La prima Democrazia Cristiana
Print Friendly, PDF & Email
La fine del secolo diciannovesimo ha rappresentato per il mondo del lavoro un particolare periodo in cui, a seguito della rivoluzione industriale, vengono promulgate alcune leggi importanti a favore del movimento operaio e dei lavoratori più deboli.
I socialisti, in particolare, in maniera più attiva seppero accogliere le giuste richieste della classe operaia, orientando a loro favore le masse dei lavoratori che trovarono nel movimento socialista il “tutore” della loro condizione.
Furono così emanate leggi che stabilirono un orario massimo di lavoro per i ragazzi la cui età fosse compresa tra i 12 ed 15 anni (undici ore giornaliere) e che proibirono il lavoro minorile al disotto dei dodici anni ed il lavoro notturno per le donne e per i minorenni e numerose altre norme a tutela dei lavoratori.
Su proposta del Partito Socialista venne inoltre istituito in Italia il Consiglio Superiore del Lavoro.
Non mancarono, evidentemente, anche da parte dei cattolici e dei movimenti di ispirazioni cristiana importanti iniziative sulle azioni che avrebbe dovuto intraprendere lo Stato in favore dei lavoratori e precise posizioni sulla questione sociale, a difesa delle condizioni di vita e del lavoro nei ceti sociali più deboli.
La pubblicazione da parte di Leone XIII dell’enciclica “Rerum Novarum” avvenuta il 15 maggio 1891, è stata senza dubbio la prima e più grande illuminata risposta da parte della Chiesa alla questione sociale che, a seguito della rivoluzione industriale, stava sconvolgendo un mondo che per secoli era rimasto statico nei confronti della classe lavoratrice e che, nel contempo, stava assegnando al movimento operaio un ruolo preminente nel contesto di un rinnovamento sociale ed economico, sempre più sentito nello stesso mondo del lavoro.
L’enciclica “Rerum Novarum”, il cui messaggio ispirava l’azione per la giustizia sociale, ha pertanto influenzato in modo sostanziale la formazione di un movimento politico cattolico, in risposta ai nuovi bisogni di un mondo in trasformazione.
Da parte del Vaticano si sentiva, infatti, la necessità di volgere uno sguardo ai movimenti associazionisti. Tuttavia mentre il Papa Leone XIII non ritenne di dover affrontare il tema delle corporazioni.- che allora era molto sentito- esortò, invece in maniera illuminata i Cattolici a fondare proprie organizzazioni e ciò per impedire che essi potessero essere spinti ad aderire a movimenti e gruppi di ispirazione non cattolica o di dottrina socialista.
Si assistette, tuttavia, ben presto ad una situazione quasi antitetica tale che nel mondo cattolico, a fianco alla maggioranza conservatrice, fedele alla intransigenza tradizionale che si proclamava contraria alla partecipazione nella vita politica, venne formandosi una corrente minoritaria che reputava assolutamente necessaria la collaborazione e la partecipazione degli stessi cattolici alla vita pubblica e politica della nazione.
Autorevoli esponenti di questo nuovo movimento di pensiero furono don Davide Albertario, Giuseppe Toniolo e don Romolo Murri.
E proprio don Murri dette vita, agli inizi del secolo, ad un nuovo gruppo “autonomista” denominato: Democrazia Cristiana.
ROMOLO MURRI, sacerdote marchigiano, aveva interpretato in senso radicale la Rerum Novarum fino a teorizzare la possibile convergenza tra dottrina sociale della Chiesa ed il movimento socialista e tra lo spirito religioso e l’ idea democratica.
Nella sua concezione sociale e filosofia della dottrina cristiana, viene concentrata la risposta ai problemi posti dall’industrializzazione, basandosi attraverso una drastica azione di rinnovamento della prassi politica e sociale del cattolicesimo.
Diede vita e sviluppò un’ampia rete di fasci democratico-cristiani e di Uffici del Lvoro, che svolgevano un’attività capillare di organizzazione sociale, attraverso un’intensa opera di formazione filosofica.
