Enrico Mattei
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(Un esempio per i compagni di merende del Britannia, i distruttori della Seconda Repubblica che, privi di alcun senso dello Stato, hanno dilapidato il patrimonio pubblico italiano, mascherando l’operazione come “privatizzazioni”)

Enrico Mattei (Acqualagna, 29 aprile 1906 – Bascapè 27 ottobre 1962) è stato un imprenditore, un partigiano ed un uomo d’affari italiano.
Per la sua attività Mattei fu insignito di diverse lauree ad honorem e della croce di cavaliere del lavoro.

 


La giovinezza
Nacque in una famiglia modesta ed iniziò a lavorare quindicenne presso varie ditte artigianali e di manifattura dei dintorni di Matelica, cittadina marchigiana dove la famiglia risiedeva.
Iniziò la sua carriera dirigenziale diventando a 20 anni presidente di una piccola azienda nella quale aveva inizialmente lavorato come operaio. A 30, dopo essersi trasferito a Milano per una iniziale attività di rappresentante per importanti industrie di vernici e prodotti chimici, avviò una propria attività autonoma nel settore della produzione chimica, con la quale riscosse un certo successo sino a divenire fornitore delle Forze Armate.
Si iscrisse al Partito Popolare e successivamente rimase sempre legato all’area democristiana.
Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza come partigiano “bianco”, fra quelli, cioé, che si riferivano all’area politica cattolica, dimostrandosi subito un valido condottiero ed un buon diplomatico, essendo l’uomo di riferimento della Democrazia Cristiana nel CLN. In tale attività consolidò le sue amicizie con altri partigiani che sempre sarebbero restati per lui persone di riferimento nell’ambito della politica, e proprio fra i suoi compagni di Resistenza cercò gli uomini fidati cui affidare la sua sicurezza personale.

 


L’arrivo all’AGIP
Nel 1945 fu nominato commissario liquidatore dell’AGIP, ente statale per la produzione, lavorazione e distribuzione dei petroli. Il suo scopo, secondo incarico, avrebbe dovuto essere quello di liquidare e chiudere l’azienda pubblica, ma non appena insediatosi, analizzò le capacità operative ed i potenziali di sviluppo dell’ente, convincendosi che avrebbe potuto essere una risorsa di grande utilità per il Paese.
Solo pochi anni prima l’Agip aveva infatti scoperto giacimenti di gas in Val Padana, aveva realizzato tratte di metanodotti ed aveva costituito la SNAM, una società dedicata, per gestire il nascente mercato del gas. Solo l’anno prima, nel 1944, era stato scoperto un importante giacimento alle porte di Milano. Tutto, aveva concluso Mattei, pareva dischiudere ad un florido sviluppo, anziché ad una mesta rassegnazione.
Superando perciò le resistenze di alcune componenti politiche, soprattutto le sinistre, che vedevano nel “carrozzone di stato” un retaggio della politica economica del fascismo e dunque ne pretendevano la soppressione, ma anche driblando talune manovre ostruzionistiche di esponenti democristiani filoamericani, riuscì invece a risollevare il destino della società, che ben presto avrebbe imposto all’attenzione non solo nazionale come esempio della capacità italiana di risollevare il capo dopo la distruzione economica ed industriale subita a seguito della guerra.
L’esperienza di Mattei all’Agip prima, ed all’Eni poi, sarebbe stata infatti una storia per molti aspetti avventurosa, talvolta oscura, quasi sempre sopra le righe, ma è in ogni caso una delle vicende in assoluto più singolari della storia recente italiana, che tuttora con vivezza desta profondo interesse, riflessioni e dubbi, tutta incentrandosi sulla figura di un uomo decisamente non convenzionale.

 


Le concessioni
Apparsagli mentre abilmente temporeggiava prima di riconsegnare i libri, rinviando la liquidazione, una delle prime scoperte di Mattei fu il sistema delle concessioni governative, con le quali lo stato concedeva a soggetti privati, in genere aziende, e l’Agip era una di queste, senza privilegi derivanti dall’essere di proprietà statale, il diritto di eseguire scavi nel sottosuolo al fine di verificare la presenza di giacimenti petroliferi o di gas. La concessione includeva ovviamente il diritto di estrazione e di vendita del prodotto, con la cessione di una royalty percentuale allo stato. Il sistema, con poche differenze, era simile in tutti i Paesi. Le concessioni sarebbero state il campo di battaglia di Mattei, in Italia e all’estero, il terreno di scontro sul quale sarebbe stata celebrata la sua gloria e sul quale sarebbe ricaduta la sua polvere, la sabbia del deserto. In Italia le concessioni erano quasi esclusivo appannaggio di aziende straniere, con una certa prevalenza di quelle americane. L’Agip, inoltre, non veniva preferita fra le aziende concessionarie, la modalità di rilascio della concessione aveva un profondo contenuto discrezionale governativo, malgrado la professionalità e la capacità tecnica del personale e delle strutture fossero invidiabilmente d’avanguardia.

