Fernando Tambroni Armaroli
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Fernando Tambroni Armaroli (Ascoli Piceno, 1901 – Roma, 18 febbraio 1963), era un democristiano di Ascoli Piceno che fece parte della pattuglia che fondò il Partito Popolare, e che fu arrestato per motivi politici dai fascisti, dopodichè‚ aderì al Pnf.
Politicamente era un convinto sostenitore della politica di “law and order” e culturalmente si era formato nell’humus di quella borghesia provinciale la cui mano pesante nei confronti delle lotte sociali era una sua particolare peculiarità. In più in particolare, per lui, la politica era intrigo e la lotta politica, machiavellicamente, bisognava farla in modo spregiudicato, senza regole.
Ministro per quattro volte della Marina Mercantile (dal 1953 al 1955), ricoprì per tre volte quello degli Interni ,(al 1955 al 1959.
Nel 1960, formò un governo monocolore con l’appoggio dei fascisti di Arturo Michelini e dei monarchici di Alfredo Covelli. Di conseguenza, al governo Tambroni fu appiccicata l’etichetta di destra simil fascista.
A Tambroni si deve la costituzione del primo Servizio sSgreto italiano del dopoguerra. Appena nominato al Ministero degli Interni, l’intraprendente parlamentare marchigiano, costituì la direzione della potente Divisione Affari Riservati con l’appoggio di Robert Driscoll, allora vice capo della CIA in Italia, pupillo di Allen Dulles. Il Servizio Segreto confezionava dossier su politici di tutti i partiti, soprattutto della DC, e su sindacalisti., che  utilizzava, facendo pubblicare gossip sui giornali e velenose veline da una agenzia che veniva finanziata da lui e da monsignor Fiorenzo Angelini, potente responsabile del settore Assistenza del Vaticano.
Di qui, la sua ascesa fino a Palazzo Chigi. Scoperta la losca attività dei Servizi e attaccato dagli avversari interni del suo stesso partito, la DC, Tambroni concluse, anche per questo, la sua carriera politica. Beninteso, Tambroni viene ricordato meno sotto questo aspetto e più per il suo breve governo di destra e per i moti di piazza antifascisti dell’estate del 1960.
Mai un uomo politico italiano, in regime di democrazia repubblicana, ha avuto, nello stesso tempo, le cariche di Presidente del Consiglio, di Ministro degli Esteri e di segretario di partito. Amintore Fanfani fu quell’uomo e, non a caso, fu definito “il padrone dell’Italia“.
Tuttavia, per certe sue idee di stampo neogollista, fu temuto e non amato. Alle sue spalle aveva un lavoro inedito il cui scopo era stato finalizzato alla costruzione del partito-Stato, un intreccio tra DC e sistema economico privato – pubblico e amministrativo. A ben vedere, la DC fanfaniana era ben altra cosa rispetto, per esempio, alla DC degasperiana, perchè‚ era riuscito a coniugare potere, radicamento e consenso. Correva l’anno 1958, l’Italia viveva il suo primo miracolo economico e la società reale con addosso un’altra pelle aspettava impaziente nuove risposte e sfide dalla classe politica.


Nelle elezioni di maggio, tutto sommato, non ci furono terremoti elettorali e chi vinse non cantò vittoria e chi perse non pianse di rabbia.La DC e il PSI furono due partiti che guadagnarono singolarmente circa il 2 percento, la DC dal 40,1 al 40,4% e il PSI dal 12,7 al 14,2 %, il PCI ebbe un incremento minimo, precisamente dello 0, 1 %,  passando  dal 22,6 al 22,7%; semmai lo smottamento ci fu sul versante della destra fascista e monarchica, ma senza danni clamorosi per entrambi, il MSI dal 5,8 al 4,8% e PDIUM dal 6,9 al 4,9%. Alla luce dei risultati elettorali, in via teorica, non si prevedevano grandi sconvolgimenti politici, ma, in via pratica, erano entrati in crisi gli equilibri del centrismo e un altro governo siffatto non era proprio il caso, per cui Fanfani puntava a una nuova formula aperta a sinistra. Ragion per cui, la strategia fanfaniana ruotava attorno all’asse DC – PSI. In sintesi, i socialisti di Nenni al governo, per staccarli dai comunisti. Dopo il congresso del PSI di Venezia, nel 1957, ciò era possibile.
E’ vero che la Confindustria e la gerarchia ecclesiastica non erano favorevoli, ma è pur vero che le maggiori resistenze maggiori Fanfani le trovò, guarda caso, all’interno del suo partito. Da una parte, la destra di Scelba e Scalfaro si oppose all’apertura al PSI, , dall’altra, la corrente di Iniziativa democratica, di cui faceva parte Fanfani, non condivideva il modo con cui il leader gestiva il governo e il partito e, per di più, era critica nei confronti la sua nuova linea politica.
