Dalla storia un augurio al Teatro Verdi affinchè riviva gli antichi fasti
Print Friendly, PDF & Email

  

G. Bergui, Il Teatro Comunale, “Latina Gens”, VIII 1931

“Il Comune di Terni, nella prima metà del 1800, sotto il Governo dell’ex Stato Pontificio, stabilì di erigere un nuovo e fastoso teatro, poiché era divenuto insufficiente l’altro vetusto, creato fin dal 1661: il Teatro dell’Accademia dei Costanti, chiamato nel 1736 Nobile Teatro Ternano e dal 1859 Teatro Goldoni.

Il nuovo teatro, battezzato Teatro Comunale, sorse sull’area del Forno Pubblico o Forno del Pan Venale il quale era una trasformazione dell’antico palazzo dei Priori (Palazzo Municipale) allorché questo venne dato in concessione (anno 1732) all’appaltatore del Forno Pubblico mentre i Priori trasferivano – non senza soliti contrasti faziosi e cause civili dovute sostenere dal Comune – in migliore sede appositamente acquistata gli Uffici Civici e cioè nel non dispregevole palazzo seicentesco dei Carrara.

La prima pietra del Teatro fu posta nel 1840, presente l’autore del progetto e direttore della costruzione, il pregiato Architetto Pontificio dei Sacri Palazzi Apostolici, Luigi Poletti, modenese che, oltre al nostro, eresse i teatri di Rimini e Fano, opere di geniale concezione con le quali si è fatto, in qualche modo, perdonare l’infelice campanile di S. Paolo di Roma da lui ricostruito dopo l’incendio famoso del 1823 di quella superba Basilica.

Otto anni dopo il Teatro era portato a compimento e nell’anno successivo 1849 s’inaugurò solennemente con melodramma Saffo, musica del Pacini.

A ricordo di quella inaugurazione, il sipario della bocca d’opera venne dipinto con un bel quadro ritraente, appunto, una scena della Saffo: sipario che, essendo stato sostituito da un moderno velario in velluto, andrà a conservarsi o nel Teatro stesso o forse nella Pinacoteca Comunale.

Dal 1849, per 11 anni, il Teatro agì sotto la giurisdizione pontificia sino a che, nel 1860, passò annessa a quella del Regno d’Italia, cioè quando Terni venne occupata dall’esercito piemontese.

L’architettura del nostro Verdi, di forma neoclassica, si svolge, all’esterno, con una scalinata a pronao esastilo di intonazione ionica-toscana che compongono una facciata la quale, sebbene esprima quell’austerità alquanto fredda dello stile, peraltro, nel complesso, piace. All’interno, la sala, di pianta a ferro di cavallo e del tipo a pozzo, secondo i canoni architettonici teatrali del tempo, con quattro ordini sovrapposti di palchi, platea e loggione aperto, tutta a stucchi (decorazioni e cariatidi) in bianco ed oro, con soffitto affrescato dal Breschi, lodato pittore decoratore ottocentesco, è di una calda ed armoniosa graziosità.

Il palcoscenico, ampio, con larga bocca e sovrastante arco ellittico, è ben provveduto di locali di servizio ed è atto ad ogni spettacolo lirico e di prosa. La proprietà giuridica del Teatro spetta al Comune, il quale, ogni anno, in quota coi palchettisti, stanzia una somma per sovvenzionare il principale spettacolo lirico della stagione; ma la maggior parte dei palchi è possesso condominale dei relativi proprietari privati (palchettisti) successori di coloro che in origine concorsero finanziariamente, con Comune all’erezione del Teatro; condominio però che, dall’anno 1928, è regolato da precisa legge nazionale.

Una deputazione nominata in carica, ogni cinque anni dal Podestà, sovraintende al suo andamento artistico.

Il nostro Verdi ebbe un primo miglioramento nel 1892-93 quando l’Ufficio Tecnico del Comune (Amministrazione Sindaco Conte Massarucci ed Assessore Ing. Menicocci proponente) lo dotò di bei camerini murari per gli artisti mediante un’apposita costruzione edilizia addossata al Teatro stesso poiché, prima d’allora, i camerini erano in legno e stavano, ingombranti ed inadatti, in fondo al palcoscenico.

Susseguentemente, nel 1908, l’Ufficio Tecnico del Comune (Amministrazione Sindaco V. Faustini ed Assessore Cav. F. Ciprignoli proponente) ampliò il palcoscenico, migliorò il vecchio impianto elettrico d’illuminazione che era stato uno dei primi impianti elettrici teatrali attuati, non solo in Terni ed in Italia, bensì in Europa.

Il Teatro così restaurato, si ribattezzò Teatro Comunale Giuseppe Verdi e se ne fece la seconda inaugurazione con la verdiana opera Otello, protagonista l’esimio tenore V. E. Castellano, allora reduce acclamato dei maggiori teatri d’Europa e d’America.

Ora, anno 1930, dall’ufficio Tecnico del Comune (Amministratori Commissari Comm.ri Cirmeni, Castrogiovanni, Di Donato) in unione all’Impresa Teatrale, sé compiuto un importante restauro con una serie cospicua di miglioramenti, trasformazioni e ritocchi nell’ingresso, nel palcoscenico, nel velario, negli affreschi, nelle sale, nella cavea orchestrale, nelle comunicazioni interne, nel buffet, nei servizi d’acqua, di riscaldamento e ventilazione, di illuminazione ordinaria, di gala e di sicurezza, nei dispositivi per effetti di luce e onomatopeici, nel guardaroba, nella biglietteria, ecc. Ed è esatto affermare che il Verdi dalla sua prima costruzione del 1849, solo oggi si possa ritenere definitivamente ultimato in ogni sua parte ed in relazione ad ogni esigenza artistica, per quanto resti sempre il difetto organico fondamentale: e cioè la poca capienza (appena 900 posti circa).

La terza ed ultima inaugurazione del Verdi, ora reso degno di Terni, innalzata nel 1927 a capoluogo di Provincia, è stata celebrata l’8 ottobre 1930 con l’opera in music Turandot di Puccini, con una messa in scena magnifica e con elettri protagonisti.

Infine, oltre che da reputati artisti di Teatro, le tavole del palcoscenico del Verdi furono calcate da illustri oratori, scienziati-conferenzieri, poeti, uomini politici, fra i quali, sempre alla rinfusa, si ricordano: l’eroico patriota trentino Cesare Battisti, Enrico Ferri, Fradeletto, Raffaele Giovagnoli, Bovio, Cavallotti, Padre Semeria, Fortis, Barzilai, Federzoni, Micucci, Imbriani, Fausto Salvadori, Trilussa, Fausto Maria Martini, Giovanni Borelli, ecc.”

TeatroVerdiTerni1

Teatro Verdi2 12-21-06

Purtroppo il Verdi fu colpito da un bombardamento durante la seconda guerra mondale. In fase di ricostruzione non si tenne conto del progetto originario, così fu preservata solo la facciata a colonne di gusto neoclassico, trasformandolo in un cinema-teatro, ruolo assolto sempre da protagonista fino al triste epilogo dell’incuria attuale.