 


Il risveglio dell’Agip e quello degli americani
Poiché formalmente si doveva registrare una sorta di unità nazionale sul proposito di chiudere l’ente, pur variamente motivata, non era possibile richiedere al governo ulteriori stanziamenti per la ricerca e per il perfezionamento dei mezzi, né certamente avrebbe avuto senso richiedere nuove concessioni, perciò Mattei cominciò a lavorare con intensità per verificare se in taluna delle concessioni correnti vi fosse la possibilità di raggiungere qualche risultato.
Riunì quasi segretamente lo staff tecnico, e dopo che lo ebbe ben ammonito sul poco ortodosso motivo dell’iniziativa, che violava le finalità del suo incarico, palesando uno stile che presto ne sarebbe divenuto caratteristico, concentrò le forze aziendali su quei siti di ricerca nei quali poteva essere più probabile il ritrovamento di qualche materiale.
Richiamò in servizio, pressoché in segreto, l’ingegner Carlo Zanmatti, che era stato epurato perché repubblichino, il quale aveva buona conoscenza dei meccanismi interni dell’ente e dello stato delle ricerche, e ne fece un suo consigliere quasi privato.
Nel frattempo, operò acrobatici artifici contabili per destinare, non proprio palesemente, fondi alla ricerca, attingendoli dagli stanziamenti ricevuti per l’ordinaria amministrazione. Chiese ed ottenne, con incontri poi rimasti nell’aneddotica del personaggio, prestiti diretti da parte di alcune banche, un ente statale veniva di solito finanziato, al massimo, dalla Cassa Depositi e Prestiti, che, malgrado la sorpresa ed alcune diffide di fonte politica, furono ben liete di concedergli fiducia e soprattutto denaro, col quale tappò buchi di bilancio che qualcuno avrebbe poi definito agghiaccianti.
Saputo dell’attivismo del nuovo leader, però, pronte giunsero al governo pressioni poco velate da parte delle compagnie americane, accompagnate peraltro da presunti dossier spionistici coi quali si insinuava il sospetto che Mattei fosse animato da simpatie social-comuniste forse maturate, si sosteneva, durante la Resistenza, in America stavano per venire gli anni del maccartismo, ma già allora l’accusa suonava gravissima. Si agì dunque a 360° affiché il pericoloso destabilizzatore fosse allontanato. Il governo, aprendo a queste pressioni, degradò Mattei a consigliere d’amministrazione e lasciò che gli americani potessero rimescolare a loro piacimento i programmi di concessione, consegnando loro gratuitamente anche gli studi tecnici effettuati dall’Agip, in teoria ed in pratica un’azienda loro concorrente che li aveva effettuati a proprie spese, o meglio, a spese dello stato.

 


La riscossione dei debiti politici
Il ridimensionamento di ruolo ovviamente non fu gradito da Mattei, il quale, oltre all’istinto del comando aveva sviluppato anche una devozione per la causa per la quale aveva in pratica abbandonato la sua industrietta personale, consegnata al fratello Italo. Insieme all’amico di vecchia data Marcello Boldrini, Mattei aveva però da tempo cominciato a frequentare i salotti buoni della capitale lombarda, conoscendovi, o ritrovandovi, dopo l’esperienza partigiana, buona parte del mondo della politica che si riferiva alla locale Università Cattolica e che comprendeva esponenti di primo piano della DC.
Uno fra questi, Ezio Vanoni, seppe cogliere la proposta di Mattei, cui l’esperienza partigiana aveva insegnato il valore del carisma, di barattare l’appoggio di Mattei per le vicine elezioni con un’ampia delega alle materie petrolifere. De Gasperi vinse largamente le elezioni anche grazie alla capillare e coscienziosa campagna svolta in suo favore da Mattei, anch’egli eletto, e nominò Boldrini presidente dell’Agip e Mattei suo vice. Boldrini mostrò di gradire la possibilità di delegare il comando al suo vice.
La riconquistata autorità si rivelò in questa fase non poco utile per inoltrare a Roma pressioni sempre più insistenti, ed ora autorevoli, affinché all’Agip venissero riconosciuti da un lato altro tempo prima di confermare od annullare definitivamente la liquidazione, che restava sospesa, dall’altro lato nuove concessioni per la ricerca.
Parallelamente, non mancò di sottolineare come certe concessioni ad aziende straniere, nella specie americane, fossero eccessivamente sbilanciate sia nella misura delle royalty, sia nelle modalità di uso delle concessioni stesse, giacché molte di esse restavano inusate, in parcheggio, inutili per i concessionari e sottratte alla ricerca di altri, ad esempio, dell’Agip.

 


Il rinascimento dell’Agip
Nel 1948 Mattei ebbe il suo successo, a Ripalta, nel Cremonese, seguendo studi che erano già in fase avanzata, fu scoperto un giacimento di gas naturale. Un inconsueto risultato per un ente che ufficialmente stava per essere liquidato, molto significativo nell’instaurato conflitto con le compagnie d’oltreoceano.
Dotato di un particolare acume per la gestione della comunicazione e dell’immagine, Mattei seppe dare all’evento un’importanza dosata, nell’attesa di alzare la spada per nuovi successi che attendeva di lì a poco, e questo occorreva anche per sondare le reazioni politiche e per preparare con gradualità i politici a dover rivedere talune posizioni. Dinanzi alle ancora unanimi intenzioni di liquidazione, la scoperta fu presa come un fuoco di paglia che, sì, sconcertava, ma che non avrebbe mutato il corso delle decisioni già assunte. Nel giro di un anno, invece, i ritrovamenti di giacimenti di gas, da parte di un’Agip ormai galvanizzata dall’energico comandante, da parte di un personale coeso e dedito, in cui la paura dei licenziamenti era stata sostituita dall’aperto entusiasmo, sarebbero ripresi in molte zone della piana del Po e sino al 1952 fu un’escalation di risultati positivi che costrinsero il governo ad autorizzare la costruzione di nuove reti di gasdotti che avrebbero lambito le aree periferiche industriali di Milano. Le industrie milanesi ricevevano quindi direttamente in tubazione risorse energetiche a basso costo.
In realtà, non si trattava di una vera rivoluzione industriale, quantunque Mattei, per la detta abilità comunicativa, ciò volesse far ritenere: l’apporto di gas era proporzionalmente scarso, le tecnologie per il suo utilizzo erano ancora poco diffuse perché potessero esservi economie di scala ed i costi per l’ente, malgrado gli artifici, erano pesanti. Ciò nonostante, il “gas di Milano” pregiudicava molte precedenti certezze sui destini dell’ente.

