Non sono poveri e non scappano dalla guerra né dalla fame, ecco perché i profughi vengono in Italia
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Krancic

(Da: www.lavocedeltrentino.it)

Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università di Torino, conoscendo a fondo la materia, ribalta un bel gruzzolo di luoghi comuni. Al giornalista Marco Dozio in un’intervista molto interessante, spiega che chi sbarca o viene traghettato sulle nostre coste, arrivando prevalentemente dall’Africa subsahariana, per la stragrande maggioranza dei casi non è un profugo. E nemmeno un povero in fuga dalla fame. Ma un giovane maschio, spesso appartenente al ceto medio, che non scappa da guerre o persecuzioni. “La maggior parte di chi lascia l’Africa subsahariana per l’Europa non scappa né dalla guerra né dalla povertà estrema”.

 

Professoressa, ci raccontano che gli immigrati che arrivano in Italia sono profughi.

 

«I dati dicono che dall’inizio dell’anno il numero di persone che hanno fatto domanda di asilo politico, e che hanno ottenuto risposta positiva, si assesta intorno al 4%. Significa che tutti gli altri non rientrano nei parametri previsti dalla convenzione di Ginevra, quindi non sono persone che hanno lasciato il loro Paese sotto la minaccia di perdere la libertà o la vita: non sono persone perseguitate».

 

E ci raccontano che chi non scappa dalla guerra però scappa dalla fame.

 

«I costi elevatissimi dell’emigrazione clandestina contraddicono questa tesi comune. Ormai è risaputo che chi vuole venire in Europa deve mettere insieme 4mila, 5mila o 10mila dollari per potersi appoggiare a un’organizzazione di trafficanti che provveda all’espatrio. Cifre appunto elevatissime soprattutto se rapportate ai redditi medi dei Paesi di provenienza. Chi arriva generalmente appartiene al ceto medio o medio basso, comunque per la gran parte non si tratta di indigenti. C’è chi risparmia, chi si fa prestare il denaro dai parenti, chi paga a rate, chi vende una mandria, però i soldi ci sono, i trafficanti vogliono essere pagati in contanti. È gente che ha una disponibilità economica. Certo c’è la delusione di vivere in Paesi dove avanzano prevalentemente i raccomandati: la spinta può arrivare anche da lì, da delusioni lavorative, come succede per chi parte dall’Italia».

 

Per quale motivo chi è eventualmente coinvolto in un conflitto dovrebbe far rotta dall’Africa subsahariana verso l’Europa?

 

«Infatti non succede questo. In Africa i profughi sono milioni e milioni ma la quasi totalità di coloro che ottengono asilo non lascia il continente. I profughi sono più di 60 milioni, dato del 2015, di cui 41 milioni sono profughi interni, sfollati. Quando si vive in uno stato di conflitto o di pericolo ci si allontana solo il minimo indispensabile per mettersi al sicuro, pensando di poter fare ritorno a casa propria. La maggior parte delle persone si allontana restando all’interno dei confini nazionali, mentre un’altra porzione di persone oltrepassa i confini per essere ospitata nei campi dell’Unhcr anche per lungo tempo, come per il caso della Somalia. Benché la diaspora somala sia una delle più numerose al mondo, a causa di vent’anni di instabilità e del terrorismo di Al Shaabab, solo una parte dei profughi è fuggita all’estero: la gran parte ha oltrepassato i confini nazionali riparando nel vicino Kenya».

 

Qual è la situazione nei Paesi di partenza?

 

«Molti emigranti arrivano per esempio da un Paese come il Senegal che non è in guerra, non vive gravi problemi di conflitti e come tutti i Paesi africani, con poche eccezioni, vive un periodo positivo dal punto di vista economico. Da anni quasi tutta l’Africa presenta una crescita del prodotto interno lordo costante e in certi casi consistente. Il problema è che questa crescita non si traduce in vero e proprio sviluppo economico o umano, anche a causa della corruzione endemica e del malgoverno».

 

Per quale motivo telegiornali, grande stampa e larga parte della politica insistono nel parlare erroneamente di “sbarchi di profughi o rifugiati”?

 

«Mass media, politici, chiunque parli di immigrazione utilizza emigrante, profugo o rifugiato come fossero sinonimi. Ma ovviamente non lo sono. In parte ciò è frutto di una confusione involontaria. In parte però si tratta di un errore voluto, perché c’è la tendenza ad affermare che chiunque lasci il proprio Paese abbia una forma di disagio e dunque abbia il diritto di essere ospitato. Questo approccio si traduce in ciò che vediamo: centinaia di migliaia di persone in marcia per arrivare in Europa. Molti dei quali non sono indigenti e per la maggior parte, circa l’80%, sono giovani uomini di età non superiore ai 35 anni. Poi c’è una fetta crescente di minori non accompagnati, metà dei quali non si sa che fine faccia. Si parla tanto di accoglienza e poi lasciamo sparire 5mila bambini nel nulla».

