La via Amerina fu la più importante via di comunicazione tra l’ager faliscus e l’Umbria. Non si conosce la data esatta della sua costruzione, tuttavia si può desumere che fosse anteriore alla conquista dei romani, che dovrebbero averla utilizzata e conservata nel periodo immediatamente precedente alla costruzione della Flaminia. Il suo tracciato costituisce il cardine massimo di Falerii Novi, sorta dopo l’abbandono di Falerii Veteres, circa nel 241 a. C., indice di un frettoloso e necessario riutilizzo di una via già esistente e funzionante alla data dell’espansione romana. La via Amerina costituiva il percorso più breve tra Roma e l’Umbria, appena 56 miglia, come ricorda Cicerone nella sua difesa a favore di Sestio Roscio, e prendeva il nome dalla città umbra di Ameria (Amelia). Il suo tracciato è descritto nella Tabula Peutingerina che indica le principali stazioni lungo il suo percorso: Vacanas, Nepe, Faleros, Castello Amerino (forse l’antico porto di Seripola, venuto alla luce nel 1962 durante i lavori per la costruzione dell’autostrada del Sole), Ameria. La sua impostazione globale la qualifica come un’opera originale di ingegneria da porsi in rapporto con la romanizzazione del territorio anche se il riutilizzo di alcuni importanti tratti preesistenti, nel territorio di Nepi e Corchiano, fa pensare ad una regolazione e razionalizzazione di un impianto già esistente, i romani pavimentarono questo percorso con un basolato di selce basaltica o di trachite.
La via Amerina divenne secondaria arteria di comunicazione allorché, verso la fine del III secolo a. C., fu realizzata la via Flaminia, più efficiente per lo spostamento rapido delle truppe militari e delle merci.
La Via Amerina
La storia delle idee
La storia delle idee e la storia delle azioni corrono su binari paralleli che raramente si incontrano, restituire un'anima alla politica significa restituirle la forza delle idee, liberarla da quel preoccupante abbraccio con le lobbies economico finanziarie che, palesatosi dalla fine degli anni 80, ha portato in breve il sistema politico italiano alla tragica Caporetto di Tangentopoli, e alle disfatte odierne. Compito degli intellettuali è quello di individuare i nessi tra economia ed etica, di mediare tra il darwinismo sociale del laissez faire e il totalitarismo politico sociale dello stato, tenuto conto del fatto che comunque uno stato sano non sarà mai uno stato minimo. Una società non può esistere senza che vi si inserisca in qualche punto in freno della volontà e degli appetiti sfrenati. Occorre tornare alla guida delle idee, abbandonare i tecnicismi tattici della politica odierna, riappropriarsi della capacità progettuale che fu una delle risorse d'eccellenza della cosiddetta Prima Repubblica.