Riabilitato Paolo Cirino Pomicino
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Prosegua.
«Beh, dopo tanti anni, ho deciso di chiedere al Tribunale di sorveglianza di Roma un’ordinanza di riabilitazione» .

Che, sarebbe?

«Diciamo così: a una persona condannata si restituisce, formalmente, la sua preziosa onorabilità».

Quali sono i requisiti per ottenere un simile riconoscimento?

«Sostanzialmente è stata decisiva la mia “buona condotta”, sia da deputato europeo, dal 2004 al 2006, sia da parlamentare italiano, dal 2006 al 2008. Poi ha certo influito la mia attività di politologo e…».

E però lei quei reati per cui fu condannato li commise, onorevole.
«Allora: io credo che, in quanto uomo politico, fosse mio dovere fornire questo attestato di nuova onorabilità ai cittadini italiani. E tenga conto che sono l’unico, credo, ad aver chiesto questo genere di attestato: mentre, come lei saprà, per la tangente Enimont fummo condannati in tanti, da Bossi a Martelli, da Forlani a De Michelis, ad Altissimo, a La Malfa… Detto ciò, penso anche che, all’epoca, avrei avuto diritto a conoscere la mia sorte giudiziaria rapidamente, mentre…».

Onorevole, mentre cosa?

«Fui sottoposto a 42 processi. Due condanne e 40 assoluzioni. Ma con il cuore che avevo…».

Lei era…

«Io ero gravemente malato. Ricordo che nel 1997, dopo il secondo infarto, Antonio Di Pietro… sì, proprio lui, venne a trovarmi all’ospedale Gemelli di Roma. Credo venne perché i medici mi avevano dato tre ore di vita… Comunque fu divertente: dopo avermi chiesto come mi sentissi, cominciò infatti a parlarmi subito male di Berlusconi. Allora io gli risposi che era figlio suo, era figlio del pool di Milano, non certo il mio…».

Poi lei subì un trapianto di cuore.

«A Londra. È il buon Dio che ha voluto concedere al vecchio democristiano, qual è il sottoscritto, la possibilità di recuperare la sua onorabilità e di ammettere i propri errori».

Li sta ammettendo ora?

«Sì, lo faccio con lei, qui, sul Corriere: io, all’epoca, sbagliai. Avrei dovuto denunciare al Parlamento i contributi, i soldi che io e la mia corrente prendevamo dalla famiglia Ferruzzi. Quei finanziamenti li prendevano tutti, è vero. Però io non feci niente per combattere quel tragico giro di denaro».

A cosa serviva quel denaro?

«Ci finanziavamo campagne elettorali, congressi… Era sbagliato. Ma…».

Ma?

«Guardi: a noi quei soldi, piaccia o no, servivano per fare politica. Punto e basta. E la politica era finalizzata, a seconda delle ideologie, al bene del Paese. Se lo ricorda il potere di uno come Andreotti? Ebbene, era un potere che egli esercitava in funzione della Dicì. E come lui, tutti gli altri: da Forlani a Gava…».

Lei sta pensando a qualcuno.

«Penso a Berlusconi, va bene. Penso al veleno che il Cavaliere ha iniettato nelle vene della politica italiana, che è diventata una faccenda misera e personale, privata, tra il re e i suoi cortigiani».

(Paolo Cirino Pomicino, 72 anni, da Napoli, fu uno dei grandi capi della Dc. Temuto. Riverito. Due volte ministro. Il più eccentrico tra gli andreottiani. Il regista Paolo Sorrentino, nel film «Il Divo», in una memorabile scena, lo immagina preda d’uno slancio di pura eccitazione da potere e gli fa concludere la sua corsa sul pavimento liscio del Transatlantico con una scivolata infantile: che lui, Pomicino, ha però smentito sia mai accaduta nella realtà).

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