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Stavolta Renato Brunetta non ha tirato fuori la lavagnetta, non ha fatto lo schemino, non ha rinviato ad alcun dossier su Internet. Intercettato dal Riformista a Montecitorio, il ministro per la Pubblica amministrazione, a precisa domanda, ha replicato seccamente: «Bachelet chi? Chi è Bachelet? lo non conosco nessun Bachelet. Mi scusi, non ho altro da dire su uesto».

Per capire che cosa Brunetta intendesse per questo bisogna fare un salto all’indietro di ventiquattr’ore.

Per la precisione a mercoledì, quando nell’Aula della Camera il deputato del Pd Giovanni Bachelet ha preso la parola contro le norme taglia-precari del ministro veneziano. Per dire, semplicemente: “Sono d’accordo con il ministro Brunetta sulla meritocrazia e sulla mobilità dei ricercatori giovani. ( … ) Tuttavia nel nostro paese capitano a volte lunghi periodi nei quali, per molti anni, non ci sono concorsi ( … ) Ora, quando per molti anni non sono banditi concorsi, fermare simili stabilizzazioni implica una catastrofe, e il ministro Brunetta dovrebbe saperlo … “. Perché? “Perché egli – ha aggiunto Bachelet – è diventato professore associato con i concorsi del 1981 detti anche grande sanatoria con i quali tutti quelli che, a vario titolo, erano precari nelle università, sono stati, con un concorso riservato, accettati come professori. Poiché la situazione odierna è assai simile, prego il ministro di riconsiderare molto attentamente ciò che sta facendo ai precari, almeno per quanto riguarda la ricerca.

Egli, infatti, rischia ( … ) di non far loro godere un beneficio del quale, in un certo senso, egli stesso ha goduto”. Con le regole del Brunetta ministro, quindi, il Brunetta trentenne non sarebbe mai diventato professore associato. Morale? Secondo Bachelet. Brunetta non dovrebbe fare agli altri ciò che non avrebbe voluto (verosimilmente) fosse fatto a se stesso, ventuno anni prima (e che, comunque, non fu fatto). Parlare di un caso Gelmini-bis (il ministro bresciano diventato avvocato a Reggio Calabria!!!) è senz’ altro eccessivo. Di certo c’è che difficilmente Brunetta sarebbe diventato professore associato a 31 anni (lui è nato nel ’50) se all’inizio degli Ottanta i sindacati non si fossero battuti per inserire alcuni paletti nella famosa legge 382/80. Era la grande riforma dell’Università, quella che istituì le cariche di <<professore ordinario», <<professore associato» e «ricercatore». Invece di iniziare con i concorsi a numero chiuso, si diede vita ai concorsi riservati. La grande sanatoria è tutta nell’articolo 49 della legge: quello che di fatto consegnò i gradi di professore associato «ai professori incaricati stabilizzati», «ai professori incaricati che non hanno completato il triennio» (curriculum alla mano, Brunetta rientra in una di queste due categorie, ndr), «agli assistenti universitari». Tutti dentro, dunque. Compreso Brunetta. Che usufruì della grande sanatoria insieme anche «ai tecnici laureati, gli astronomi e ricercatori degli osservatori astronomici e vesuviano, i curatori degli orti botanici, i conservatori dei musei» che entro l’anno accademico ’79-80 avessero svolto tre anni di attività didattica e scientifica (tutti questi ultimi furono inquadrati nella fascia degli «associati» grazie al comma 3 dell’articolo 49). Il fatto che nella prima, formidabile metà degli anni Ottanta si potesse diventare <<professore associato» grazie ad assunzioni ope legis ha generato le più gravi patologie nel sistema universitario italiano: docenti più vecchi rispetto a quelli degli altri paesi, giovani che faticano ad emergere, conseguente precarizzazione del lavoro. Per carità, Brunetta ce l’avrebbe fatta senz’altro lo stesso ad emergere nel mondo dell’accademia.

Le personalità di cui è stato consigliere (Craxi, Amato, Ciampi, Berlusconi) e i riconoscimenti ottenuti (tra questi il Premio Saint Vincent, il Premio Tarantelli, il Premio Scanno e, da ultimo, il Premio Internazionale Rodolfo Valentino) sembrano star lì a testimoniarlo. La sua norma ammazza precari, probabilmente, serve al paese. Di fatto, con quel testo, Brunetta mette tornelli insormontabili proprio dove lui stesso è passato mostrando il tesserino. Al pari dei curatori degli orti botanici.