 


Il metodo Mattei
L’Agip lavorava su ciò di cui disponeva con tutte le energie disponibili; Mattei la supportava in tutti i modi, ortodossi o meno, in cui si rendesse necessario. Restò, ad esempio leggendario il “metodo Mattei” per la realizzazione dei gasdotti, opera che considerava di massima urgenza per poter porre i politici dinanzi al fatto compiuto, poiché per gli attraversamenti dei terreni si doveva necessariamente pattuire l’istituzione di una servitù di passaggio con i rispettivi titolari, che in genere erano piccoli contadini o comuni, i tecnici dell’Agip e della Snam ricorsero a tutti gli espedienti di cui furono capaci per accelerare al massimo le trattative. Decine di chilometri di tubazioni furono stese nottetempo o sul far dell’alba ufficialmente con la scusa di scavare una piccola traccia, solo per verificare se il terreno fosse idoneo, in realtà stendendo direttamente i tubi. Centinaia di sindaci furono svegliati di soprassalto dalla notizia di questi abusivi passaggi, quando questi erano già stati completati e risotterrati. Molti altri non seppero del passaggio dei gasdotti se non molto tempo dopo, magari incidentalmente. Lo smagliante sorriso di Mattei amabilmente placava molti dei protestatari, e dove non fosse bastata la coinvolgente prospettiva di assunzioni, pattuiva infine pratici indennizzi monetari, in genere modesti, spesso rateali. Dove ragioni d’onore impedivano di risolvere la questione monetariamente, si ricorreva al finanziamento riparatore di opere pubbliche, magari restauri, che di fatto pubblicizzavano positivamente il nome dell’Agip, costituendo una sponsorizzazione i cui ritorni di immagine erano senza paragone. La rete era stata stesa a tempo di record, con risparmi teoricamente impensabili.
Nel frattempo, su pressione di una lobby evidentemente orientata dalle compagnie americane, stava per essere varata dal Parlamento una legge che tanto andava a favore degli interessi di quelle, che fu detto fosse stata direttamente preparata negli Usa. Mentre il morale andava conseguentemente logorandosi, inaspettato venne un colpo di scena memorabile.

 


Cortemaggiore
Nel 1949, a Cortemaggiore fu trovato il petrolio. In realtà non era un grande giacimento, anzi era una piccola riserva assai poco influente nel fabbisogno energetico nazionale, e per di più era petrolio di bassa qualità, ma ancora una volta la sua innata capacità di orientamento della comunicazione, con slanci di genio e trucchi da venditore, consentì a Mattei di guadagnare trionfalisticamente per settimane le prime pagine dei giornali, dove, con allusioni e mezze verità, ma senza bugie, dichiarò grosso modo che si era all’inizio di una nuova era.
Mentre le azioni dell’Agip salivano a valori senza precedenti, l’Italia distrutta dalla guerra si illudeva di aver trovato una fonte di riscossa, una speranza di riscatto la cui intima delicatezza avrebbe fatto tremare chiunque con animo onesto si fosse trovato a doverla gestire. Il governo De Gasperi ricevette dunque dalla scoperta un’importante iniezione di fiducia popolare che dovette rimborsare a Mattei con l’intervento sulla legge in discussione in Parlamento. Il disegno di legge in discussione fu stravolto e si tradusse in una legge assai diversa da quella inizialmente proposta. Le aspettative americane venivano tutte deluse, lo stato riservava per sé le concessioni per le ricerche in Lombardia e nell’Italia settentrionale, rilasciando ai competitori concessioni scarsamente apprezzate in altre parti della Penisola. Contemporaneamente, prendeva corpo anche normativamente l’idea di un super-ente, l’ENI, che avrebbe dovuto coordinare tutte le politiche energetiche del Paese.
Il petrolio italiano, che sarebbe stato presto trasformato nella Supercortemaggiore, la potente benzina italiana, piaceva all’elettorato di destra ed alle sue nostalgie nazionalistiche, come a quello di sinistra, già conscio della contrapposizione agli interessi americani, e la figura di Mattei cominciava a volteggiare sull’onda di una popolarità di prima grandezza, non limitata dalla condizione di parlamentare schierato. Ma, seminascosto dal successo propagandistico del petrolio, il gas metano non dava minori soddisfazioni. Una successione di scoperte fece crescere la produzione a livelli inattesi, portando il metano al centro degli interessi del gruppo.

