Le mura poligonali dell’antica Cliternia a Fiamignano (RI)
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(Christian Mauri © 2019)

Una recente indagine archeologica ha consentito di localizzare l’antico municipium romano di Cliternia nel territorio comunale di Fiamignano (RI), all’interno dell’antico Ager Aequiculanus, oggi Cicolano (C. Mauri, 2018).

In precedenza un’arbitraria interpretazione, ancora ottocentesca, di un’epigrafe rinvenuta a Capradosso ha voluto erroneamente collocare la città di Cliternia proprio a Capradosso. In realtà questa epigrafe riporta soltanto il cursus honorum di Sellusius Certus, il quale fu edile a Rieti, nonché questore e duumviro di Cliternia[1], ma non aiuta sulla localizzazione della città. Poche sono le notizie a riguardo di Cliternia nelle fonti letterarie. Da Plinio sappiamo soltanto che questa città sorgeva in territorio equicolo (Plinio Il Vecchio, 78). Alcune epigrafi rinvenute nel territorio comunale di Fiamignano e relative a cariche pubbliche dimostrano lo stato di municipium raggiunto da questa città in epoca romana.

Il Coarelli ricorda che “a Fiamignano e nelle frazioni adiacenti sono numerosi iscrizioni (alcune di magistrati) che mostrano l’importanza di questo vicus, probabilmente il più notevole dell’area” (F. Coarelli, F. Zevi, 1982). Nella piazza di Fiamignano si conserva l’iscrizione dei censori Marci Lartiedi Sabini, padre e figlio, che riporta la costruzione di un acquedotto e i restauri ad un fanum[2].

Il territorio di Fiamignano è caratterizzato da un’elevata concentrazione di santuari e luoghi di culto equicoli, con murature in opera poligonale, che dovevano gravitare intorno ad un importante insediamento urbanizzato, avente una funzione polarizzante per il resto del territorio.

La fondazione romana di Cliternia risale a età repubblicana e viene collegata alla conquista romana del territorio equicolo del 302 a.C. La maggior parte dei santuari presenti a Fiamignano risalgono al II secolo a.C., quindi successivi all’occupazione romana e vanno messi in relazione all’istituzione del municipum. È possibile ad oggi ricostruire l’estensione territoriale di questo municipium romano. Il territorio di Cliternia doveva confinare ad ovest presso Rieti in corrispondenza dei Monti dei Balzi. Il fiume Salto invece ne doveva costituire il confine naturale che lo divideva a sud dal territorio di Nersae.

Come detto, il territorio di Cliternia era costellato da santuari romani in opera poligonale.

A nord di Fiamignano, in località S. Angelo, sul Monte Aquilente, è presente un terrazzamento in opera poligonale che recinge un’area grossomodo rettangolare, grande circa 35 x 14 metri. L’opera poligonale è di IV maniera, con i blocchi tendenti alla forma parallelepipeda ed assise regolari, e si colloca alla fine del II secolo a.C. La posa in opera mostra un paramento a scarpa (Fig. 1).

Di queste mura se ne conservano oggi i due cantonali in blocchi di calcare, di cui quello sinistro in buono stato di conservazione. La fronte invece è conservata per ben 6 filari, anche se in parte crollati.

La posizione di questo santuario equicolo, posto a ben 1.350 metri di altezza presso il Monte Aquilente, lo colloca in posizione dominante sull’intero Ager Aequiculanus, su cui affacciava la fronte del santuario.

Un’epigrafe rinvenuta nella sottostante frazione di S. Agapito permetterebbe di attribuire questo santuario a Giove Ottimo Massimo, il cui culto in effetti era diffuso nelle località romane di altura[1]. La menzione nell’epigrafe di altri “dei e dee”, rimasti anonimi, lascia intendere che qui si veneravano diverse divinità locali. Siamo in presenza quindi di un luogo di culto eterogeneo ed aggregante per le diverse popolazioni rurali del Cicolano.

Nella frazione di Marmosedio la chiesa medievale di S. Lorenzo in Fano sorge al di sopra di un terrazzamento in opera poligonale di III maniera, databile alla fine del II secolo a.C. e conservato oggi per una lunghezza di 32 metri ed un’altezza di 3 metri (Fig. 4).

I blocchi sono in calcare rosato di estrazione locale, con giunti serrati e facce levigate. I primi 3, 4 filari in basso sono leggermente sporgenti (8 mm) rispetto ai blocchi soprastanti, indizio di una posa in opera “a scarpata”.

