Terni. I mutamenti socio economici nel comprensorio
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(Pubblicato in: Indagini, n. 80/2000)

Mutamenti demografici e sociali
Nel periodo che va dal 1861 al 1991 la provincia di Temi ha avuto un fortissimo aumento della popolazione, dalle 102.553 unità del 1861 alle 223.050 del 1991 (Cfr. ISTAT, Sommario di statistiche sulla popolazione. Anni 1951 – 1987, Roma 1990; ISTAT, 13° censimento generale della popolazione 1991, Temi, 1993) (il 27.5% della popolazione dell’Umbria). L’incremento è stato continuo fino al 1961, anno a partire dal quale si è verificato un decremento dello 0.8% fino al 1971. Dal 1971 al 1981 si ha un nuovo incremento, con un massimo assoluto per l’ultimo anno. Le dinamiche demografiche sembrano seguire in una certa misura e con un certo scarto temporale quelle dell’industrializzazione e delle crisi che questo comparto vive.
Ai ridimensionamenti occupazionali della fine degli anni cinquanta segue una diminuzione di quasi duemila residenti registrata fra il 1961 e il 1971, la flessione si verifica ancora, a partire dai primi anni ottanta, a seguito della crisi mondiale dell’industria siderurgica che si manifesta nel temano con un sostanziale blocco del turn over e con il contemporaneo massiccio ricorso allo strumento del prepensionamento. La popolazione residente al 31 dicembre 1997 nella provincia era pari a 223.316 unità. Contemporaneamente alla flessione del numero di occupati si è avuto un aumento degli addetti agli altri settori, particolarmente il terziario.
A partire dal 1961 si palesa con un forte scarto numerico l’abbandono del settore agricolo, a favore sopra tutto di quello industriale. Nel ’71 e nell’81 l’abbandono si conferma con una discesa che fa registrare una percentuale di occupati di solo il 5.5%. Dall’81 inizia il declino dell’occupazione nell’industria che si manifesterà con maggiore decisione negli anni successivi, fino a far dichiarare alcuni comuni della provincia “area a declino industriale” .

Lo sviluppo industriale
Il settore industriale della provincia di Temi ha goduto i benefici di una importante tradizione ed ha pagato lo scotto di una sostanziale tendenza negativa di lungo periodo, frutto di una più complessiva crisi mondiale dei suoi settori di punta. Sintomi di importanti sofferenze si sono andati manifestando fin dagli anni settanta, dopo un decennio che aveva visto Terni attestarsi ad un tasso di sviluppo del 18.1%, superiore alla media nazionale, del 17.9%, anche se inferiore al tasso di crescita dell’Umbria, pari al 36.6%. Lo sviluppo della provincia di Temi e, più in particolare del comprensorio temano, è dovuto quasi esclusivamente alle industrie metallurgiche, seguite, con un considerevole scarto, dalle attività meccaniche. Nello stesso periodo, 1961 – 1971, la provincia di Perugia andava registrando un forte sviluppo del settore tessile e dell’abbigliamento, che contemporaneamente subiva un importante regresso occupazionale nella provincia di Temi, insieme al settore della chimica e delle fibre sintetiche. All’inizio degli anni settanta si registrava la presenza di poche grandi aziende, con un peso relativo sempre maggiore per le metallurgiche e chimiche, ed un inadeguato livello di piccole e medie imprese, inadeguato per numero e qualità, nonostante le elevate potenzialità. In quel decennio si manifestò una nuova crisi dei grandi complessi, anche se negli anni settanta la chimica e la metallurgia restarono i settori trainanti per l’aumento del prodotto lordo. Quest’ultimo procedette con incrementi sempre più piccoli e inferiori al valore medio regionale, si passò dal +2.1% del 1973-75 al +0.9% del 1975-77 fino al valore negativo del -1.7% del triennio 1977-80. Nel 1980 il tessuto della piccola e media industria si concentrava