Diga del Montedoglio. Alcune riflessioni
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La prima garanzia ci viene dall’altissima professionalità di chi quella diga progettò e ne seguì’ i lavori di costruzione, il professor Filippo Arredi, Umbro di Trevi, una delle menti più lucide che l’ingegneria idraulica ha avuto nel secolo scorso; un luminare che con il suo studio di ingegneria ha progettato e costruito dighe nei siti più difficili del nostro pianeta. Altra sicurezza ci viene dai tecnici e dalle maestranze che quel complesso costruirono, anche qui, importante gruppo che aveva ed ha maturato esperienze nella costruzione di dighe in mezzo mondo. Allora si dirà perché è accaduto? Probabilmente in ogni cosa che viene dall’uomo c’è sempre l’imponderabile che talvolta si mette di mezzo, ed è su questo, e solo su questo che dobbiamo tutti riflettere senza inutili e dannosi allarmismi. Ne è il caso, come qualcuno abituato ad urlare sempre al lupo al lupo ha fatto, di evocare il Vajont, disastro immane, verificatosi per ben altre questioni. Vigilanza qualificata, manutenzione attenta, prevenzione, sono gli elementi cardine per far funzionare con efficienza e sicurezza complessi di tal genere, complessi comunque dotati, come lo è Montedoglio, dei più sofisticati mezzi di monitoraggio e di allarme. Altro elemento da non trascurare è la pienezza di poteri, di funzioni e di funzionamento di chi è deputato a gestire strutture di tale portata ed importanza. Di fatto, Montedoglio, insieme al lago del Chiascio in fase ormai di completamento, rappresentano la messa in sicurezza da future crisi idriche, e purtroppo ce ne saranno, dell’Umbria e della Toscana e, forse, non solo. Essi potranno sopperire alle necessità irrigue di vasti territori, alle necessità idriche di città e paesi, e, non ultimo produrre energia elettrica pulita che di questi tempi direi che non guasta.

Pertanto coraggio amministratori e sindaci, ripariamo i lievi danni al manufatto che hanno procurato si allarme, ma di fatto non più di una normale piena. Ed agli allarmisti di professione vorrei porre due domande: se non si fosse costruita la diga in questi trenta anni quante piene e quanti allagamenti si sarebbero verificati? quanti danni avremmo avuto?.non solo, negli anni di lunga siccità, se la diga non avesse garantito il necessario deflusso di acqua che fine avrebbe fatto la fauna ittica del Tevere?
Non solo per queste ultime considerazioni, ma per tutte le questioni che investono un bene unico e prezioso come il “BENE ACQUA”, va reso omaggio alla lungimiranza politica di uomini come l’on Amintore Fanfani.


Montedoglio. La storia (Da: http://www.sansepolcroliceo.it/Tevere/storia%20diga.htm) 

L’idea di creare una diga a Montedoglio nasce negli anni sessanta come risultato di una serie di studi effettuati da esperti dell’Ente Autonomo per la Bonifica, l’Irrigazione e la Valorizzazione Fondiaria nelle provincie di Arezzo, Perugia, Siena e Terni, che dal 1991 è denominato “Ente Irriguo Umbro-Toscano”. Il progetto doveva rappresentare la soluzione del “Piano Generale Irriguo per l’Italia Centrale”, prevedendo un complesso sistema di dighe, gallerie, laghetti e canali da realizzare per uno sviluppo moderno dell’agricoltura nei terreni di pianura e di dolce collina appartenenti ai bacini superiori del Tevere e dell’Arno nelle provincie di Arezzo, Perugia, Siena e Terni. Il progetto irriguo è sorto soprattutto con lo scopo di incrementare e valorizzare la produzione agricola assicurando continuità di approvvigionamento idrico per fare fronte alle ricorrenti siccità estive, coinvolgendo migliaia di aziende agricole in opere di ristrutturazione fondiaria avvalendosi di fondi disposti dalla CEE e dallo Stato Italiano anche tramite le Regioni. Anche se solo in parte, per gli insufficienti finanziamenti, l’Ente Irriguo ha realizzato alcune opere di rimboschimento, viabilità interpoderale, ed aziendale, impianti irrigui. Quindi alla principale finalità di utilizzo agricolo, si è aggiunto poi negli anni l’esigenza di gestire l’uso delle acque degli invasi anche per scopi civili, industriali, ambientali ed energetici.

L’invaso di Montedoglio, che costituisce sicuramente un’opera imponente di ingegneria idraulica, si sviluppa dalla stretta della collina di Montedoglio per una lunghezza di circa sette chilometri e mezzo fino ad estendersi nelle valli del Singerna e del Tignana, rispettivamente in destra e sinistra idrografica per tre chilometri, coprendo una superficie di oltre 800 ettari. Oltre la diga principale è stato necessario anche costruire uno sbarramento secondario a S. Pietro in Villa dove la strada statale 3 bis che porta a Pieve S. Stefano si trova, per un tratto, ad una quota di alcuni metri sotto il livello di massimo invaso. Il progetto del serbatoio di Montedoglio fu redatto nel 1971 dal Prof. Filippo Arredi e dall’Ing. Ugo Ravaglioli; i lavori di costruzione della diga e del primo tronco di derivazione, iniziati nel 1977 si sono protratti fino al 1993.

Nel 1990, ottenuta l’autorizzazione dal Servizio Nazionale Dighe, sono iniziate le operazioni sperimentali di invaso che hanno permesso un accumulo annuale di poco più di 10 milioni di mc. di acqua. Grazie a ciò è stato possibile iniziare i primi programmi di restituzione al fiume, indispensabili non solo per le sue esigenze biologiche ma anche per quelle agricole. 

L’invaso dovrebbe avere un bacino idrografico di Kmq 302,7 (comprendendovi anche l’attiguo bacino del Sovara ) e, a regime, il volume totale di acqua contenuta dovrebbe raggiungere il valore di circa 145 milioni di metri cubi rappresentando così una delle più grandi opere del genere in Europa. Il progetto del Prof. Arredi, una volta definito, mirava a risolvere l’annoso problema della irrigazione della Valdichiana tosco-umbra con l’utilizzo delle acque di Montedoglio impinguate da quelle del Sovara, integrando il sistema della Valtiberina (risolto nella sua parte alta, Sansepolcro e Città di Castello dall’invaso di Montedoglio e in seguito dall’invaso nel Singerna) con altri bacini sul fiume Chiascio a Valfabbrica e sul Torrente Carpina a Montone. Storicamente il progetto Arredi ha dei precursori nei progetti Cassi e Pasquali, tesi a risolvere il problema irriguo della Valdichiana aretina, senese e delle zone agricole perugine del lago Trasimeno. Il progetto Cassi aveva infatti indicato nell’attingimento del Lago Trasimeno, arricchito con altri apporti, la soluzione del problema; nel primitivo disegno Pasquali che risale al dopoguerra, invece si era pensato di impinguare con le acque del Tevere il Trasimeno, facendone un bacino di raccolta di tutte le acque per l’irrigazione dell’intera Valdichiana e delle vallate contermini. Data la grave crisi idrica del Trasimeno che rischia la sua sopravvivenza, è stata ventilata di recente la possibilità di realizzare un’adduzione di acque da Montedoglio al lago per evitarne il prosciugamento: insomma, ora che l’invaso di, Montedoglio c’è, basta aspettare per vederne tutte le possibili utilizzazioni, previste o, almeno per ora, impreviste.