 


Sei zampe sei
Nel 1952 l’Agip, che evidentemente non era più in liquidazione, si dotò del noto logo con il cane a sei zampe, e si preparò alla prossima nascita dell’Eni, Ente Nazionale Idrocarburi. Mattei si preparò conseguentemente ad assumere il ruolo di responsabile nazionale delle politiche energetiche, governando il neonato organismo senza mai essere posto in discussione, prima da presidente, poi anche da direttore generale. L’Eni era Mattei, e Mattei era l’Eni.
Stabilizzò la linea operativa dell’Agip, per la quale ammodernò la struttura organizzativa e quella commerciale, curando che la qualità del servizio potesse primeggiare a livello internazionale, e anche in questo alimentando l’aneddotica, come Giulio Cesare ispezionava personalmente le sentinelle, così Mattei personalmente andava a far benzina in incognito, premiando o licenziando, secondo quanto riscontrato. Importò dall’America il concetto di motel e fece istituire i MotelAgip.
Costituì la Liquigas, azienda che avrebbe rivoluzionato la distribuzione del gas, operando anche una campagna di prezzi che gli garantì brevemente una quota di mercato rapidamente rilevante e sfruttando la capillarità della rete distributiva dell’Agip per poter agire con una politica d’impresa nazionale e non locale, come in genere era per i concorrenti. Riesumò una linea produttiva della chimica per l’agricoltura che da tempo era passata in second’ordine negli interessi dell’ente, usando il metano nella produzione degli idrogenati usati nei fertilizzanti, anche per questi applicando prezzi di assoluta concorrenzialità.
Della chimica ordinaria, si sarebbe occupata un’altra azienda, l’Anic. Su partecipate sollecitazioni, che avrebbe definito commoventi, di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, Mattei rilevò la fabbrica Pignone, il cui fallimento aveva inginocchiato mezza Toscana, e la mise a servizio delle esigenze meccaniche del gruppo con il nome di Nuovo Pignone. Le aziende principali del gruppo erano quindi sei: Agip, Snam, Anic, Liquigas, Nuovo Pignone, Romsa. La fiamma, pareva dire il logo, era Mattei.

 


Sette sorelle sette
Mentre su dati gonfiati ed enfatizzati si fondavano certezze di ripresa industriale, la reale situazione evidenziava un fabbisogno petrolifero piuttosto inquietante, cui l’esiguo prodotto di Cortemaggiore non poteva affatto sopperire. Ma i rapporti con le compagnie americane, che di fatto detenevano un monopolio di fornitura sull’Europa occidentale, si erano incrinati non molto tempo addietro e resi tesi con la recente legge petrolifera, perciò il prodotto importato costava caro e non sempre era di buona qualità, richiedendo quindi una maggiore e più costosa lavorazione.
Mattei, che non amava sottostare a limiti imposti e dunque non se ne imponeva egli medesimo, studiò a fondo i comportamenti commerciali delle principali compagnie del settore e decise che in fondo non gli mancava nulla per gettarsi nella competizione sul mercato dell’approvvigionamento. Se le concorrenti si erano riunite in un cartello detto delle “sette sorelle”, l’Eni poteva ben muoversi da indipendente, cercando nuovi accordi e nuove alleanze commerciali per svincolare l’Italia dal ricatto commerciale straniero.
I primi tentativi furono contorti e fallimentari, tentò di insinuarsi in una crisi di rapporti fra una compagnia inglese e la Persia, ma nonostante l’offerta di condizioni economiche migliorative, fu escluso dalle trattative. Altre porte trovò pregiudizialmente sbarrate, sinché ebbe notizia di essere oggetto di una campagna di discredito ordita a sua insaputa da parte delle sette sorelle e decise di ponderare meglio e più accuratamente la sua azione.

 


La spia della riserva
Il fabbisogno petrolifero cresceva, man mano che crescevano le industrie, ed in Italia l’Agip non trovava altri giacimenti. Un’azione di approvvigionamento diretto diveniva ogni momento più necessaria, ma visti i casi precedenti, occorreva far sì che non si ripetessero gli errori di ingenuità e che in qualche modo l’Eni fosse anche lo Stato, avesse cioé un rango capace di mettere fuori gioco le battutistiche definizioni che lo dipingevano come un petroliere senza petrolio, ed anche uno stato, fosse cioé autonomo e non legato alle decisioni governative od al supporto logistico-tecnico statale. La prima prudenza fu quella di farsi accompagnare dal beneplacito dell’opinione pubblica, cui avrebbe poi raccontato il memorabile paragone del piccolo gattino che si appossima alla ciotola in cui mangiano alcuni grandi cani, le sette sorelle, che gli danno una zampata e lo allontanano, l’Italia era quel piccolo gattino, che si avvicinana ad una ciotola in cui c’era petrolio per tutti, ma ne veniva allontanato con un calcio. La storiella suscitò una simpatia per l’uomo, un rigurgito di orgoglio nazionale ed un principio di antiamericanismo che gli garantirono un appoggio in patria dinanzi al quale sarebbe stato difficile negare l’appoggio governativo alle sue iniziative.
La seconda mossa fu la fondazione di un quotidiano, Il Giorno, cui delegare l’immagine e la comunicazione del gruppo. A questo si affiancarono nel tempo anche due agenzie di stampa. Se la politica aveva i suoi megafoni, anche Mattei li aveva. Ed a fianco all’informazione, allestì una struttura diplomatica impressionante, con l’apertura di numerosissimi uffici di rappresentanza, e uffici stampa, che operavano come consolati dell’azienda italiana ed i cui titolari erano rispettati come ambasciatori. Questi preziosi inviati operavano quindi anch’essi nell’informazione, a tutt’altro livello. Si è detto che l’Eni si fosse dotata anche di una rete di informatori le cui attività sarebbero state più prossime a quelle delle spie che non ai compiti classici degli advisor, oppure che si è avanzata l’ipotesi che i servizi segreti italiani avessero garantito importanti forme di collaborazione, sta di fatto che se ciò fosse accaduto, e non se ne ha prova, si sarebbe trattato di un ulteriore adeguamento dell’azienda italiana alle consuetudini delle sette sorelle, delle quali è provato da esse stesse, che produssero documentazione spionistica anche al governo italiano, che abbiano avuto importanti attività di intelligence. Il terzo passo fu un’accurata selezione dei paesi interlocutori, stavolta scelti fra quelli più poveri, coi quali avrebbe potuto giocare la carta della comunanza di difficoltà economica e della franchezza di rapporti.
Rispetto alle nazionalità delle sette sorelle, inoltre, l’Eni rappresentava un paese non colonialista, o almeno non noto per tale, e la duttilità di Mattei in trattativa, insieme all’esperienza maturata ai tempi in cui era rappresentante, ebbe a raccontare egli stesso, gli consentiva di presentarsi con produttiva apertura negli stati del Medio Oriente cui offriva una prospettiva di rilancio e royalties, e condizioni giuridiche circa la proprietà dei suoli e dell’estratto, assai più interessanti di quelle delle sette sorelle. Questa favorevole apertura, del resto corrispondeva ad un suo radicato ideale di capitalismo etico, sviluppato negli anni di Milano, dei salotti della Cattolica, per il quale interpretava il suo ruolo come doverosamente soggetto ad un incontestable principio di equità sostanziale.
Il quarto movimento, a dirla in termini sinfonici, fu quello di pianificare anzitempo e con cura le difese dialettiche, polemiche, legali e politiche contro i prevedibili attacchi che di lì a poco gli sarebbero giunti da parte americana. Fu il passo più saggio, degno di un buon scacchista e comunque di un campione di virtuosismo, che gli permise di poter rispondere con estrema velocità e con successo alle, tutte già previste, mosse dei competitori. La sinfonia sarebbe stata ben sonora. Era l’ora della politica estera.

