Rocco Buttiglione
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Rocco Buttiglione è nato a Gallipoli (Lecce) il 6 giugno 1948. Coniugato, padre di quattro figlie. Vive a Roma dove è professore ordinario di Scienza della Politica presso l’Università S. Pio V.
Ha studiato Giurisprudenza a Torino ed a Roma, dove si è laureato con una tesi in Storia delle Dottrine Politiche condotta sotto la guida del prof. Augusto Del Noce di cui diverrà assistente ed amico e con il quale vivrà un sodalizio intellettuale durato oltre vent’anni.
Si è occupato di Filosofia, Etica sociale, Economia e Politica presso l’Accademia Internazionale di Filosofia del Principato del Liechtenstein di cui è stato Prorettore ed ha tenuto lezioni e seminari di Etica presso l’Università Cattolica di Lublino che gli ha conferito la laurea honoris causa in Filosofia nel maggio del 1994.
Ha svolto attività di corsi, seminari, incontri, lezioni negli Stati Uniti promossi in collaborazione con i più autorevoli rappresentanti dell’intellighenzia nordamericana.
Frequenta l’American Enterprise Institute di Washington diretto da M. Novak, l’Ethics and Public Policy Center di G. Weigel a Washington, il The Acton Institute di R. Sirico nel Michigan, Il Religion and Public Life di R. Neuhaus a New York.
Membro del consiglio di redazione di numerose riviste italiane ed estere nonché editorialista di diversi quotidiani.
Eletto nel maggio 2001 nella circoscrizione III (LOMBARDIA 1) Collegio 10 – Milano.


Una lettera che il presidente del Consiglio Nazionale, Rocco Buttiglione, inviata ai dirigenti del partito.
Roma, 15 dicembre 2006
(Da: http://www.udc-italia.it/?page=front/pageref&pageref=)

Caro amico,
il governo e la maggioranza intendono proporre entro il 31 gennaio 2007 un disegno di legge sulle “famiglie di fatto” ovvero anche sulle “convivenze legalizzate”. La questione tocca valori fondamentali ai quali il nostro partito è, e deve essere, particolarmente sensibile. Per questa ragione mi permetto di sottoporti alcune riflessioni sull’argomento con lo scopo di dare un contributo ad una più forte presa di consapevolezza da parte del partito sulle motivazioni di una battaglia che non può non vederci protagonisti.
La prima riflessione riguarda l’opportunità di aprire questa discussione. La Costituzione italiana, con l’art. 29, tutela la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Una speciale considerazione la Costituzione dedica alle famiglie numerose.
Questo aspetto del dettato costituzionale è rimasto largamente disatteso. Le nostre politiche per la famiglia sono deboli ed incoerenti. Chi non si sposa e non fa figli ha, a parità di entrate, un reddito disponibile molto più alto di chi sulle stesse entrate deve far vivere tre, quattro, cinque persone o più. Hanno capacità contributive essenzialmente diverse ma pagano sostanzialmente le stesse tasse. I genitori investono sui figli il meglio delle loro disponibilità materiali e spirituali. Il beneficio è di tutta la nazione ma i costi li pagano solo le famiglie. La famiglia è il vero soggetto oppresso della nostra società, come lo era il proletariato nel secolo XIX. Se andiamo a vedere chi sono i poveri in Italia oggi vediamo che in larga misura i poveri sono le famiglie numerose. Pur lavorando duramente se si ha una famiglia numerosa è assai difficile mantenersi al di sopra della linea di povertà.
Lasciamo adesso da parte le altre difficoltà che la famiglia incontra nello svolgere la sua missione educativa a causa dell’ordinamento della scuola, dei mezzi di comunicazione di massa, della televisione ecc.
Questa situazione drammatica di ingiustizia e di danno non è, evidentemente, un tema per la politica e per la discussione pubblica in Italia.
Noi crediamo che si debbano accendere i riflettori sulla famiglia “tradizionale” che è anche la famiglia “costituzionale”. Invece il tema dominante della discussione sono le coppie omosessuali e le famiglie di fatto. È questo ciò che si vuole mettere all’ordine del giorno nella discussione parlamentare. Si vogliono accendere i riflettori sulle “famiglie di fatto” per poterli tenere spenti sulle famiglie “costituzionali”.
Il messaggio di questo modo di formulare l’ordine del giorno della politica è devastante. La gente capisce che la famiglia “costituzionale” è vecchia e superata e che il futuro appartiene alle “forme nuove di famiglie non tradizionali”. Ma esistono davvero forme nuove di convivenza capaci di sostituire la famiglia costituzionale nello svolgimento della sua funzione sociale?
Alla fine degli anni ’60 e agli inizi degli anni ’70 era diffusa la convinzione che non fosse più utile incanalare la sessualità umana verso il matrimonio e la famiglia. La famiglia – si pensava – sarebbe scomparsa ma lo stato o altre formazioni sociali (le famose “comuni”) avrebbero ereditato le sue funzioni sociali: la generazione e l’educazione dei figli, l’assistenza agli anziani, la solidarietà fra le generazioni e comunque con i membri deboli della famiglia.