Per questa crescente insofferenza verso la sua politica e i suoi modi protervi e arroganti, ai primi del 1959, sbolognò da Palazzo Chigi e da Piazza del Gesù. Perse tutto in un colpo e, manzonianamente parlando, dall’altare alla polvere, il passo fu breve.
Dopodichè, Iniziativa Democratica si divise in due tronconi: uno restò legato a Fanfani e l’altro fu contro e prese il nome di “doroteo“: dal convento di Santa Dorotea dove i dissidenti: Mariano Rumor, Luigi Gui, Emilio Colombo e Paolo Emilio Taviani, Flaminio Piccoli e Antonio Segni si riunirono e proposero Aldo Moro come segretario.
Per la neo corrente i tempi di apertura a sinistra erano ancora prematuri. E, a ragion veduta, i dorotei si potevano permettere il lusso di frenare perchè‚ avevano l’adesione del grosso della DC. Con Moro segretario, l’idea dell’apertura a sinistra non fu abbandonata, fu solo rimandata, nel tempo. Lo statista pugliese in questo era inimitabile.
Eppure, il momento economico era favorevole per la svolta politica.
Tuttavia, il nuovo gruppo dirigente scudocrociato non sapeva come uscire dal ginepraio in cui si era cacciato, dal momento che non poteva resuscitare il caro estinto del centrismo e non‚ poteva azzardarsi di intraprendere la via della nuova formula politica. Nel vuoto politico, spuntò Fernando Tambroni, per lo stato di necessità in cui viveva il Paese.
Tambroni fu scelto alla guida del governo dal Presidente delle repubblica, Giovanni Gronchi, perchè‚ a lui vicino.
Gronchi fu eletto al Quirinale con i voti determinati della sinistra, dato che era un democristiano che si era da sempre caratterizzato antifascista e di sinistra, legato ai problemi sociali dei lavoratori. Talaltro, era stato insieme a Don Sturzo uno dei fondatori del Partito Popolare. Tuttavia, il governo Tambroni era malvisto, perchè‚ la sua persona era, come visto, poco raccomandabile e perchè‚ era sostenuto dai fascisti e monarchici.
Ma la goccia che fece traboccare il vaso, fu la convocazione, pochi mesi dopo la formazione del governo, del congresso del Msi a Genova, medaglia d’oro per la partecipazione alla Resistenza. Non bastava un governo di destra, adesso anche il Congresso dei fascisti in una città antifascista, per eccellenza.
Lungi da Michelini personalmente abborriva il fascismo violento dei picchiatori e quello figlio della Repubblica di Salò, ma il Congresso a Genova fu letto in chiave provocatoria. A maggior ragione, quando circolò la voce della presenza dell’ex prefetto di Genova, Emanuele Basile, ai tempi della Repubblica di Salò e reo di aver fatto deportare nei campi di sterminio nazisti numerosi antifascisti. Il 30 giugno fu un giorno memorabile, segnato da lotte antifasciste. Da Genova, il tam il tam antifascista si sparse in ogni angolo d’Italia e, a un tempo, a macchia d’olio le lotte dilagarono.


Al che, Tambroni diede ordine di sospendere il congresso. Non è tutto. Il Presidente del Consiglio non si diede per vinto e, invece, di calmare le acque, le agitò ancora di più con l’ordine, impartito alle forze di polizia, di sparare contro i dimostranti, in situazioni di emergenza.
Dopo la caduta del fascismo, i moti di piazza portarono nuovamente morti e lutti. Fernando Tambroni non ebbe altra scelta che dimettersi e il testimone del governo passò nuovamente ad Amintore Fanfani, che formò un monocolore, con l’appoggio esterno del PRI di Ugo La Malfa e del PSDI di Giuseppe Saragat. Tambroni lasciò la presidenza del consiglio per volere della DC, che Moro aveva definita “partito popolare antifascista“.
D’allora, sorse all’interno della DC la consapevolezza che era necessario fissare una sorta di conventio ad excludendum nei confronti della destra fascista e monarchica. Di più, la lezione genovese servì per riaffermare i valori antifascisti e per chiudere definitivamente con il MSI. La DC non aveva altra scelta che l’apertura a sinistra, al modo di Aldo Moro e non di Amintore Fanfani. Che significava un riformismo senza riforme. Ma la caduta di Tambroni, come detto, fu dovuta anche per quel governo invisibile, tipo Spectre, che aveva costituito, in tanti anni di ministro degli Interni e nei mesi di Presidente del Consiglio.