Terrorismo in Italia. Nota introduttiva
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Oggi ho 44 anni, ma si faccia conto che le impressioni che seguono, solo per questa volta, siano di un ragazzetto di 10 o 12 anni, grosso modo l’età che avevo quando mio padre, un appuntato dei carabinieri, usciva di casa ogni mattina per andare a lavoro ….. e non sapevo se lo avrei più rivisto. Quasi ogni giorno moriva un cosiddetto servitore dello stato, a volte senza che avesse nemmeno potuto sapere da che parte fosse venuto il fuoco, spesso colpito a tradimento, anche con un ermetico colpo di pistola alla nuca, come facevano i rivoluzionari di Mao con i nazionalisti, in strada, dopo averli fatti mettere in ginocchio.
Spesso la mattina lo salutavo, di buon’ora, dopo essermi svegliato da un incubo cattivo, sempre lo stesso, un sogno che sembrava realtà, la tomba, nel cimitero del paese dove vivevamo, nella quale mio padre era sepolto, ucciso dagli “uomini” delle Brigate Rosse, come qualche anno dopo, li chiamò Paolo VI, con un gesto di rispetto che assolutamente non meritavano, qualunque fosse stata la motivazione che li armava, anche la più nobile. Inoltre bisognava guardarsi anche dai vari gruppuscoli neri, non meno insidiosi, seppure meno numerosi in quanto ad organico.
E c’erano le mogli di questi bersagli in divisa, praticamente indifesi, spesso impreparati, ma poi come si poteva essere preparati a difendersi da una aggressione mortale che poteva arrivare da ciascuno dei 360 gradi in cui si suddivide lo spazio intorno alla tua persona. Dicevo, c’erano le mogli, coraggiosissime, orgogliose, ma sempre con una vena di tristezza sul viso, che nessun sorriso poteva nascondere, nessun fondotinta. Alle volte mia madre, quando proprio non ce la faceva più mi chiedeva: ma secondo te perchè tuo padre ancora non torna? Con lo stomaco chiuso dalla paura, una sensazione forte quasi quanto quella che provo adesso nel ricordare per scrivere, le facevo coraggio, io, l’ometto di casa, le dicevo che un carabiniere non ha orari, magari c’è stato un intervento urgente e non potrà tornare a cena con noi. Per fortuna mio padre è sempre tornato. E allora si trattava in buona parte di fortuna, quegli uomini delle brigate rosse sparavano anche a sproposito, figuriamoci addosso alle belle divise di carabinieri, polizia e altri.
Ci accorgemmo ben presto che il vivere in un paese della provincia senese non ci esimeva affatto dal rischio di soffrire quel fronte di guerra. Verso la fine degli anni settanta fu ucciso un maresciallo in servizio in un paesino ancora più marginale del nostro, che poteva essere più esposto perchè si trovava lungo il raccordo autostradale Siena Bettolle, durante un banalissimo controllo di documenti dei passeggeri di un autobus di linea.
Quando molti anni dopo ho avuto l’onore di indossare, anche se solo per un anno, la divisa dei carabinieri ne ho sentito tutto il peso sulle spalle e in ogni altra parte del corpo, …. non avrei mai nemmeno immaginato che un panno nero e qualche striscia rossa avessero un tale peso specifico.
Come ho premesso si tratta dello sfogo di un ragazzino, scritto, tardivamente, da un quarantenne, che ha provato, timore, paura, pietà e mai odio, di questo sono grato almeno tanto quanto lo sono perchè la mia famiglia non è stata spezzata e non si è mai abbrutita sotto il peso dell’incertezza e delle contrapposizioni. Anzi mio padre mi ha con insistenza insegnato il rispetto per le idee di quegli “altri”, dei comunisti, e comunque di chi non la pensa come me.

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