nel settore meccanico, con un -9.5% di occupati, su questa percentuale negativa avevano inciso particolarmente i settori del mobile, dei poligrafici e del tessile. La crisi colpì particolarmente i comuni di Stroncone e Temi. Il saldo positivo tra aziende cessate e quelle sorte nell’ultimo triennio degli anni settanta non trova analogo riscontro numerico nel saldo negativo in termini di addetti, indicatore, quest’ultimo, di un processo di frammentazione dei processi produttivi in unità di dimensioni sempre più piccole. Di fatto si andava preparando la grande crisi industriale che avrebbe pesantemente colpito la provincia e in particolare i comprensori di Temi, Narni e Amelia negli anni ottanta, crisi a cui la piccola e media impresa non ha saputo o potuto porre riparo. Uno studio. del CESTRES del 1982 pose in evidenza quelli che allora sembrarono i motivi di questa impotenza (Piccola e media industria, caratteristiche strutturali nei comprensori temano e narnese amerino, CE.ST.R.E.S. Temi .1982. Studio per conto di Proter e Sviluppumbria.). Il principale ostacolo allo sviluppo di questo “nuovo” tessuto produttivo venne individuato nel maggior costo del lavoro in questa area, rispetto ai territori limitrofi, a causa degli alti livelli salariali indotti dalla dominante presenza di grandi industrie. L’elevato costo del lavoro imponeva alle piccole e medie imprese ternane uno sviluppo indirizzato verso attività ad alto valore aggiunto e ad alta specializzazione. Tra la fine degli anni settanta e !’inizio degli anni ottanta si manifesta il fenomeno della nascita di imprese piccole e piccolissime, spesso frutto dell’investimento dei proventi delle indennità di prepensionamento corrisposte dalle grandi aziende ternane al fine di ridurre gli elevati livelli occupazionali. Queste piccole realtà nella maggior parte dei casi nascevano con il fine di garantire ai figli dei “prepensionati” quel posto di lavoro cui la grande fabbrica sembrava non essere più in grado di provvedere. Purtroppo queste nuove imprese nascevano, nella grande maggioranza dei casi, senza una adeguata pianificazione o una indagine di mercato, spesso si apriva un negozio o una manifattura solo perché un amico o un parente aveva avuto successo praticando una attività analoga.
In quel periodo la città di Temi non era neppure in grado di offrire un adeguato ventaglio di servizi alle imprese, fattore questo che tuttavia, come pare dimostrato dall’intero sistema europeo, non sembra influire in maniera determinante sulla nascita di nuove imprese. Esistono invece consistenti differenze nella mortalità delle imprese tra le aree a differente disponibilità di servizi alle imprese. Uno studio realizzato in Germania sulle imprese con meno di dieci anni di età mostra come la presenza o la assenza di una adeguata pianificazione iniziale dell’attività dell’azienda incide fortemente e per molti successivi periodi sulla dimensione dei volumi fatturati (Ibidem. Cfr., Domenico Perino,’ p. 207 e seg.).
Nei primi anni di attività le imprese che non hanno preparato un piano economico e non hanno pianificato la propria attività per obbiettivi e strumenti per raggiungerli si trovano spesso a fronteggiare ostacoli imprevisti. La percentuale di cessazioni delle neo imprese nei primi cinque anni e dell’80%. Verso la seconda metà degli anni ottanta si comincia a formare, presso gli imprenditori e i manager ternani, la coscienza della indispensabilità di una buona pianificazione delle attività imprenditoriali, nasciture e in esercizio. Si ebbe un aumento sensibile della domanda di informazione e formazione, rivolta agli enti pubblici, i quali, largamente impreparati, si trovarono a dover repentinamente adeguare i programmi e la qualità del giovane sistema formativo alle esigenze produttive dell’area.