 


Il governo ombra di Mattei
Attraverso Il Giorno, Mattei preparò il terreno all’avventura trans-mediterranea, insinuandovi gradatamente sempre più ampi e decisi cenni all’apertura verso i paesi africani e del Medio Oriente, coi quali solidarizzava per l’eventuale passato coloniale ed ai quali apriva una porta, senza precedenti, per rapporti paritari, riconoscendo loro rango e dignità di stati veri, non più di entità di seconda categoria. Riuscì a coinvolgere in queste sue aperture molti dei famosi democristiani della Cattolica, ed attraverso questi ne raggiunse anche di altre correnti e provenienze, democraticamente tutti ponendoli in imbarazzo nei confronti dell’alleato statunitense. Amintore Fanfani dovette inventarsi il termine di neoatlantismo per rivestire di una qualche accettabile coloritura filosofico-politica quello che di fatto era uno sganciamento netto, e di importante contrasto, con gli interessi delle sette sorelle. Del resto, il governo ordinario della Repubblica si trovava spesso a dover in pratica rincorrere e spesso giustificare, non senza affanno per entrambe queste prestazioni, la condotta irruente e disorientante dell’ottimo cittadino, il quale non agiva in base a direttive politiche, ma le suscitava.
Iniziò infatti la fase delle “corse in taxi“, come egli stesso ebbe a definirle, intervistato su alcuni finanziamenti dell’Eni al Movimento Sociale Italiano, essendo sorto il dubbio che un’impresa statale così importante fosse eventualmente caduta in mano ad un filo-fascista, Mattei candidamente rispose che usava i partiti allo stesso modo di come usava i taxi, “salgo, pago la corsa, scendo“. Del come li finanziasse non parlò, poiché avrebbe dovuto rivelare che occultando in bilancio i guadagni dell’ente, soprattutto quelli del metano, era riuscito a creare una quantità di fondi neri da far impressione. Con questi effettuava tutte le operazioni che non sarebbe stato possibile effettuare scopertamente, quindi in pratica corrompeva, comprava servizi d’ordinario non comperabili, sebbene la giustificazione addotta fosse che si trattava di un lobbismo contrapposto all’altrettanto oscuro lobbismo delle sette sorelle, ma stavolta condotto nell’interesse del Paese.
Si è detto, ma senza riscontri, che fu grazie ai fondi neri che fece approvare dal Parlamento una legge con la quale l’Eni diventava di fatto un organismo autorizzato a disporre delle concessioni in Italia e provvisto di carta bianca per le concessioni all’estero. Una legge davvero su misura per l’Eni, o più correttamente, per Mattei. Poi, quasi legibus solutus per legge, partì. Con pazienza ricostruì i rapporti con la turbolenta Persia, ne allestì con l’ostica Libia, ex-colonia contro la quale l’Italia aveva anche combattuto guerre, stabilì un contatto importantissimo con l’Egitto, autorevole e pressoché unico interprete del mondo arabo, e trattò col Re di Giordania al modo in cui si tratta con un sovrano, rispetto al tempo non abituale da parte dei petrolieri anglosassoni. Fedele ad un suo intimo convincimento che gli suggeriva di comprendere i problemi dell’interlocutore prima di contattarlo, si arrischiò, non poco, ad ingerirsi nei rapporti fra l’Algeria e la Francia, che con fatica ancora la teneva per colonia. Altrettanto con la Tunisia, il Libano ed il Marocco, Mattei si occupò, non richiesto, dei loro problemi interni ed internazionali, arrivando per giunta a proporre una sorta di ente trans-nazionale che potesse pacificarli, rappresentarli nei loro rapporti col mondo occidentale ed offrire loro protezioni commerciali. Si è detto che l’OPEC abbia poi tratto più d’una ispirazione da quelle proposte di Mattei.
Fu una vera campagna di attacco al “fronte mediterraneo“, condotta con velocità e con la contemporanea presenza in più punti dell’area, a volte ai limiti dell’ubiquità, grazie alla modernissima e scintillante flotta di aerei ed elicotteri dell’Eni, superiore per mezzi e qualità degli stessi alla flotta governativa.
Fu con la Persia, con il giovane scià Reza Pahlavi, occidentalizzato quanto bastava per aprire all’antichissimo impero le porte della comunicazione internazionale, che ebbe le prime concessioni. A paragone del lavoro diplomatico intessuto per ottenerle, la montagna aveva partorito un topolino, trattandosi di concessioni di scarsissimo valore tecnico e probabilmente la loro lavorazione sarebbe stata anti-economica. Però erano le prime concessioni che venivano assegnate ad un ente non allineato con le sette sorelle e, più che rompere il ghiaccio, si era trattato di infrangere un tabù. A titolo di curiosità si nota che nella cornucopia di offerte presentate al trono di Teheran vi si potevano trovare anche non meglio definite disponibilità ad arrangiare un matrimonio combinato con qualche sorella di Umberto II di Savoia, onde avvicendarne la triste e sterile Soraya che, crudeltà del business e della legge salica, era stata una delle più sincere sostenitrici a corte della causa di Mattei. Lo stiracchiato accordo persiano, va detto, nasceva in un contesto assai caotico, con lo scià impegnato a difendere lo scettro contro movimenti