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(Pubblicato in: La Discussione Ottobre 2005)

Forse è vero che, come sosteneva Bobbio, la storia delle idee e la storia delle azioni corrono su binari paralleli che raramente si incontrano, ma gli intellettuali che si pongono al di sopra della mischia, come i clercs di Julien Benda, fanno un’opera sterile che non ha nessuna ricaduta sulla vita civile.
Per dirla ancora con Bobbio, per dare un senso al rapporto tra intellettuali e politica occorre che si verifichino due condizioni: 1) gli intellettuali devono potere considerare se stessi una categoria; 2) questa categoria deve potere avere una funzione politica propria.
Restituire un’anima alla politica significa restituirle la forza delle idee, liberarla da quel preoccupante abbraccio con le lobbies economico finanziarie che, palesatosi dalla fine degli anni 80, ha portato in breve il sistema politico italiano alla tragica Caporetto di Tangentopoli, con tutte le anomalie che ne sono conseguite. Le grandi famiglie del capitalismo italiano hanno potuto dare l’assalto ad un patrimonio pubblico dal valore allora di poco inferiore ai 200mila miliardi di lire, dimostrandosi poi incapaci di generare una crescita dell’economia e di tenere i settori strategici per il paese. Il capitalismo italiano non si trasformò, fu colonizzato e divenne un po’ più disumano.
Contemporaneamente alla riduzione della politica fu finalmente possibile iniziare un processo di riduzione dello stato e delle sue ingerenze nell’economia e pur senza sposare la massima hobbesiana, extra rem publicam nulla salus, da allora si vanno evidenziando le gravi conseguenze del neoliberismo, non solo a livello nazionale.
Compito degli intellettuali è quello di individuare i nessi tra economia ed etica, tra il darwinismo sociale del laissez faire e il totalitarismo politico sociale dello stato, tenuto conto del fatto che comunque uno stato sano non sarà mai uno stato minimo.
Sotto questo aspetto la dottrina liberale a livello mondiale non si è aggiornata ai tempi introducendo elementi di neoliberalismo, è divenuta anch’essa più disumana.
Burke sosteneva che una società non può esistere senza che vi si inserisca in qualche punto il freno della volontà e degli appetiti sfrenati, persino un casinò impone alcune regole del gioco ed espelle i bari, figuriamoci uno stato che è considerevolmente più complesso e persegue un altro tipo di felicità diffusa che non quella elargita dal gioco d’azzardo. La più grande libertà che abbiamo è quella di poter prendere sempre una via diversa.
Quindi ecco la proposta che gli intellettuali devono avanzare con decisione, si torni alla guida delle idee, si abbandonino i tecnicismi tattici della politica odierna e si torni alla tecnica progettuale che fu una delle risorse d’eccellenza della cosiddetta Prima Repubblica. Liberal di Ferdinando Adornato e il Centro Studi per il Partito Popolare Europeo di Nino Cristofori e Sandro Fontana hanno fatto da battistrada al movimento dei neoproporzionalisti, rivendicando ai moderati della CDL il diritto e la capacità di fungere da polo di attrazione per quei tanti pensatori che non si riconoscono nella presunta egemonia intellettuale della sinistra, non è indispensabile essere sinistrorsi e omosessuali per essere creativi.
E in fondo di quale sinistra parliamo ormai? Forse di quella che durante i governi Amato, Dini, Prodi ecc. ha cominciato a minare lo stato sociale, accollando alla classe operaia e alla classe media in genere le spese relative alla adesione alla moneta unica europea o di quella che ha reso precario il lavoro?
Nella mia Terni quella sinistra ha lavorato per privatizzare le acciaierie, praticamente regalandole a un importante gruppo tedesco. Ricordo un convegno sulla crisi delle aree industriali umbre che ho organizzato lo scorso anno con un centro studi di cui ero vice presidente, nel quale i relatori, quasi tutti di sinistra, infarcivano i loro interventi con frasi come il mercato ci chiede …, il mercato ci impone …, la discussione fu caratterizzata dal fatto che gli unici interventi definibili di sinistra furono quelli di due democristiani, quello del prof. Terenzio Malvetani, presidente della locale Cassa di Risparmio, e del sottoscritto.
Quindi i nostri centri studi devono proporre con coraggio un ritorno alla politica ragionata, appassionata, come la intendeva Sturzo, cioè l’arte di amministrare la cosa pubblica. Occorre riparare il torto fatto con il referendum sul maggioritario, il cui risultato fu praticamente estorto agli italiani sfruttando in modo subdolo e scorretto l’onda emozionale del fattacci Tangentopoli.
Il maggioritario e il collegio uninominale rappresentano una garanzia per il nuovo ordine imposto dal golpe bianco di tangentopoli, non bastava infatti eliminare i grandi leader politici, occorreva sterilizzare definitivamente il potere dei partiti politici e della volontà popolare perché di leader non ne potessero crescere di nuovi. Il Patto Segni fu lo strumento. Il proporzionale e il voto di preferenza lasciavano agli elettori la facoltà di scegliere un candidato, in una forma di selezione democratica della leadership, mentre il sistema che si va correggendo in questi giorni in parlamento con il ritorno al proporzionale concentrava nelle mani dei segretari di partito la scelta dei candidati in ciascun collegio, in dispregio del normale principio di sussidiarietà che vorrebbe candidati nominati dai comitati locali ed allontanando sempre di più la gente dalla politica partecipata.

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