Aldebrano Micheli. Prefazione a un libro sui marò della Enrica Lexie
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In occasione della chiusura dei procedimenti giudiziari a carico dei nostri fucilieri di Marina da parte della Suprema Corte indiana pubblichiamo una prefazione che il nostro compianto amico, il Generale Aldebrano Micheli, aveva preparato per un libro scritto da un collega ammiraglio.

Il caso Enrica Lexie (Pubblicato su Intervento, n. 2 2021)

Il collega della Marina Militare Gulminelli, fattivo collaboratore di questo libro che non esito a definire straordinariamente certosino per la descrizione dei fatti successi, suffragata dal riferimento a leggi nazionali ed internazionali, inquadrata in indagini tecniche, ed avvalorata da ipotesi suggestive ancorché verosimili di teorie balistiche, mi  ha  pregato di  scrivere la  prefazione di  quest’opera pregevole per il lavoro intenso ed appassionato che ha richiesto nel tentativo di fare piena luce sulla vicenda dei due Fucilieri di Marina, Girone e La Torre, coinvolti in un episodio in cui, a seguito di impiego di armi da fuoco, si sono avute delle vittime.

Confesso che non me la sentivo di farlo in quanto, malgrado abbia servito la Patria per quarant’anni con indosso una uniforme dell’Italico Esercito e quindi abituato ad avere a che fare con situazioni complicate e spesso dicotomiche, stando alle informazioni acquisibili dalla stampa e dai telegiornali nel merito, non ero riuscito a capirci niente! Comunque, vista l’insistenza del collega, ci provo.

Non intendo fare la cronologia della vicenda, chiunque ,se interessato, la trova nella rete; dirò quello che pensavo, sentendo e leggendo le cronache relative all’accaduto; man mano che passavano i giorni e si avevano notizie mi facevo domande tipo:

le armi in dotazione ai Marò erano le classiche in dotazione alle FF.AA. Italiane e cioè fucili d’assalto Beretta mod. 70/90 e mitragliatrice leggera FN Minimi, entrambe in calibro NATO 5,56 x 45 il cui tiro utile è di 300 metri; conseguentemente con i binocoli avrebbero dovuto agevolmente vedere se a bordo del peschereccio c’erano delle armi e quindi dedurre che potevasi trattare di un tentativo di abbordaggio, ergo qualche raffica sparata in acqua per avvertimento ci stava bene; del resto, che interesse avrebbero avuto i militari italiani a sparare se non avessero avuto almeno il dubbio che potevasi trattare di un atto di pirateria?

come mai i fucilieri non disponevano di un’attrezzatura atta a riprendere le immagini del fatto?

la petroliera su cui erano imbarcati, al momento dell’incidente, si trovava in acque internazionali o nazionali? In tempi dove i satelliti riescono a leggere le bugiardine dei medicinali come è possibile che ci  sia questo dubbio? Leggendo i giornali scopro che si trovava nella “zona contigua” cioè non a 33 miglia dalla costa ma entro le 24 miglia dove tutti possono fare tutto e nessuno può fare niente!?!?!

come mai ci sono tre ore di differenza tra le comunicazioni ufficiali e l’avvenimento?

la nave, una bestia lunga 244 metri, da oltre 100.000 tonnellate, è alta 42 metri, il peschereccio St. Antony a confronto, è un protozoo, come è possibile che i proiettili sparati dai Marò si siano conficcati nella “tuga” di questa imbarcazione con traiettoria dal basso verso l’alto?

parlando sempre di proiettili  sembra  che  il  “cerusico” che  ha  praticato  l’autopsia  sui  due sventurati pescatori, senza che ci fosse stata la presenza del collega o del rappresentante della controparte, si sia divertito a descriverli secondo le dimensioni (evidentemente ne masticava poco di  calibri) dalle quali emergeva che trattavasi di proiettili calibro 7,62 x 54R alti  32,5 mm attribuibili,  con  elevata  probabilità,  ad  armi  automatiche  PKM  di  costruzione  sovietica, largamente diffuse nei paesi dell’est e comunque non paragonabili ai 5,56 in dotazione ai Marò;

come, e soprattutto perché si è verificato l’affondamento del peschereccio fermo in banchina?!