rivoluzionari dei quali non si è smentito che ricevessero finanziamento da governi occidentali di paesi con compagnie petrolifere del cartello delle sette sorelle. Queste pragmaticamente trattavano con pari affezione i sostenitori dell’impero così come i rivoluzionari e gli altri oppositori, purché, par di poter concludere, comunque il petrolio persiano potesse finire in Gran Bretagna. La morte violenta di taluni dignitari e di alcuni funzionari tecnici persiani tendenzialmente favorevoli ad un’apertura italiana, alcuni addirittura strangolati con le mani, fu segnale alquanto esplicito della determinazione degli avversari e della loro capacità di infiltrazione. Del resto, pare ormai di comune accezione che dopo il colpo di stato del 1953, col quale il potere fu assunto da Mohammed Mossadeq, lo scià sia potuto rientrare in patria e riassumere il comando solo grazie alla CIA.
Ciò malgrado, pur dimenandosi fra problemi di miseria e sottosviluppo da un lato, ed istanze teocratiche dall’altro, con la pressione del clero degli ayatollah, ed avendo quindi sempre costante necessità di un appoggio fermo e potente come quello americano, lo spirito intimamente nazionalista di Pahlavi gli suggeriva di avvicinarsi all’outsider italiano, con il quale, si è da molti sospettato, avrebbe discusso a fondo di eventuali prospettive per alleggerirsi del peso del colonialismo economico occidentale. Che Mattei abbia effettivamente affrontato di questi temi con lo scià non è provato, ma i fatti paiono proprio dire che non sarebbe da escludere. Mattei, di suo, non smentì mai l’illazione, con questo confortando le operazioni che consolidavano il mistero sulla sua immagine di presunto occulto mediatore politico internazionale. Alcune posizioni dello scià sembravano coincidere con alcune visioni del nostro (auto) inviato, ed oltre alla lotta al colonialismo economico, parrebbe che anche l’idea di fortificare nella regione uno stato come la Persia, capace di frapporsi ai due blocchi, mericano e sovietico, in reciproca avanzata, in posizione adatta a favorire un’eventuale aggregazione dei popoli arabi, sia stata ben più che condivisa da Mattei.
La via del petrolio, in ogni caso, sebbene con modalità di imprevista complicazione, era stata aperta. Altri paesi avrebbero presto interpretato l’imperiale avallo come una preventiva autorevole validazione dell’interlocutore, e le concessioni si sarebbero presto sovrapposte alle concessioni. Ministro degli esteri del suo proprio aziendale governo, in trasferta Mattei parlava di politica internazionale per procacciare petrolio all’Italia. In patria, invece, rintuzzava gli attacchi che gli venivano rivolti a titolo talvolta più vendicativo che non combattivo. Come per il progetto di costruzione della poi realizzata centrale nucleare di Borgo Sabotino, a poca distanza da Latina, cui l’Eni, ormai senza più vincoli di oggetto sociale né di compiti d’istituto, partecipava in cordata con altre imprese. Il risultato fu che, con notevole aggravio di costi e di dilazione dei programmi, i tempi del progetto vennero a diluirsi per effetto delle polemiche interne, secondo l’arte antica e mai in obsolescenza della curiale dialettica italiana.
Ma l’Eni poteva a sua volta vendicarsi, ed è probabilmente con questa condizione d’animo che fu richiesta ed ottenuta la rappresaglia. Essendo appunto titolare di un potere poco ancora dipendente da quello politico, Mattei chiese ed ottenne la revisione della legge mineraria, per poter operare in Sicilia, dove ottenne concessioni e trovò altro petrolio. La Sicilia sarebbe stata un’importantissima vittoria interna, che Mattei avrebbe sfruttato con toni da alcuni definiti populistici, al fine di imporre la sua visione eticizzante della missione delle imprese di stato. Proprio in Sicilia avrebbe poi tenuto un famoso comizio, in luogo del previsto discorso di inaugurazione, il giorno stesso della sua morte, discorso-comizio che giustamente Rosi ha ricostruito con ampiezza nel suo film, correttamente riportandone i toni di romantico riscatto dalla miseria, dall’emigrazione, dall’umiliazione straniera.
Ribaltando invece le non meno vibranti polemiche sui rapporti che l’Eni intratteneva con la Libia sotto la copertura di una società minore, obbligando il governo italiano a patteggiamenti di varia natura con il suo omologo locale, ottenne una potenzialmente importante concessione nei deserti di quello stato che pareva giustificare ipso facto il machiavello adottato, lasciando senza argomenti i detrattori, e senza concessione le sette sorelle. La capacità di brandeggio della politica italiana fece di Mattei un vero governante nell’ombra e ci si domanda, senza potersi dare agevole responso, quale sia stata e come sia inquadrabile l’effettiva situazione di potere in quel frangente, quando il responsabile di un’azienda di stato, e per questo, sebbene sui generis, una sorta di dipendente statale, della cui onestà di fondo, peraltro, non si è mai dubitato, comandava sulla parte politica dello stato, che controllava con ogni mezzo, anche con quelli meno ortodossi, decidendo per essa gli indirizzi nazionali.