La formazione professionale
In
quel momento la situazione era sostanzialmente quella che era stata esaurientemente documentata da una ricerca del CE.ST.R.E.S. all’inizio degli anni ottanta (Cfr. Formazione e occupazione. Una ricerca nei comprensori Temano e Amerino Narnese. Studio condotto per conto di : Amministrazioni Comunali di Temi e Narni, Amministrazione Provinciale di Temi, ANCIFAP, Società Temi.). Il 39,6% degli utenti di corsi di formazione professionale giudicò le strutture inesistenti o inadeguate, il 37,1% giudicò insufficiente la preparazione pratica. In quella fase, quasi pionieristica, non si ebbe una vera e propria formazione mirata alle imprese, la quasi totalità dei corsisti era rappresentata da persone in cerca di prima occupazione (la consistenza odierna non si di sconta troppo da quel dato), la maggior parte del campione analizzato era composta da giovani e giovanissimi, il 42% aveva un’età compresa tra i 15 e 25 anni, la presenza di adulti e anziani era dovuta esclusivamente ai corsi dedicati al settore agricolo. Solo 1’8,7% degli intervistati affermò che il corso poteva essere utile per collocarsi nel lavoro. Gli stessi responsabili degli enti gestori dei corsi denunciavano il problema della cristallizzazione dei programmi con una formazione che già in quella fase andava sempre di più distaccandosi dalle reali necessità delle aziende che utilizzavano tecnologie più avanzate. La grande industria andava sollecitando nuovi corsi al fine di preparare personale specializzato nei vari settori produttivi. Le necessità della piccola e media impresa si rivelavano ben diverse non avendo queste necessità di personale altamente specializzato, anzi molto versatile ed in grado di ricoprire, all’occorrenza, una pluralità di mansioni. Proprio queste ultime sembravano assorbire una quota dei ragazzi che uscivano dai corsi stessi. Gli enti gestori dei corsi destinati al settore terziario denunciavano come principale carenza una inadeguatezza dei fondi che non consentiva di acquisire gli strumenti idonei allo svolgimento di una buona preparazione. Di fatto negli anni in cui !’impiego del computer si andava affermando con decisione in ogni settore si preparavano ancora numerosissimi corsi per dattilografo e pochi per operatore terminalista. Negli anni successivi questo ultimo tipo di corso è stato sempre più frequentemente proposto, spesso caratterizzandosi per pressappochismo e scarsità di dotazione tecnica per corsista. Nella citata ricerca del CE.ST.R.E.S. furono individuati alcuni strumenti per perseguire l’obbiettivo del miglioramento del sistema della formazione che risultano ancora oggi straordinariamente attuali (Ibidem. p. 44 e seg.). In primo luogo fu notata una sostanziale disinformazione dei giovani e, ancora di più delle imprese, circa !’importanza della formazione e della riqualificazione professionale degli operatori, come conseguenza si registrava una resistenza verso questo sistema che poteva essere vinta solo a condizione che alla domanda di formazione fosse data una risposta di reale qualità, realmente professionalizzante. Il corpo docente non era risultato sempre all’altezza delle necessità formati ve, di qui la necessità di promuovere un sistema permanente di formazione ai formatori, attraverso corsi di aggiornamento preparati Con il concorso delle più qualificate sedi culturali, quali università, istituti di ricerca e organismi di programmazione economica e sociale. Si è evidenziata la necessità di privilegiare forme di interazione tra formazione e scuola da una parte e lavoro dall’altra, come del resto era già previsto dalla legge quadro n. 845 del 1978 (art. 5). Spesso non trova una adeguata risposta proprio la necessità di corsi intensivi di breve durata, con stage aziendali, al fine di dare risposte tempestive ad esigenze di specifiche conoscenze tecniche e tecnologiche, specialmente in materia di software e processi produttivi. Sicuramente a tutt’oggi il funzionamento del sistema regionale di osservatorio sul mercato del lavoro e delle professioni ed il sistema informativo regionale per la programmazione economica non sono in grado di dare risposte adeguate con buon grado di flessibilità temporale e territoriale, come previsto dagli articoli 13, 12 e 21 della L. R. 69/81. Queste strutture costituiscono riferimenti indispensabili per le attività di programmazione e di orientamento, specialmente per la popolazione giove che ha la necessità di orientare il proprio impegno formativo in un ambiente per essi largamente sconosciuto. Il settore dell’agricoltura merita una riflessione particolare, tenuto conto della frammentarietà dei corsi messi a disposizione e della precari età del corpo docente e delle strutture. Il settore è sottoposto ad una continua necessità di adeguamento, conseguenza dei costanti mutamenti legislativi e del divario di fatto esistente tra il nostro paese e gli altri partner europei, verso i quali occorre recuperare competitività. Sicuramente il venire meno dei Consorzi Agrari ha reso più difficile fornire efficientemente questo tipo di formazione.

