liberata, i compiti di quegli organismi costituitisi durante la guerra di liberazione e ai quali i partiti della sinistra volevano assegnare poteri politici, amministrativi e giudiziari. Scelba riuscì a far prevalere invece la linea tendente a riconoscere ai Comitati di liberazione centrale e locali, funzioni consultive a fianco delle autorità istituzionali: prefetti e questori.


Sarebbe giusto oggi riconoscere che così facendo Scelba diede anche un contributo prezioso alla evoluzione democratica della sinistra. Non possiamo però neppure dimenticare che gli anni in cui Scelba ebbe a ricoprire le più alte responsabilità istituzionali, ministro degli Interni e presidente del Consiglio, hanno coinciso con il maggior appiattimento del PCI sulle posizioni di Stalin e dell’Unione Sovietica.
Di fronte ai disordini che scoppiavano in diverse regioni del Paese, alle violenze cosiddette rivoluzionarie che legittimavano l’eliminazione fisica degli avversari politici o di classe, alle stragi di mafia in Sicilia ed al sospetto sempre più fondato di velleità insurrezionalistiche da parte di spezzoni esagitati della sinistra, Scelba riorganizzò le forze dell’ordine e ricostruì l’apparato burocratico dello Stato.
Nelle sue memorie è lo stesso Scelba che scrive: “nominato Ministro degli Interni, mi posi il problema di come affrontare la situazione del Paese. Largamente diffusa era la paura di una conquista violenta dello stato da parte dei comunisti. Ma sapevo anche cosa il Paese si aspettava da me. Il PCI operava allora come sezione staccata del partito comunista sovietico. Il suo avvento al potere, se si fosse verificato, avrebbe fatto dell’Italia un satellite di Mosca e avrebbe imposto al Paese un regime dittatoriale peggiore del precedente“.
Il suo principale merito storico, al pari dell’intera Democrazia Cristiana, è stato proprio quello di avere fermato il comunismo sul terreno della democrazia, da posizioni chiaramente democratiche di centro, di aver battuto sul nascere tentativi autoritari di destra, di aver costruito l’economia sociale di mercato favorendo lo sviluppo e il benessere dell’Italia libera. Scelba fu tuttavia uno dei ministri dell’Interno più attaccati, denigrati e oggetto delle critiche degli avversari.


Per decenni la propaganda ideologica di destra e di sinistra lo ha presentato come un reazionario, nemico della democrazia e di ogni posizione politica moderata. Una immagine che storici faziosi hanno avallato con interpretazioni forzate o stravolte del suo impegno politico, ignorando volutamente o tacendo quali fossero i fondamentali ideali di quell’impegno, ai quali Scelba restò fedele per tutta la vita.
Egli invece ha scritto una delle pagine più importanti della storia della nostra Repubblica. Ebbe il coraggio di affrontare, senza mutare le proprie convinzioni, l’impopolarità che derivava dall’essere considerato il simbolo di una stagione di presunte repressioni o di illegalità.
La questione della sicurezza interna, che egli ritenne essenziale in quegli anni, si ripropone oggi con drammatica attualità. Il terrorismo internazionale, la criminalità organizzata e comune, il ritorno preoccupante di una violenza di piazza, impongono una politica della sicurezza ferma ed autorevole, che operi nella legalità per preservare la legalità e l’ordine pubblico.


Decisivo è stato il suo contributo alla stabilizzazione di quella cornice istituzionale dello Stato di diritto che era ed è la condizione ineliminabile di una autentica dialettica politica, nell’orizzonte del primato della democrazia parlamentare su quella della piazza, del primato delle regole condivise su quello delle emozioni.
Decisivo fu anche il suo impegno, assieme a De Gasperi, per la costruzione dell’Europa e per il superamento delle ferite e delle divisioni del passato. Una passione, quella europea, che accompagnò l’intera parabola del suo impegno politico, e che lo vide, dal 1969 al 1971, assumere l’incarico di presidente del Parlamento europeo.Il suo forte riferimento alla persona umana come soggetto di diritti e di doveri, indica in lui l’attaccamento profondo ai valori della vera uguaglianza e solidarietà fra i cittadini. Scelba e i popolari della tradizione degasperiana avevano un giudizio laico nettissimo sulla autonoma capacità della cultura ebraico cristiana di illuminare la storia, di guidare verso il futuro senza venire a patti idealmente con nessuna tradizione totalitaria.
A distanza di dieci anni dalla sua morte le sue idee, i suoi valori, la sua testimonianza politica, restano una fonte di ispirazione per tutti coloro che oggi vogliono intendere in profondità i problemi della politica italiana dandole nuove prospettive strategiche e istituzionali. Egli fu dunque un interprete genuino e fedele del suo tempo, del contrasto fra le grandi ideologie di massa che hanno percorso la storia del Novecento.
Oggi, grazie a uomini come Scelba, grazie alla democrazia cui sono stati restituiti i Paesi che erano caduti nella tragedia del totalitarismo, noi possiamo finalmente sperare di prendere congedo dal Novecento.C ongedarsi dal secolo delle ideologie non significa abbracciare un pensiero politico debole. Né vuol dire piegarsi ad una visione relativistica della democrazia. Vuol dire, piuttosto, interpretare la politica come confronto serrato di idee e programmi diversi, rinunciando però all’odio, alla faziosità, alla estremizzazione della lotta politica. Non è pensabile entrare in un sistema di democrazia dell’alternanza, se non esiste un vincolo solido di riconoscimento e di stima reciproca fra le forze che partecipano alla competizione politica; se non esistono sistemi di regole che tengano fuori le istituzioni dai conflitti di parte; se non si garantiscono, sempre, il rispetto dei diritti delle minoranze e la pluralità delle voci della politica.


La transizione verso un’autentica democrazia dell’alternanza non riuscirà senza un clima di rispetto civile fra le forze politiche, non riuscirà se tutti insieme non ci convinceremo che la faziosità non è, e non è mai stata, una virtù. L’alternativa al completamento di questo processo è il pericolo di un ritorno ad un consociativismo stabile e dannoso. La condanna delle ideologie e degli orrori che esse hanno prodotto non impedisce di comprendere gli uomini che hanno dato la vita per i valori di cui esse, pur se in modo distorto, erano portatrici: la giustizia sociale o la patria.
Salvare la buona fede degli uomini non deve però impedire di trarre insegnamento per il futuro. Non dimenticare significa anche onorare quegli archetipi che, nella storia della nazione, hanno reso ai valori di libertà una testimonianza più vera, hanno lottato non per il successo personale, ma per la vittoria del bene comune e anche nel vivo della lotta non hanno mai dimenticato la misura dell’umanità.
Di quella libertà di cui oggi siamo tutti beneficiari, alcuni, fra cui Scelba, furono protagonisti con più coraggio e lungimiranza. Riconoscere i torti e le ragioni di quegli anni, di quelle controversie, non vuol dire riaprire ferite che sono e debbono essere in gran parte rimarginate. Vuol dire cercare di costruire il futuro del nostro Paese su una visione più equa e giusta di quello che è stato il nostro passato.