 


L’incidente
L’incidente nel quale Mattei perì fu, almeno temporalmente, preceduto da alcuni accadimenti che, a posteriori, taluni hanno inteso interpretare come espressivi presagi. A proposito dell’Algeria, Mattei aveva pubblicamente dichiarato che non avrebbe accettato le pur allettanti concessioni sul Sahara se non quando quello stato avesse finalmente raggiunto l’indipendenza. Ciò contrastava con una proposta appena ricevuta da parte delle sette sorelle, che disperatamente cercavano di coinvolgere l’Eni in una politica comune, ritenendo che tutto il polverone italiano fosse stato sollevato al fine di barattare migliori condizioni commerciali. Con la sua sortita, Mattei aveva invece messo in ulteriore difficoltà il cartello antagonista, obbligandolo implicitamente a schierarsi per la Francia o contro di essa, per gli indipendentisti o contro di essi. Per la prosecuzione del colonialismo economico o contro di esso. Ed un qualsiasi sbilanciamento in questo senso delle sette sorelle avrebbe meccanicamente schierato anche il governo americano.
Ricevette perciò, una suggestiva missiva dell’OAS, un organismo armato francese ufficialmente clandestino, che comunque almeno in quella fase mostrava di avere interessi coincidenti con quelli governativi, che senza grandi perifrasi gli preannunciava le possibili funeste evoluzioni di una sua eventuale pertinacia nell’appoggiare il Fronte di liberazione algerino. Le minacce, i cui tempi e modi di trasmissione erano stati accortamente studiati, ebbero l’effetto di preoccupare Mattei, che non poté nascondere i suoi crucci alla moglie ed al capo della sua scorta, un fidato amico partigiano, questi immediatamente creò un ulteriore cordone di sicurezza attorno al dominus dell’Eni, distanziandone la scorta ufficiale composta di poliziotti e carabinieri, ed agenti del SIFAR, quantunque Mattei controllasse anche questo, e frapponendovi una squadra di altrettanto fidati amici dei tempi della resistenza.
L’8 gennaio 1962 Mattei era atteso in Marocco per l’inaugurazione di una raffineria, ma il pilota del suo aereo personale, accorgendosi di una lievissima sfumatura sonora da uno dei reattori, scoprì un cacciavite fissato con del nastro adesivo ad una delle pareti interne del motore. L’episodio, classificato come banale dimenticanza dei tecnici, poteva con ottima probabilità provocare la seguente dinamica, il calore del reattore avrebbe sciolto il nastro, il cacciavite sarebbe finito nel reattore stesso, che sarebbe esploso senza lasciar traccia dell’oggetto, potendo il tutto poi apparire come un normale incidente. Tra la fine del settembre dello stesso anno e l’inizio del mese successivo, Mattei ricevette Leonid Kolosov, capo-centro del KGB sovietico per l’Italia settentrionale, il quale gli segnalò che contro la sua persona erano in corso progetti di neutralizzazione. Lasciando la moglie per partire per la Sicilia, il 26 ottobre 1962, Mattei la salutò, secondo alcune ricostruzioni, dicendole che poteva anche darsi che non sarebbe tornato.
La sera del giorno dopo, il 27 ottobre, l’aereo Morane Saulnier MS.760 Paris su cui stava tornando da Catania a Milano, precipitò nelle campagne di Bascapè, un piccolo paese in provincia di Pavia, mentre durante un violento temporale si stava avvicinando all’aeroporto di Linate. Morirono tutti gli occupanti, Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi ed il giornalista americano William Mc Hale. Secondo alcuni testimoni, il principale dei quali era il contadino Mario Ronchi, che in seguito ebbe a ritrattare la sua testimonianza, l’aereo serebbe esploso in volo.
Le indagini svolte dall’Aeronautica militare italiana e dalla procura di Pavia sull’ipotesi di attentato, si chiusero inizialmente con un’archiviazione “perché il fatto non sussiste“. In seguito, nel 1997, il ritrovamento di reperti che potevano ora essere analizzati con nuove tecnologie, fece riaprire le indagini giudiziarie. Queste stavolta si chiusero con l’ammissione che l’aereo “venne dolosamente abbattuto“, senza però poterne scoprire né i mandanti, né gli esecutori. Il sostituto procuratore Calia, che aveva riaperto il caso, sulla base delle sue risultanze si spinse ad affermare che “l’esecuzione dell’attentato venne pianificata quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero di Stato“. Sulla vicenda è stato girato il film “Il caso Mattei” e sono stati scritti diversi libri.

