Giuseppe Pella
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GIUSEPPE PELLA 1902 -1981.

Nato a Valdengo, sulla collina biellese, nel 1902, Pella si laureò in Scienze Economiche e Commerciali a Torino e intraprese successivamente la professione di dottore commercialista.

Collaborò con il CLN, fu eletto deputato alla Costituente nelle file della DC e rieletto sino al 1968, per passare al Senato ove rimase sino al 1976.

Fu tacciato di essere unliberista cristiano, termine pronunciato quasi come  una sorta di insulto riservato agli  sfruttatori dei lavoratori, mentre fu un fautore della libertà di iniziativa in economia e del libero scambio. Con altrettanta ironia Pella era tacciato di essere un contabile ed un ragioniere. Alla caduta dell’ottavo governo De Gasperi, nel 1953, Einaudi gli conferirà,  ignorando le indicazioni della Dc, l’incarico di formare il nuovo governo, nel quale Pella assumerà anche il ministero del Bilancio e quello degli Esteri.  Fu Presidente del Consiglio fino al 1954.Toccherà a lui il difficilissimo compito di difendere l’italianità di Trieste, onere che assolse con grande fermezza, Trieste si ricongiunse alla Patria nell’ottobre 1954. Fu ripetutamente ministro dei dicasteri economici e degli esteri nei governi che si succedettero dal 1947 al 1973. Fu poi presidente della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, la CECA. Docente di Contabilità Nazionale nelle Università di Palermo, Parma, Torino e Roma.

La svolta di centrosinistra fu da lui fortemente disapprovata per l’insufficiente, a suo giudizio, distacco dei socialisti dai comunisti, anche in politica estera, dette inizio alla graduale emarginazione dell’economista piemontese all’interno della DC e dalla vita politica. Fu occasionalmente chiamato a ricoprire la carica di ministro delle Finanze, per pochi mesi, per decisione di Giulio Andreotti nel suo primo governo, fino alle elezioni anticipate del maggio 1972. Come ex presidente del Consiglio rappresentò l’Italia a Madrid, nel novembre 1975, alla cerimonia di giuramento di Juan Carlos, nuovo re di Spagna, dopo la morte del dittatore Franco.

Presiedette l’associazione Piemonte – Italia e il comitato organizzatore di Italia ’61. A Biella fondò la Città degli studi tessili. Morì a Roma nel 1981.

 