La famiglia è stata indebolita ma le sue funzioni non sono state ereditate da nessuno e dove lo stato o l’ente pubblico hanno cercato di esercitarle lo hanno fatto con costi enormi e risultati insoddisfacenti. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: i bambini non nascono; è sempre più difficile educare i figli; la società è sempre più egoista e sempre più alienata; gli anziani sono sempre più soli ed abbandonati.
Il messaggio che governo e maggioranza lanciano al paese con la scelta di mettere all’ordine del giorno le coppie di fatto e non le famiglie numerose è devastante nella pratica e retrogrado dal punto di vista culturale.
L’ordine del giorno della politica italiana, però, non lo facciamo noi, lo fa la maggioranza ed il governo. Noi naturalmente non ci sottraiamo al confronto.
Il governo e la maggioranza intendono proporre un provvedimento sulle “coppie di fatto”. Si tratta – essi dicono – di una questione di diritti. Noi osserviamo umilmente che non ogni desiderio o rivendicazione soggettiva costituisce un diritto. Ricorda proprio in questi giorni Benedetto XVI che ai diritti corrispondono i doveri.
Quando un uomo ed una donna si sposano si assumono dei doveri, e si tratta di doveri pesanti. Si impegnano alla fedeltà l’uno verso l’altro, all’amore ed al rispetto reciproco, alla assistenza nelle difficoltà della vita, al sostegno nella buona e nella cattiva fortuna. E questo ancora non è nulla: la coppia coniugale si impegna ad accogliere i figli che nasceranno, ad averne cura, ad educarli e ad accompagnarli verso la maturità umana. Per avere cura dei figli uno dei due membri della coppia coniugale rinuncia ad un pezzo almeno della propria carriera professionale o anche a tutta questa carriera. Per avere cura dei figli tutti e due i membri della coppia coniugale investono il meglio delle loro risorse materiali e spirituali ed il grosso dei loro risparmi potenziali nella educazione della prole. In questo modo la famiglia svolge una funzione sociale fondamentale dalla quale tutti traggono beneficio. I bambini sono i cittadini di domani. Sono loro il futuro della nazione e sono loro i contribuenti che pagheranno le pensioni non solo ai loro genitori ma anche a chi non ha voluto avere dei figli e, a parità di guadagni, ha avuto un reddito disponibile di molto più alto.
Facciamo un confronto con una coppia di omosessuali che vogliono costituire un PACS. Quali sono i doveri che essi si assumono? Quelli dell’amore, dell’assistenza e del sostegno reciproco? Dalle proposte non risulta. L’unico elemento rilevante sembra essere la coabitazione. Ma non è nemmeno questo il punto principale. La famiglia, infatti, come abbiamo detto, esiste fondamentalmente per la protezione del bambino. La famiglia, dice S. Tommaso d’Aquino, è “una specie di utero spirituale” che contiene e protegge il bambino. Qui invece bambini non ce ne sono. Nessuno sacrifica un pezzo della sua carriera per la funzione sociale della famiglia.
La pensione di reversibilità, per esempio, nasce come risarcimento parziale alla donna per la carriere che essa non ha fatto e per i contributi che non ha potuto versare perché ha svolto le funzioni sociali proprie della famiglia.
Di più: in una coppia omosessuale non si investe sui figli, si dispone dunque di molti più soldi e non si ha diritto a quelle (poverissime) misure di sostegno che dovrebbero impedire alle famiglie (e soprattutto alle famiglie numerose) di cadere al di sotto della soglia di povertà. Ma – si potrebbe dire – le coppie omosessuali potrebbero essere disponibili ad adottare dei bambini. I bambini, però, per crescere bene, hanno bisogno di un papà e di una mamma, le polarità del maschile e del femminili sono fondamentali per la formazione della loro personalità, e quindi non possono essere affidati ad una coppia omosessuale.
Qualcuno, infine, potrebbe obiettare che il progetto di legge del governo si occuperà delle “coppie di fatto” mentre questo articolo si è concentrato sulle “coppie di fatto omosessuali”. Che diciamo delle coppie di fatto eterosessuali? È presto detto: le coppie di fatto eterosessuali per lo più dopo un certo numero di anni o si lasciano o si sposano. Se tuttavia persistono nel loro vincolo, hanno dei figli, li amano e li educano, svolgono la funzione sociale della famiglia e assolvono in tutto o in parte i doveri della famiglia, allora è giusto che abbiano anche i diritti della famiglia. In questi casi è però lecita la domanda: perché non si sposano? In realtà nella maggioranza dei casi alla fine si sposano.
In ogni caso non si può accettare che alcuni pretendano di avere i diritti della famiglia senza adempiere ai corrispondenti doveri ed alla funzione sociale della famiglia.
Rocco Buttiglione