Perchè rifare la Democrazia Cristiana?
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(Pubblicato in: La Discussione. Novembre 2005)

De Unamuno ripudiava nel 1937, nella sua “Agonia del cristianesimo”, la denominazione di Democrazia Cristiana, osservando che Cristo non ha mai preteso dettare norme per il reggimento civile delle società umane.
Suo malgrado, dalla coincidenza di questi due grandi filoni ideali sono sorti, fino dalla rivoluzione francese, le dottrine cristiano sociale e democratico cristiana, e proprio da questa ultima nacque quel partito, la Democrazia Cristiana, che ha guidato per 50 anni il nostro paese verso lo sviluppo, certo tra alti e bassi, ma sempre con successo, ai primi posti al mondo, senza mai essere sconfitta democraticamente.
Rifondare adesso la DC è possibile e finanche indispensabile, a condizione che si ammetta il fallimento dell’UDC, che ha mancato il suo principale obiettivo, la riunione in una casa politica comune dei democratici cristiani e di centro, mettendo i propri seguaci a margine della storia, riducendo a semplice espressione verbale le reminiscenze ideologiche e le passioni, che si sono andate spegnendo per opera dei suoi dirigenti.
Il partitino UDC, una miniscissione dopo l’altra, ha clamorosamente mancato di realizzare quel progetto, sottinteso dal suo stesso nome, né ha mai rappresentato un polo di attrazione per i democristiani della Margherita e dell’UDEUR di Mastella. Dopo avere neutralizzato le componenti ex CDU e DE e, perché no, anche molti recalcitranti ex CCD, la Segreteria Nazionale dell’UDC, in una sorta di conventio ad escludendum, ha marciato sicura verso l’eliminazione di ogni forma di democrazia interna, sancita da ben due congressi nazionali, noiosissimi, nei quali il Segretario è stato eletto per acclamazione. Non oso immaginare cosa accada nelle riunioni del Consiglio Nazionale.
Quindi qualcuno ha pensato bene di rifondare una nuova Democrazia Cristiana, si un’altra, circa la tredicesima, ognuna con qualche piccola differenza nel nome. Per avere successo occorrono alcuni elementi fondamentali, primo fra tutti il possesso del simbolo scudo crociato e, va da se, la partecipazione del legittimo proprietario, una organizzazione democratica della vita di partito, come ha evidenziato l’On. Pomicino in un articolo pubblicato di recente su Il Giornale, una scelta di campo chiara, che per la stessa natura dei democratici cristiani non potrà che essere nel centro destra.
L’unico aspetto che io credo non debba preoccupare i padri rifondatori è quello dei contenuti programmatici, tanto sono ancora e più che mai attuali i valori della DC, professati con successo, e anche con qualche distorsione, fino al golpe di Tangentopoli, sintetizzabili in tre punti principali: libertà, solidarietà e mercato. Ritengo che proprio sul principio di libertà occorra approfondire quella negazione del rapporto di interdipendenza, evidenziato da Benedetto Croce, tra libertà spirituale e politica da una parte ed economica dall’altra, con il fine di mitigare le profonde ingiustizie sociali che si vanno generando proprio per la distorta interpretazione in economia, che a livello mondiale va sotto i nomi di neoliberismo, new economy, ecc.
I benefici della liberalizzazione del commercio, se a essa non si accompagnano misure che consentano la creazione di nuove imprese e nuovi posti di lavoro diventano altamente discutibili. I programmi di privatizzazione hanno avuto spesso effetti negativi, specie sui poveri. Hanno portato a privatizzare monopoli senza regolamentazione, e questi monopoli, benché hanno potuto dimostrarsi più efficienti nella produzione, si sono dimostrati perversi strumenti di sfruttamento dei consumatori; i prezzi sono di fatto aumentati.
Forse una Democrazia Cristiana così può essere l’unico organismo politico in grado di traghettare una parte del centro destra, appunto quella veramente di centro, una parte della Margherita e l’UDEUR, verso la costituente della sezione italiana del Partito Popolare Europeo.
La DC che immagino deve riuscire là dove l’UDC ha fallito, deve saper richiamare a casa i democratici cristiani che non si identificano nei programmi neoconservatori, in quelli neoliberisti o in quelli neoriformisti, coloro che rifiutano ogni forma di nazionalismo ma sono fermamente convinti della ineluttabile attualità di quel principio ispiratore europeistico degasperiano e sturziano che ha avuto un ruolo così importante nella riunificazione dei popoli europei, che si erano sempre combattuti fino alla seconda guerra mondiale.
La DC deve affermare quei principi di stato sociale sostenibile e di economia di mercato regolata che i nostri padri avevano introdotto non perché erano buoni, fessi o spendaccioni, bensì perché sapevano che era l’unico modo per non farsi scoppiare in faccia, prima o poi, un sistema basato su profonde disuguaglianze, che per sua natura sarebbe stato destinato a generare conflitti sociali.
L’idea thatcheriana secondo cui il miglior modo per aiutare i poveri è aiutare i ricchi a moltiplicare il denaro, perché qualcosa finirà in tasca anche ai poveri per sgocciolamento (il famoso trickle down di reaganiana memoria), sta facendo i suo tempo, facciamoci trovare pronti, oppure i nostri figli guarderanno a questo periodo con lo stesso metro di giudizio che noi abbiamo dovuto usare nei confronti dei fallimenti delle economie pianificate di stampo sovietico.

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