Servizi alle piccole e medie imprese
Circa ii sistema dei servizi messi a disposizione delle piccole e medie imprese, i dati relativi ad una ricerca svolta dall’Unione Nazionale delle Camere di Commercio nel 1987, sembrano essere sostanzialmente validi ancora oggi. Contrariamente ad ogni più rosea aspettativa le imprese agricole sembrano essere le più sensibili alla fornitura di servizi alla loro attività, non bisogna tuttavia trascurare il fatto che questo è nella nostra regione e nella provincia di Temi un comparto che dimostra una certa vitalità e una notevole attenzione verso le innovazioni. Il 51,5% di esse utilizza correntemente servizi di promozione e commercializzazione e di informazione, per il 39,4%. Le imprese industriali richiedono principalmente informazione (37,8%), assistenza all’export (32,3%) e di consulenza generica (25%). I servizi che le imprese ritengono vadano migliorati sono principalmente quelli legati alla promozione della commercializzazione (31,5%), assistenza all’export (18,2%) e incentivi finanziari (16,3%). Il 63,7% delle imprese ritiene che la Camera di Commercio dovrebbe farsi carico dei servizi orientati all’innovazione nelle aziende locali. Risulta, infatti, aumentata la domanda di profili professionali di alto livello con buona capacità di iniziativa e di adattabilità ai processi innovativi. Ora, mentre le grandi imprese hanno la possibilità di effettuare grandi investimenti nella qualificazione della risorsa umana, le piccole imprese di sovente non hanno trovato adeguata risposta alle proprie necessità, dovendosi così adattare, quasi passivamente, alle logiche di mercato. Sotto questo punto di vista la risposta degli organi pubblici è stata parziale e inadeguatamente pubblicizzata. Il progetto Assefor “Servizio Nuove Imprese”, delle Camere di Commercio, fornisce tutta una serie di indicazioni nei confronti di una domanda assai diversificata di servizi generata dalla voglia di imprenditorialità che coinvolge, ormai da oltre un decennio soggetti tra loro molto diversi, come lavoratori dipendenti, operai specializzati, professionisti, dirigenti e giovani in cerca di occupazione. Il servizio si incentra su alcuni punti essenziali quali:
– analisi dell’attitudine all’imprenditorialità – elementi per la scelta della forma giuridica
– procedure per la creazione d’impresa, con individuazione dei tempi necessari per ogni singola operazione
– elementi per la valutazione del fabbisogno finanziario e prime indicazioni per la prima gestione economico-finanziaria dell’impresa
– elementi di marketing
– individuazione delle agevolazioni finanziarie per l’avvio
– analisi della legislazione regionale a favore dell’imprenditorialità giovanile.
Tuttavia questa attività di “job creation” non ha dato, almeno per quanto riguarda il comprensorio ternano e la sua provincia, risposte neanche lontanamente adeguate alla domanda di occupazione e di creazione di nuove imprese. La struttura del BIC con il suo incubatore non è riuscita finora a realizzare quella grande rinascita industriale, per la quale era stata creata, le imprese che sono fino ad ora state avviate attraverso la sua attività sono quasi esclusivamente realtà a basso o bassissimo contenuto tecnologico. Non saranno infatti realtà come lavanderie, manifatture di bomboniere e piccoli laboratori di elaborazione dati che saranno in grado di risollevare i livelli economici ed occupazionali della nostra provincia.