Il toponimo Fano induce ad interpretare le mura come sostruzioni per un tempietto equicolo (fanum) ed indicare una continuità religiosa tra l’epoca romana ed il Medioevo, quando sullo stesso luogo venne eretta la chiesa benedettina di San Lorenzo in Fano. Al tempietto equicolo appartenevano probabilmente alcune colonne conservate all’interno della chiesa, nonché un capitello dorico (trafugato) ed un rocchio di colonna, riutilizzato oggi per sorreggere l’acquasantiera.

Alle pendici del Monte Fratta, presso la frazione di Alzano (sempre nel territorio comunale di Fiamignano), all’interno di una boscaglia si trovano i resti di un imponente santuario equicolo, denominato Grotta del Cavaliere. Questo santuario era articolato in tre terrazze degradanti, delimitate da mura in opera poligonale di II-III maniera, datate tra il III e la fine del II secolo a.C.[2] (Fig. 2 e 3).

Il muro inferiore si conserva per una lunghezza di 48 metri ed un’altezza massima di 4,30 metri. È costituito da 9 filari di blocchi in calcare di dimensioni variabili, con giunti approssimativi e l’inserimento di qualche zeppa.

I filari, non sempre regolari, presentano talvolta un piano di posa perfettamente orizzontale. La base del muro poggia e talvolta s’incastra nella roccia. Sulla terrazza più alta è presente una piccola struttura di incerta interpretazione, identificabile forse con la cella cultuale.

Tra il primo ed il secondo muraglione si trova la cosiddetta Grotta del Cavaliere, un pozzo a pianta circolare, profondo circa 2,60 metri, che va allargandosi verso il basso. Il diametro superiore misura 2,40 metri, mentre quello inferiore, più largo, 3 metri. Il pozzo ha la particolarità di essere realizzato con blocchi longitudinali, conservati per 5 filari, progressivamente in aggetto verso l’apertura e che diventano man mano più piccoli verso il fondo. La copertura era costituita da un grande lastrone circolare, con foro centrale.

In prossimità del pozzo vennero rinvenuti alcuni frammenti di ceramica a vernice nera e degli ex voto anatomici risalenti al III secolo a.C., a dimostrazione di come ci troviamo di fronte ad un luogo di culto. È probabile che si tratti di un pozzo sacro (pluteal) dalla probabile funzione rituale. Un blocco sporgente con un lungo solco è stato interpretato come lo scolo per il liquido sacrificale (durante sacrifici o libagioni).

Dal sito proviene una piccola epigrafe in marmo con dedica ad Ervaianus, considerata una contrazione per Ercole Vaiano, a cui probabilmente era dedicato questo santuario equicolo (G. Grossi, 1984)[1]. Sappiamo che Ercole era considerata la divinità protettrice dei mandriani, lasciando intendere quindi che la località si trovasse lungo un antico percorso di transumanza. L’epigrafe, oggi al Museo Archeologico Cicolano di Corvaro, si data alla metà del I secolo a.C.

Bibliografia:

Christian Mauri, La Sabina prima dei Sabini: gli Aborigeni e l’età del Bronzo. I santuari romani in opera poligonale, Roma 2018, pagg. 121-132;

Filippo Coarelli, Fausto Zevi, Lazio, Roma, 1982, pag. 28;

G. Grossi, Insediamenti italici nel Cicolano: territorio della Res Publica Aequicolanorum, L’Aquila 1984, pag. 73;

Plinio Il Vecchio, Naturalis Historia, III, 106: Aequiculanorum Cliternini.

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[1] Tuttavia S. Morandi propone di riconoscervi la divinità di Nervaiano. L’epigrafe recita: C(aius) Lullius P(ublii) f(ilius) / dat don(um) / ervaiano / l(ibens) m(erito).

[1] CIL IX, 4107: SACRVM \ IOVI O. M. \ ET DIS DEAB \ T. POMPVSIVS \ PRIMIGENIVS.

[2] Vedere a riguardo la tesi di laurea di E. Imperatori, Il complesso di Alzano. Topografia di un centro del Cicolano, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Perugia, a.a. 2001-2002, con relativa bibliografia. Il termine Cavaliere si riferisce al cavalier Dodwell, tra i primi archeologi che nell’Ottocento esplorarono quest’area, lasciando il nome alla grotta.

[1]Cfr., CIL IX, 4169: DIS MANIBUS \ T. SELLVSIVS C. F. CLA \ CERTI \ AEDILI REATE QVAEST. IV \ DVVMVIRO CLITERNIAE.

[2]Cfr., CIL IX, 4130.