TRIESTE: PELLA REPLICA ALLE MINACCE DI TITO
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Pella fa sapere alle potenze occidentali che, in caso Tito attui la minacciata annessione della zona B di Trieste, l’Italia occuperà la zona A e, a sostegno delle sue affermazioni, manda truppe alla frontiera nord orientale e navi da guerra nell’Adriatico, giustificando la sua azione col fatto che 250 mila partigiani jugoslavi si sono spostati nella zona B. E’ la prima volta che il governo italiano prende decisioni del genere senza aver consultato in precedenza gli alleati che, dal canto loro, lo invitano ad evitare prese di posizione pubbliche e di
astenersi dal compiere azioni di forza.
Nel settembre del 1953, il presidente del Consiglio Giuseppe Pella, era riuscito ad ottenere dagli anglo americani, una dichiarazione con la quale le due potenze si impegnavano a lasciare all’Italia l’amministrazione della Zona A. Nel 35° anniversario dell’ingresso degli italiani a Trieste, nel 1918, e festa di San Giusto, patrono della città, il 3 novembre 1953 viene issata sul Municipio di Trieste la bandiera italiana; dopo momenti di agitazione gli americani la rimuovono.
Ma subito si formano cortei di
protesta nella città. Tanto che nel pomeriggio uno studente issa una bandiera italiana sul monumento a Domenico Rossetti davanti al Giardino Pubblico. La folla viene dispersa, e la polizia civile della zona A, reclutata dagli inglesi tra gli elementi sloveni o filoslavi, rimuove nuovamente la bandiera. Il 4 il Generale inglese sir Thomas Winterton, governatore di Trieste, impone al sindaco Gianni Bartoli di rimuovere il tricolore issato in vetta al Municipio di Trieste.
Ma il sindaco si rifiuta e il vessillo è rimosso dagli inglesi. Un migliaio di persone, in gran parte di ritorno dal Sacrario di Redipuglia, dove si è svolta l’annuale cerimonia commemorativa, formano un nuovo corteo ferroviaria. Quando arriva in piazza la folla è enorme e si cerca di issare nuovamente il tricolore sul Municipio. Intanto cortei, incidenti e scontri a colpi di pietre si svolgono in varie zone della città. Il 5 novembre riaprono le scuole, ma gli studenti scioperano e scendono in strada con un corteo che arriva fino in piazza Sant’Antonio.
All’arrivo della polizia parte un fitto lancio di pietre. I poliziotti reagiscono con idranti e manganelli e inseguono gli studenti fin dentro la chiesa di Sant’Antonio. Un gravissimo atto che costringe il vescovo monsignor Antonio Santin a recarsi in processione a riconsacrare il tempio. Giunta sul posto la polizia è accolta a sassate e gli ufficiali inglesi danno ordine di aprire il fuoco ad altezza uomo. Due persone, una delle quali è il quattordicenne Pierino Addobbati, rimangono per terra. In città si verificano tumulti e assalti alle sedi anglo-americane, incendi e devastazioni di automezzi della polizia. La mattina successiva riprendono i tumulti e gli incendi delle auto della polizia civile. La polizia apre il fuoco per difendere gli edifici del Governo Militare Alleato e quattro triestini sono uccisi. In tarda mattinata un’enorme folla converge in piazza Unità e dà l’assalto alla Prefettura.
La bandiera italiana compare sul Municipio e sul palazzo del Lloyd Triestino. I Triestini lanciano bombe a mano sulla Prefettura e gli inglesi intervengono con truppe in assetto da guerra. Gli statunitensi, invece, si chiudono nelle caserme. Il governo italiano protesta duramente; gli americani prendono le distanze dagli inglesi, affermando che la polizia civile triestina ha agito sotto ordini britannici.
Ma a questo punto la diplomazia internazionale si è messa al lavoro per risolvere la questione di Trieste.L’antefatto A questo punto, però, è necessario fare un passo indietro per capire come si è arrivati alla divisione di Trieste nelle due zone d’influenza. Alla firma dell’armistizio, l’8 settembre del 1943, l’esercito italiano si sfalda e le truppe di Tito occupano la Dalmazia e l’Istria e cominciano due tragedie spesso dimenticate: quella delle foibe e l’altra, non meno dolorosa, del grande esodo. Fino alla fine della guerra per queste terre è un susseguirsi di stragi titine, rappresaglie tedesche e
bombardamenti alleati. Il 30 aprile del 1945 il IX Corpus jugoslavo è alle porte di Trieste. Iniziano i terribili 40 giorni di occupazione della città, durante i quali civili e militari vengono prelevati dalle loro case e gettati nelle foibe di Basovizza e di Monrupino.
Secondo le stime del Comando supremo alleato, nella sola provincia di Trieste, in sei settimane sparirono oltre 3000 persone. Dopo 40 giorni, però, gli Alleati obbligano i titini a sgomberare la città e costituiscono il Territorio Libero di Trieste, diviso in zona A e zona B. Istria e Dalmazia rimangono alla Jugoslavia, con il risultato che trecentocinquantamila italiani lasceranno la propria casa.
Il 10 febbraio del 1947 il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi firma il trattato di pace che assegna definitivamente alla Jugoslavia quasi tutta l’Istria, la Dalmazia, la città di Fiume e le isole di Cherso e Lussino; rimangono italiane metà di Gorizia e Monfalcone, mentre restano ancora contese l’Istria settentrionale e l’odierna provincia di Trieste. Il vescovo di Trieste monsignor Antonio Santin riferendosi alle due zone così si esprimeva: “…di due sorelle, una ritorna alla vita, l’altra
giace nella morte.”. Il 5 ottobre del 1954, il presidente del Consiglio Mario Scelba, annuncia in Senato, alla presenza del figlio di Nazario Sauro, il ritorno di Trieste all’Italia.
Un sentimento che non cambiava minimamente il 10 novembre del 1975. Ad Osimo, nelle Marche, veniva firmato, dal ministro degli Esteri Mariano Rumor, il trattato che chiudeva le questioni territoriali con la Jugoslavia, con la cessione della Zona B a Tito. Duecentodiciannove città e paesi italiani e oltre novemila chilometri quadrati passavano sotto altra sovranità.