Il settore agroalimentare nazionale e umbro, per ovvi motivi, merita tutta una serie di considerazioni a se in quanto occorre senz’altro tenere conto delle connessioni esistenti tra ambiente, agricoltura e industria. L’attività agricola incorpora in se tutta una serie di funzioni che, pur non essendo essenziali per la sua esistenza, hanno, come non mai in passato, una notevole valenza. Di alcune di queste peculiarità si tende ormai a non avere più alcuna considerazione, prima fra tutte la funzione di controllo e regolazione del territorio, un tempo sicuramente occupato in maniera più diffusa e puntuale dalle piccole e piccolissime organizzazioni rurali. Allo stesso tempo possono dare una adeguata risposta all’esigenza, sempre più diffusa, di maggiori garanzie di qualità dei prodotti. L’ente pubblico ha sicuramente fallito nella realizzazione di un programma di interventi finalizzati all’integrazione tra industria e processi agricoli, per la soddisfazione della domanda di mercato e per contenere le cause di inquinamento ambientale. Le innovazioni tecnologiche nel settore dei prodotti di sintesi impiegati nei processi agricoli tardano a vedere una diffusione sistematica ed estensiva, pure in presenza di una adeguata legislazione comunitaria, che il nostro paese tende storicamente a recepire con un certo ritardo e “all’italiana”, cioè lasciando ad arte ampie maglie attraverso le quali può passare qualsiasi cosa.
L’economia del comprensorio ternano, seppure orientata da una tradizione relativamente recente sull’industria, può trovare nuovi spazi nel processo evolutivo che l’agricoltura comunitaria e anche umbra stanno vivendo. Ormai da molti anni la Regione Umbria ha posto tra i suoi obiettivi fondamentali il rafforzamento del tessuto imprenditoriale dell’agricoltura, attraverso il potenziamento dei servizi alle imprese stesse. La legge regionale n° 41/1983 assegnava all’ESAU la programmazione e la gestione delle attività di assistenza tecnica, divulgazione, ricerca e sperimentazione in agricoltura. L’elemento che avrebbe dovuto caratterizzare questo servizio di sviluppo agricolo avrebbe dovuto essere quello della funzione di collegamento tra ricerca e imprese agricole. Gli enti di ricerca avrebbero dovuto raccogliere la domanda di innovazione originata dagli imprenditori agricoli per trasferirla agli istituti di ricerca delle università o del CNR. Questi ultimi avrebbero comunicato i risultati della sperimentazione all’ESAU che li avrebbe messi a disposizione delle imprese agricole attraverso i servizi di sviluppo. Il risultato più visibile di questo sforzo di progettazione e stato la creazione del Parco Tecnologico Agro-Alimentare, una struttura tecnico-operativo a gestione mista tra pubblico e privato, con il compito di valutare e diffondere il progresso tecnico nel sistema agroindustriale, nel rispetto dell’ambiente e delle esigenze della produzione. Di fatto tuttavia tutte queste megastrutture di ricerca e assistenza, pur svolgendo i propri compiti istituzionali egregiamente, sembrano essere ancora troppo lontane dalle piccole e medie realtà produttive, veri vasi di compensazione nei momenti di congiuntura occupazionale e fonti di integrazione del reddito familiare. Basti tenere conto che nel comprensorio temano la superficie media aziendale è di 6,77 ha e che la superficie agricola utile media è di 3,23 ha per realizzare che ci si trova di fronte a una miriade di piccole e a volte piccolissime entità che si trovano a dover affrontare ogni giorno una quantità di problemi anche molto elementari. Spesso, per questi piccoli imprenditori, marketing e programmazione sono vocaboli ignoti di un gergo tecnico troppo lontano dalla loro preparazione. Per contro i principali filoni di ricerca su cui si sono concentrati gli enti pubblici volano verso tematiche alte, pure necessarie, quali: le biotecnologie per lo sviluppo e la difesa delle piante, il controllo del ciclo di qualità delle materie prime e l’introduzione di tecnologie leggere nell’industria agroalimentare, la valorizzazione delle aree