La regressione della politica italiana, il nuovo medioevo
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(Immagine da: http://www.buongiornoweb.com/filesdivertenti/satira_politica/_img_taroccate/altri/satira_politica_varia053.jpg)
Il Neofederalismo
Questa è una delle proposte sicuramente meno originali. Successivamente alla dissoluzione dell’impero romano d’occidente, in breve si composero e scomposero anche i regni barbarici che sulle rovine dell’impero stesso si erano costituiti, da quella decomposizione sorse il sistema che fu definito feudale. La sua caratteristica fu la formazione di tante piccole sovranità locali, ora su base nobiliare, baronie, marchesati, contadi, ora comunale, che si frapponevano tra il capo dello stato e i singoli individui per l’esercizio conferito ai capi locali di una parte notevole dei poteri sovrani (G. Mosca 1949).

I nuovi Guelfi e Ghibellini
L’ideologia, a volte ritornano, del bipolarismo come strumento per meglio filtrare i bisogni e rendere più efficace l’azione politica ha trasformato la rappresentanza popolare in tecnica, tendendo di fatto alla realizzazione del bipartitismo, sbandierato come soluzione di ogni male del sistema democratico, anche a costo di liquidare il pluralismo, artificiosamente compresso in due soli canali. Nessuno si è invece preoccupato di analizzare quella porzione di inadeguatezza della politica dovuto alla inadeguatezza dei sui rappresentanti. Ad esempio, non è richiesto un particolare titolo di studio per sedere su uno scranno parlamentare, oggi è sufficiente essere messi in una buona posizione di lista dal dominus di turno, senza sapere assolutamente nulla di diritto costituzionale, amministrativo o di regolamenti parlamentari, conoscenze che, adeguatamente certificate, dovrebbero essere assolutamente propedeutiche anche alla sola candidatura. Mentre, invece, ad un qualunque cittadino è richiesto il possesso di tutta una serie di requisiti anche solo per fare l’usciere o lo scopino.
Inoltre il linciaggio orchestrato dalla lobby dell’informazione contro la politica ha non solo demonizzato la politica ma anche la giusta retribuzione di chi questa funzione assolve con preparazione ed impegno, la conseguenza è l’allontanamento dei migliori da questo importante settore, anche per la sminuizione del ruolo sociale

Il ritorno alla monocrazia
Ed infine, proprio coloro che sbandierano la governabilità come origine e destino dell’universo contribuiscono a decretarne il fallimento. Il processo si articola più o meno così:
alla rappresentanza maggioritaria viene attribuito il potere di governo, seppure astratto, in quanto esercitato da un nucleo più ristretto, il Consiglio dei Ministri;
la legittimazione di tutta la maggioranza, così trasferita ad una sua parte, appunto il Governo, si va ulteriormente spostando, e personalizzando, verso la figura del Presidente del Consiglio, il Premier, innestando così una spirale di abdicazioni successive che culminano nella personalizzazione assoluta del potere, verso la monocrazia.
Questo processo si è peraltro già compiuto nell’istituto della elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di province e regioni, tacitamente sponsorizzato, almeno sotto l’aspetto morale, dai partiti politici che presentano liste elettorali simboleggiate ormai dal nome del candidato principe di turno. La giustificazione di quest’ultima riforma è stata la maggiore governabilità, senza tenere conto che, come in qualsiasi consiglio di amministrazione, in prima repubblica,quando un sindaco non godeva più della fiducia del consiglio comunale veniva semplicemente e rapidamente sostituito, senza che fosse mai successo chissà quale cataclisma istituzionale o quale carestia.

Questa situazione di auto annullamento della politica si celebra in un quadro di sostanziale appiattimento delle due principali accozzaglie partitiche su posizioni programmatiche estremamente simili e neoconservatrici, in un quadro di produzione di idee estremamente insufficiente, che si concretizza nella continua rinuncia della amministrazione pubblica a porzioni sempre crescenti delle proprie funzioni. Si continuano a proporre, da ambo le parti, riforme che dovrebbero snellire il sistema pubblico, privandolo dell’esercizio di una parte crescente di quelle funzioni e di quei sevizi per i quali i cittadini pagano le tasse. Con un atteggiamento che si è da tempo dichiarato in tutta la sua inefficienza si continua a sostenere che privato è meglio, o può essere più efficiente. Ma il privato deve produrre utile dalle sue attività aggravando il bilancio di qualsiasi esercizio di una ulteriore voce, appunto l’utile, laddove sarebbe più efficace continuare a gestire i servizi pubblici in proprio con sistemi di governo semplicemente più efficienti, senza ricorrere alle furbizie contabili concesse dall’outsourcing. E’ soltanto una bestemmia discutere di mercato quando ci si riferisce ai servizi pubblici, soprattutto quando sono servizi essenziali, la salute, l’istruzione, la ricerca, la giustizia ecc. non possono avere un prezzo, hanno più semplicemente un costo, che deve essere il più contenuto possibile e che la collettività sopporta con la contribuzione, ciascuno secondo le proprie possibilità. Dal settore privato si possono, e si devono, mutuare pratiche di buona amministrazione, già largamente presenti nella Pubblica Amministrazione, adattandole alla fattispecie, e, seppure siamo in piena epoca del copia incolla, non sarà mai possibile e utile riprodurle sic et simpliciter, perchè il settore pubblico è e deve restare una sorta di gestione condominiale allargata o, se si preferisce, una forma complessa di gestione familiare. Tutto ciò comunque non potrà avere alcuna ricaduta in termini di efficienza se la dirigenza della cosa pubblica continuerà di fatto ad essere nominata sulla base dell’appartenenza politica, in barba alla riforma della P. A., e se le retribuzioni dei manager pubblici continueranno ad essere tanto inferiori a quelle del settore privato, provocando, a ragione, una fuga delle migliori competenze verso quest’ultimo. La buona politica, e la buona amministrazione, devono avere la giusta retribuzione, premiante per le professionalità e le competenze che generano risultati.
Inoltre il settore privato ha ampiamente mostrato, a chi avesse ancora avuto bisogno di una dimostrazione per mancanza di conoscenza teorica ed empirica, tutti i suoi limiti, quando ad esempio lo Stato si è voluto spogliare di alcune sue funzioni trasferendole ad esso, una dimostrazione eclatante l’hanno fornita le famose agenzie di rating (svolgono una funzione che era propria delle banche centrali) che assegnavano un indice di affidabilità altissimo alla società statunitense Lehmann Brother fino al giorno precedente il suo fallimento, come è successo nella maggior parte dei casi di gravissima crisi finanziaria che si vanno moltiplicando proprio in questi giorni.
Il mercato lasciato a se stesso tende a diventare una entità cattiva, che lascia indietro i più deboli, portatrice di sola infelicità e crisi, lo racconta la storia dei grandi fallimenti bancari della fine del XIX secolo, della grande depressione generata a partire dal 1929, e dei tanti dissesti che nello scenario dell’economia globalizzata si vanno prospettando, nei quali gli errori di pochi sono pagati da tantissimi. Per contro uno Stato che invade eccessivamente il campo di azione che è proprio e naturale dell’attività privata provoca inefficienza e sprechi, grande debito pubblico, forte squilibrio di potere.
Si tratta quindi di definire, in un iter che sarà per sempre provvisorio ed in evoluzione, quale deve essere il ruolo regolatore dei governi e quale deve essere la dimensione ottimale della cosa pubblica, a beneficio dei tantissimi cittadini, dei pochi imprenditori ed anche della grande finanza.

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