Il Murri infatti sosteneva, già da anni, che i cattolici avevano non solo il dovere di intervenire nella vita del Paese, uscendo da quell’isolamento al quale si erano posti, ma il diritto di partecipare e competere attivamente nella politica anche per arginare quei movimenti liberisti e socialisti che stavano, come visto, trovando una notevole adesione anche nel mondo operaio.
Nel programma stilato dai democratici cristiani furono inoltre rivendicate dal Murri riforme sociali in favore del mondo operaio, per quei tempi considerate quasi rivoluzionarie: si auspicavano così riduzioni delle spese militari, si chiedeva per i lavoratori il minimo salariale garantito, il riposo festivo obbligatorio, la tutela del mondo contadino.
Il testo del programma, dal punto di vista dottrinale, così concludeva: “……Tutto questo vogliamo come democratici cristiani, perché le riforme che noi domandiamo corrispondano insieme alle ispirazioni di una vera Democrazia Cristiana ed ai principi sociali del cristianesimo.
Democrazia cristiana vuol dire applicazione integrale del cristianesimo ossia del cattolicesimo a tutta la vita privata e pubblica moderna e a tutte le sue forme di progresso . Come democratici cristiani vogliamo poi che cessi l’antagonismo esistente tra le istituzioni politiche e civili del ostro paese e la Chiesa cattolica e il pontificato romano che sono il centro storico della nazione italiana…..
Erano evidentemente tesi, per allora abbastanza forti, che si ponevano in contrapposizione alle vecchie concezioni conservatrici della Chiesa.
Il gruppo che faceva capo alla Democrazia Cristiana stava quindi assumendo una posizione troppo autonoma che destava non poche preoccupazioni ad alcune fasce intransigenti del Vaticano, purtroppo ancorate al passato .
Era inoltre sempre più viva la preoccupazione che se il movimento con le sue idee avesse raccolto adesioni da parte della gran massa rappresentata dai ceti sociali medi, si sarebbe potuto sconvolgere quel precario equilibrio in ordine a quel principio di “obbedienza” verso il Vaticano che ancora sussisteva nella classe sociale di ispirazione cristiana.
Leone XIII pertanto con l’enciclica del 18 gennaio 1901 “Graves de communi” di fatto fu costretto a sconfessare in parte l’operato del Murri e della sua nascente Democrazia Cristiana.
Con l’elezione al soglio pontificio di Papa Sarto, avvenuta il 4 agosto 1903, l’ala più conservatrice del pensiero cristiano, rappresentata da Giovan Battista Paganuzzi prese di fatto il sopravvento.
Questi, infatti, già presidente dell’Opera dei Congressi, dalla quale era nato il movimento della Democrazia Cristiana, non aveva mai condiviso, come ovvio, il pensiero ideologico riformista e soprattutto l’operato autonomista del Murri.
La sua avversione nei confronti del movimento della Democrazia Cristiana era a tutti ben noto soprattutto quando il neo movimento organizzandosi, stava assumendo troppa autonomia dalla autorità gerarchica ecclesiastica, cioè -come soleva dire- con “un piede dentro ed uno fuori dell’Opera”.
Tutto questo avrebbe fatto venir meno, da parte della Chiesa, quella autorità nei confronti del laicato italiano che da sempre aveva rappresentato il suo punto forte. Il Paganuzzi convinse quindi Pio X nel 1904 a sopprimere l’Opera dei Congressi e quindi il pericoloso nascente movimento della Democrazia Cristiana, sconfessando quella linea di relativa apertura che Leone XIII aveva in parte concesso a questa.
Tuttavia il pensiero illuminato del Murri aveva lasciato una traccia importante e indelebile negli ideologi cristiani del tempo; nulla fu infatti perso o dimenticato del suo operato: occorreva solo del tempo per la necessaria crescita e maturazione.
Solo nel 1919 un sacerdote siciliano Don Luigi Sturzo, analizzando le cause dell’insuccesso del movimento della prima Democrazia Cristiana, che attribuì essenzialmente nella impossibilità di realizzare un movimento partitico indipendente dall’autorità ecclesiastica, riuscirà a superare tutti gli ostacoli ideologici, portando con successo alla fondazione del Partito Popolare Italiano.