 


Post mortem
Secondo molti osservatori, la vicenda di Mattei non si concluse con la sua morte, anzi avrebbe avuto echi e conseguenze di variegata natura, nell’immediato come a lungo termine. Innanzitutto va detto che l’incidente di Bascapé impedì di perfezionare un accordo di produzione con l’Algeria, indubbiamente un legame in potenza contrastante con gli interessi delle sette sorelle. Inoltre, delle persone che ebbero a che fare con Mattei e con l’inchiesta sull’incidente, ne morirono alcune in circostanze misteriose. Il caso più noto è certamente quello del giornalista Mauro De Mauro, il quale si era mostrato assai disponibile a fornire a Francesco Rosi, autore del noto film, materiale, probabilmente nastri magnetici audio, ritenuto di estremo interesse per la ricostruzione dei fatti che il regista andava raccogliendo come base documentale per la sceneggiatura. Pochissimo prima dell’incontro previsto con Rosi, De Mauro, che aveva lavorato anche a Il Giorno, scomparve nel nulla e non se ne è mai saputo più nulla.
Ufficialmente considerato un delitto di mafia, il caso De Mauro è riemerso in tempi recenti a seguito delle dichiarazioni di un pentito, Tommaso Buscetta, il quale lo poneva in collegamento con la morte di Mattei e suggeriva che anche l’incidente di Bascapé fosse stato un “favore” reso dalla mafia a ignoti, forse stranieri. Per combinazione, la maggior parte degli investigatori che si occuparono della scomparsa di De Mauro, tanto della Polizia quanto dei Carabinieri, effettivamente morirono a loro volta assassinati dalla mafia, il più famoso fra loro era il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nel frattempo divenuto prefetto di Palermo, e la stessa fine toccò al vicequestore Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile della stessa città.
Nel 1986, seguendo di poco un’espressiva sortita del capo del SISMI, l’ammiraglio Fulvio Martini, e nello stesso senso, Fanfani parlò apertamente dell’incidente come di un “abbattimento“, definendolo forse il primo atto di terrorismo aeronautico in Italia.

 


Cui prodest?
Se si trattò di attentato, come la maggior parte delle congetture farebbe sospettare, moventi davvero non ne mancavano a nessuno fra i più reputati operatori del settore. Che le sette sorelle potessero trarre ragione di sollievo dalla morte di Mattei è, più che ovvio, quasi sottinteso, l’unico competitore in grado di metterle in difficoltà le aveva costrette a rivedere tutti gli accordi, compresi quelli già correnti, dopo il suo ingresso in questo terribile mercato. Le perdite, in realtà, i minori introiti, ascrivibili a Mattei superavano il bilancio medio di uno stato medio, e per molto meno si fanno anche guerre. La tradizionale vicinanza delle sette sorelle con il governo degli Stati Uniti, è stato detto, non consente di escludere che organizzazioni come la CIA possano aver giocato un loro ruolo.
La CIA, impegnata in una fase cruciale della guerra fredda, esattamente nei giorni in cui si chiudeva la crisi dei missili di Cuba, avrebbe avuto quindi anche altre buone ragioni per eliminare Mattei, che con la Russia aveva allestito una linea commerciale, rompendo l’embargo politico, oltre a dare un monito a chi avesse inteso fare affari con Mosca, avrebbe potuto inviare con l’attentato un’espressiva ingiunzione anche alla stessa capitale sovietica, impegnata nel braccio di ferro missilistico, disturbandola nel suo approvvigionamento finanziario-energetico. E per altro verso, taluni a posteriori hanno intravisto diretti avvertimenti in alcuni interventi politico-giornalistici di poco precedenti, divulgati dalla stampa americana, con i quali si rimproverava all’Italia di esser venuta meno ad impegni di lealtà derivanti dall’Alleanza Atlantica, dal diktat e addirittura dall’armistizio di Badoglio.
Su altri versanti, dalla Francia l’OAS (Organisation Armée Secrète) aveva buoni motivi per frapporsi all’evoluzione politica algerina cui tanto Mattei andava contribuendo. Intanto la morte di Mattei impedì, come si è detto, il perfezionamento di un importante accordo, e inoltre venne meno una voce che ispirava alla popolazione come ai notabili locali la frattura con Parigi, facendo loro intravedere spiragli di beneficio derivabili dall’eventuale gestione diretta delle risorse petrolifere, al momento condizionate, se non proprio governate, dalla Francia.
Ma, non intendendo privarci di edificanti richiami patriottici, occorrerà notare che a più riprese sono state formulate ipotesi riguardanti anche eventuali moventi interni, italiani, autoctoni. Nel 1962 Mattei non era solo l’ago della bilancia del potere italiano, era proprio il potere; era il titolare monarchico di uno stato interno allo Stato, che quantunque agente per conto dello Stato, e non si ha motivo di dubitare che davvero intimamente e sinceramente così fosse, era antitetico allo stato in quanto lo controllava, solleticandolo nell’attitudine alla corruttela, e lo surrogava, sollevandolo dall’onus di attribuirsi un indirizzo economico, programmatico e di relazioni estere.
Ad ogni modo, chiunque sia stato il mandante, pare ormai alquanto probabile che l’esecuzione sia stata affidata ad esperti locali, e che la casalinga mafia abbia quindi prestato il suo braccio, non è dato sapere in cambio di cosa, offrendo appetibili servizi i cui potenziali acquirenti erano numerosi.