 

L’esodo è favorito da una sorta di propaganda?

 

«Nei Paesi dell’Africa subsahariana esistono pubblicità che incitano ad andare in Italia, spiegando che qui è tutto gratis. E in effetti lo è. Mi immagino le telefonate di questi ragazzi ai loro amici, in cui confermano che effettivamente tutto viene assicurato loro gratuitamente».

 

Come vede la questione in prospettiva?

 

«Se continuiamo ad andarli a prendere a poca distanza dalle coste africane, come illustrava una vignetta satirica di Krancic, la situazione non potrà che peggiorare. In Grecia non sbarca quasi più nessuno da quando è stato siglato l’accordo con la Turchia. Se chi pensa di venire in Italia ha la certezza di essere rimandato indietro, non avendo le caratteristiche per ottenere l’asilo, alla fine desiste. Manca la volontà politica. Che ci sia un divario notevole tra le condizioni di vita dell’Africa, del Sudamerica o di una parte dell’Asia rispetto all’Occidente è evidente. Però noi abbiamo 4 milioni e 600mila poveri assoluti e il 40% dei giovani senza lavoro, numeri di cui tenere conto».

 

In molti si chiedono perché i migranti non raggiungono gli stati europei in aereo visto che costa anche meno. Ebbene, per poter fare domanda di asilo politico o di asilo umanitario in uno stato europeo bisogna essere fisicamente presenti sul territorio di questo stato. Questo vuol dire che non è possibile inoltrare una richiesta di asilo ad uno stato europeo da un’ambasciata di questo paese in uno stato terzo. Non esiste neanche la possibilità di avere un permesso temporaneo per giungere nel paese di propria scelta per poter chiedere asilo.

L’unico modo per raggiungere un paese europeo che promette di garantire diritti e assistenza, come ha fatto la Svezia per prima nel 2013, è quello di usufruire di mezzi illegali e pericolosi e di affidare se stessi e la propria famiglia ai trafficanti di persone.

Questo, per chi è in Egitto ed in Libia e per la maggior parte dei siriani, significa arrivare via mare. I trafficanti di esseri umani hanno come primo ed unico interesse il profitto economico e cercano quindi di guadagnare il più possibile stipando fino al limite centinaia di persone in barconi in pessime condizioni. Chi arriva via mare in Europa e sulle coste italiane rischiando la vita, non lo fa né perché è conveniente né per nascondersi dalle autorità, lo fa perché le leggi europee sull’immigrazione non gli permettono di fare altrimenti.

In Trentino il costo dell’immigrazione per la comunità è altissimo e la gestione non prevede un vero e proprio piano di accoglienza e di integrazione. Per ogni immigrato la provincia autonoma di Trento mette a disposizione 35 euro al giorno, più 2,5 euro in contanti per ogni richiedente asilo. Inoltre i benefit per i migranti presenti sul nostro territorio sono molto importanti e vanno dai trasporti gratis, le visite e tutte le medicine in forma gratuita, le card per le ricariche telefoniche e per la spesa al supermercato.

È plausibile pensare che per ogni richiedente asilo la provincia autonoma di Trento spenda oltre 1.500 euro ogni mese, questo per circa 24 mesi, cioè il tempo per decidere se sarà rilasciato lo status di profugo al migrante. Tempo che spesso viene raddoppiato visto che quasi tutti i richiedenti asilo a cui non viene riconosciuto lo status di profugo deposita un ricorso, che viene preso in considerazione dopo altri 24 mesi che nel frattempo il rifugiato passa sul nostro territorio naturalmente mantenuto dai contribuenti.

Oltre a questo da tenere in seria considerazione sono i professionisti che ruotano intorno al fenomeno, cioè psicologi, mediatori culturali, operatori, medici ecc ecc.. tutti pagati dalla comunità.

Pare che intorno al fenomeno dell’immigrazione solo in Trentino ruotino circa 3.000 dipendenti. Per la ristrutturazione dei campi profughi di Marco di Rovereto e dell’ex caserma Damiano Chiesa la Provincia autonoma di Trento ha speso quasi un milione di euro.

Ad oggi sul territorio trentino sono presenti quasi 1.500 richiedenti asilo, numero destinato a salire molto in fretta visto i quasi 3.000 stranieri che sbarcano a Lampedusa ogni giorno. Purtroppo solo una piccola parte avranno diritto allo status di profugo.