Sindacato e politica
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(Pubblicato in :La Discussione, 21/11/2006)

Alcuni giorni fa, partecipando ad una riunione di dirigenti del mio sindacato, la CISL, ho ascoltato lo sconforto di questi uomini e donne che operano confrontandosi con un contesto politico che ormai quasi li ignora. I dirigenti della CISL Funzione Pubblica chiamano “il Podestà”, i sindaci e i presidenti di provincia, e identificano la causa di questa situazione di degrado delle relazioni prevalentemente nel sistema elettorale, che porta in Parlamento e alla guida degli enti locali non esponenti di partito, ma rappresentanti di se stessi, la somma di tanti piccoli personalismi che non fanno nemmeno l’ombra di un interesse generale. E’ l’antiporta del lobbismo.
Questi uomini, a volte responsabili del passaggio al maggioritario post tangentopoli, un tempo fautori della Seconda Repubblica, oggi si sentono traditi da quella brezza di cambiamento, trasformata in bufera, che hanno contribuito a far montare sulla scia del golpe bianco di Tangentopoli. Oggi, consapevoli di essere meno liberi e meno forti, non trovano più nella politica un punto di riferimento e sono pronti per un’altra battaglia sturziana per la reintroduzione del sistema elettorale proporzionale, certamente corretto da meccanismi che ne perfezionino il funzionamento.
Sicuramente in questa battaglia per il ritorno alla vera democrazia rappresentativa non riceveranno un appoggio dalla nuova borghesia capitalistica italiana e dai nuovi principi furbetti della politica che, parafrasando Don Sturzo “ … una sola preoccupazione hanno, che il popolo lavoratore non ritorni libero e organizzato”, a questo fine hanno favorito il passaggio alla Seconda Repubblica, lo hanno sostenuto nel suo sviluppo e nelle sue crisi, lo tollerano nel suo declino e ne subiranno le conseguenze, tutto pur di non dividere il potere. Prendendo in prestito una bella frase di Bruno Vespa, ormai milioni di persone suonano e cantano pur sapendo che non diventeranno mai direttori d’orchestra, a dispetto di qualunque Fabbrica del Programma, che poi non è altro che il solito modo di ascoltare i dolori di tutti e farli tutti fessi e contentati.
Mentre si consuma questa disfatta della rappresentatività popolare il paese corre veloce e deciso verso la recessione, guidato dalle avanguardie dei settori di punta, che se non perdono competitività sono comunque sull’orlo del fallimento, succede anche ad alcuni tra i nostri marchi più visibili, come Alitalia e alla società che un tempo fu Ferrovie dello Stato.
Nel frattempo i padroni della politica, ormai liberi dai lacci dell’ideologia, ma privi anche delle fondamentali direttrici filosofiche che ad essa si accompagnano, praticano il consociativismo e il saltimbanchismo, sabotando il paese con finanziarie una volta creative e una volta incerte e privi di fondamentali strumenti operativi. In questo quadretto che difficilmente può indurre all’ottimismo i cittadini, figuriamoci gli investitori, quella scheggia della vecchia Democrazia Cristiana che oggi si chiama UDC, anche se è percepita da molta parte dell’universo CISL come punto di riferimento e come possibile ombrello di protezione, continua a perseguire l’insensato fine del suicidio politico, perpetrando quella che ormai dal 1992 è diventata una sorta di tradizione.
Nella mia provincia di Terni la Direzione Nazionale dell’UDC sta addirittura tentando di imporre l’ingresso nel partito di un fuoriuscito, consigliere regionale, di Forza Italia, con l’intento di consegnare nelle sue mani l’intera provincia, una sorta di investitura di stampo medievale effettuata sopra la testa dei vassalli del popolino. Mi chiedo quanto tempo debba ancora passare prima che i democratici cristiani, stufi di essere trattati come stallieri dai baroni della politica di ispirazione cattolica, esplodano orgogliosamente in una richiesta, questa si di piazza, di ricostituzione di una grande DC o di un Partito Popolare Sezione Italia.

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