Fin qui le questioni tecniche, che, se ci si mette d’impegno, senza faziosità, sono spiegabili; ma adesso vengono i dubbi di carattere politico/diplomatico/giudiziario che conferiscono alla vicenda un sapore kafkiano:

ce lo ricordiamo l’incidente del Cermis dove due stolti piloti americani, per gioco, tranciarono con la deriva del loro costoso oggetto volante il cavo portante di una teleferica causando la morte di 20 persone? A parte il fatto che dopo 16 anni i parenti delle vittime non hanno una risposta, nessuno, dei governi italiani succedutesi in questo lungo tempo, è stato capace di chiedere spiegazioni, né, men che mai, di azzardare una richiesta di risarcimento. Quei due cretini, in virtù del concetto di IMMUNITA’ FUNZIONALE, (lo stesso riconosciuto al militare USA dal grilletto facile che uccise il Dott. Calipari) sono stati giudicati nel loro paese e si sono beccati un sonoro buffetto sulla guancia  con il severissimo monito di stare un po’ più attento la prossima volta! E che vi aspettavate che il governo americano radiasse e mettesse in galera due piloti, ancorché bambinoni irresponsabili, dopo quello  che sono costati per formarli? E chi se ne frega se hanno ammazzato 20 insignificanti europei; perché il concetto di cui sopra non vale, o non è stato fatto valere, per i militari Italiani?

perché non si è dato corso agli adempimenti previsti dalle leggi del mare nel caso in questione e cioè: l’inchiesta sommaria e quella formale (previste dal codice della navigazione), l’inchiesta di  sicurezza  (prevista  dalla  normativa  discendente  dalle  direttive  dell’Unione  europea), le inchieste sommaria e formale (previste dal Decreto del Presidente della Repubblica 6 aprile 2005, n. 83) l’inchiesta per infortuni sul lavoro (prevista dalla normativa antinfortunistica) e ultima ma non meno importante l’inchiesta dello Stato di bandiera (prevista dalla Convenzione di Montego Bay – UNCLOS – recepita dalla Legge 2 dicembre 1994 n. 689);

ad un certo punto, nelle diatribe interne al sistema giudiziario indiano, tra la corte del Kerala e Nuova Delhi spunta una proposta dove emerge che sarebbe stata la Enrica Lexie ad attaccare, cioè il pirata era la nave italiana;

in quattro anni gli indiani non sono riusciti a formulare un capo di accusa, che significa? Che non ci sono prove per farlo! E allora?

perché l’ONU e l’UE non sono intervenuti? Evidentemente non era di loro interesse!

Allora la vicenda si è trascinata per la solita incapacità, inadeguatezza, indecisione, impreparazione, inettitudine, dappocaggine, imperizia, superficialità, dilettantismo, faciloneria del nostro Corpo Diplomatico e del Ministero della Difesa; mi sarei aspettato che il Capo di Stato maggiore della Marina insieme al Capo di stato Maggiore della Difesa si fossero recati dal Ministro della Difesa ed avessero preteso l’applicazione della immunità funzionale, in caso di rifiuto da parte degli indiani avessero tentato un blitz per riportare i Marò in Patria come fanno i militari degni di tale nome, e in caso di rifiuto del Ministro gli avessero sbattuto in faccia il berretto ed avessero dato le dimissioni. Questo significa avere palle; ma dove stanno i Tesei ed i Durand De La Penne, i Borg Pisani, i Todaro, I Fecia di Cossato, i Ferretti ecc.

Poi la vexata quaestio si è allargata a fatti decisamente squallidi, tipo presunte tangenti pagate dagli indiani ad una azienda italiana per la fornitura di elicotteri, come se volessero rivalersi sui marò del denaro scucito.

Nel succedersi degli eventi , nel bailamme di personaggi politici e diplomatici italiani, svetta la figura  di  Staffan  di  Mistura  per  una  mistura,  appunto,  di  idiozia,  incapacità, confusione, ignoranza! Ben quattro ministri degli esteri, quattro presidenti del consiglio e quattro ministri della difesa e due presidenti della Repubblica si sono succeduti sui relativi scranni e nessuno ha concluso una beata ceppa, Terzi almeno si è dimesso, ha dimostrato di avere un po’ di dignità.

Orbene, il libro di da una risposta a tutti questi quesiti cito, un esempio su tutti, la motivazione, molto convincente, dei fori di proiettile sul peschereccio, con traiettoria dal basso verso l’alto, secondo l’autore trattasi di rimbalzi dei proiettili sull’acqua e, a prova di ciò, riportano le ragioni scientifiche del fenomeno, dovuto principalmente alla velocità ed all’angolo di impatto.

La questione del calibro diverso non è stata mai acclarata definitivamente ma verrà spiegata scientificamente nel testo in cui si dimostrerà che il proiettile deformato è proprio calibro 5,56.

Proseguendo nella lettura ci si rende conto dell’immane lavoro che ha richiesto la stesura di questo libro che, di fatto, è un documento prezioso basato su uno studio approfondito degli aspetti tecnici e giuridici di una vicenda che, se non ci fosse stato il solito pressapochismo ed appecoronamento delle nostre autorità, si sarebbe risolto in un paio di settimane.