interne e la valutazione degli effetti dell’innovazione sull’ambiente. L’esigenza a cui occorre fare fronte rapidamente è rappresentata dall’introduzione di elementi di efficienza di gestione, in grado di orientare l’organizzazione della produzione sulla base delle esigenze di mercato. Gli agricoltori devono essere messi in condizione di saper introdurre innovazioni di processo in tempi brevi, hanno bisogno di informazioni e delle conoscenze necessarie per utilizzarle in modo semplice e coordinato. In sintesi il settore pubblico dovrebbe mettere a disposizione infrastrutture e servizi che possano essere utilizzati dagli operatori in modo diretto e continuo, non per nulla le aree agricole nel cui comprensorio è stato creato un sistema di monitoraggio, i cui dati siano disponibili in rete tramite un SIT, sono le più sviluppate. L’operatore pubblico può opportunamente cogliere la domanda di servizi alle imprese attraverso un attento studio del territorio in cui le imprese stesse ricadono per mezzo di un attento studio di:
– disponibilità di risorse naturali; – indicatori socioeconomici della popolazione presente;
– conoscenze tecniche degli imprenditori agricoli;
– caratteri strutturali delle aziende agrarie;
– infrastrutture e servizi presenti sul territorio;
– domanda del mercato locale e possibilità di ampliamento in rapporto ad aree limitrofe;
– presenza di cooperative, industrie di trasformazione ed agroalimentari e di industrie fornitrici di mezzi tecnici.
L’Ente di Sviluppo Agricolo fornisce, ormai da molti anni, servizi di consulenza agli agricoltori seguendo, quanto più possibile i punti sopra elencati. In particolare, nel comprensorio temano l’azione tecnica è stata rivolta principalmente a:
– perfezionare le tecniche colturali dei cereali, delle colture da rinnovo e delle colture foraggiere;
– riconvertire la forma di allevamento e migliorare le tecniche di coltivazione dell’olivo;
– razionalizzare le tecniche di allevamento delle specie zootecniche presenti;
– introdurre nuove tecniche di lotta fitopatologica per il contenimento dell’uso di sostanze chimiche;
– razionalizzare l’uso dell’acqua irrigua;
– introdurre lo strumento della contabilità e il controllo di gestione;
– informare sulle possibilità di realizzazione di piani di miglioramento aziendale attraverso i contributi previsti dalla legislazione comunitaria, nazionale e regionale;
– valorizzazione dei prodotti agricoli locali per soddisfare la domanda di mercato.
La Comunità Montana “Valle del Nera e Monte S. Pancrazio” fornisce servizi orientati prevalentemente alla forestazione, all’agricoltura e all’ambiente. Tra i compiti che questo ente si è dati:
– recupero e valorizzazione di specie vegetali autoctone;
– bonifica di torrenti e fiumi, azione che purtroppo viene realizzata stravolgendo e spesso cementificando gli alvei, con conseguenti danni al patrimonio, spesso anche irreversibili;
– risanamento di aree abbandonate;
– monitoraggio ambientale (in merito non conosce alcun tipo di dato validato);
– difesa biologica delle piante coltivate;
– agriturismo.
Purtroppo data la scarsa produttività efficace e il basso contenuto innovativo dell’opera di questo tipo di enti, essi vengono spesso percepiti come baracconi il cui scopo principale è quello di rappresentare una occasione di occupazione per tecnici e operai addetti. Di fatto il futuro delle imprese agro alimentari è sempre più legato alla capacità di introdurre capillarmente nei processi elementi di forte innovazione tecnica e qualitativa. Questa sarà l’unica possibilità per il settore, se non vorrà, nei prossimi anni, vedere diminuire drasticamente il numero di addetti e il numero delle imprese. Il reddito dipenderà sempre di più dalle capacità autonome dell’impresa di aumentare la propria redditività e sempre di meno dagli strumenti comunitari e statali di sostegno al reddito, anche e soprattutto in vista di una crescente globalizzazione del mercato, che si va estendendo ben oltre i confini nazionali e comunitari.

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