Geppino Micheletti (Michelstaedter), l’eroe di Pola.
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(Danilo Stentella, 2019)

Geppino era nato a Trieste il 18 luglio 1905, si trasferì a Pola con la famiglia nel 1930, dopo aver ottenuto la laurea in medicina a Perugia e la specializzazione in chirurgia a Padova. Il 18 agosto 1946 il dottor Geppino Micheletti stava lavorando presso l’ospedale Santorio Santorio di Pola[1] mentre sulla spiaggia di Vergarolla, si preparava una manifestazione sportiva che contribuiva anche a una parvenza di normalità, la gara di nuoto Coppa Scarioni, organizzata dalla società dei canottieri Pietas Julia. [1] Era costituito dalle sezioni ospedaliere propriamente dette e dal reparto psichiatrico, entrambi riuniti sotto un’unica gestione amministrativa.

Il quotidiano L’Arena di Pola aveva dato la notizia dell’evento enfatizzandone l’orgoglio italiano. Alle 14.10 una fortissima esplosione scosse tutta la città, qualcosa era scoppiato a Vergarolla, ventotto mine di profondità che giacevano sulla spiaggia disinnescate, in quelle condizioni al massimo avrebbero potuto provocare una grande fiammata, ma qualcuno aveva piazzato dei detonatori per fare una strage di italiani, furono circa 70 morti, con un grande numero di feriti. Fu un gesto intimidatorio, oltre che vile, che spinse il 92% della popolazione, tanti erano gli italiani, a lasciare Pola, che nell’inverno del 1947 si era ormai trasformata in una città fantasma, con un decimo dei suoi residenti, circa 4000 sui 40.000 del 1940 (R. Marsetic, 2015).

Tra gli esuli c’era anche Sergio Endrigo, che ricordò quel doloroso distacco con il brano 1947, e le parole “come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà”.

I figli del dottor Micheletti, Carlo e Renzo, quella mattina dovevano trovarsi proprio a Vergarolla, insieme alla sorella, al cognato e alla nipotina. Il figlio Carlo giunse poco dopo l’esplosione all’ospedale, senza vita. Geppino Micheletti, nonostante lo straziante dolore, rimase al suo posto e al suo dovere, per oltre 48 ore, senza sosta. I corpi del figlio Renzo, della sorella, del cognato e della nipotina, che si trovavano a ridosso degli ordigni furono disintegrati, del figlio Renzo fu rinvenuta soltanto una scarpetta.

Geppino Micheletti, rimase a Pola sino al 31 marzo 1947, la Croce Rossa lo aveva dichiarato indispensabile, coordinò l’evacuazione di tutti i malati ricoverati nell’ospedale quando il trattato di pace del 10 febbraio 1947 concesse anche la capitale dell’Istria alla Jugoslavia di Tito.

Il 2 ottobre del 1947 lo Stato italiano gli conferì una medaglia d’argento, … d’argento, e un posto di primario nel piccolo ospedale del paese umbro di Narni, dove lavorò per quattordici anni, seppure in un ambiente ostile, in quanto il Comune era governato da giunte di sinistra, allora istigatrici di odio verso gli esuli istriani, e particolarmente nei confronti di un esule eccellente come lui. Il lavoro e la dedizione verso i malati lo sorressero in questo ambiente sfavorevole e ottuso, tipico di quegli anni, nel quale dovette subire persino l’aggressione da parte di un medico comunista suo collaboratore subalterno.

Micheletti visse il suo impegno di medico a Narni con grande dedizione, i suoi collaboratori raccontavano che spesso raggiungeva l’ospedale anche di notte, quando dalla sua casa in via Caterina Ferrucci vedendone alcune luci accese intuiva che poteva esserci bisogno del suo intervento. Continuò ad esercitare con efficacia la chirurgia anche dopo che una radiodermite aveva imposto l’amputazione di alcune dita di entrambe le mani. Tanti narnesi e tanti ternani lo ricordano ancora.

Si racconta che quando operava portava sempre nella tasca del suo camice il calzino del figlio Renzo.

Morì l’8 dicembre del 1961, all’età di 56 anni per un attacco cardiaco, dimenticato da quel paese di Narni per il quale aveva profuso ogni sforzo di medico, ma sicuramente era morto dentro molti anni prima, quella mattina del 18 agosto 1946, quando vigliacchi terroristi, pensando di agire come dei veri militari, avevano ucciso barbaramente insieme ai suoi due figli tanti cittadini di Pola.

L’Unità, quotidiano del PCI, il 21 agosto 1946 titolò “Gli anglo americani responsabili della strage di Pola”, riferendo che il vescovo di Pola avrebbe “stigmatizzato con roventi parole le autorità angloamericane, che presidiano la zona, chiamandole responsabili della tragedia per non aver rimosso le mine dalla spiaggia, dove erano state gettate dalla marea, per non averle disinnescate dopo averle lasciate sulla spiaggia”. La tesi del quotidiano fu che si fosse trattato di una disgrazia, colpa dell’incuria degli angloamericani.

La storia

Negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale i territori sul confine orientale italiano furono oggetto di una disputa tra italiani e slavi.

Fig. 1 I confini orientali italiani dal 1937 ad oggi. In rosso la Linea Morgan, che divise la regione in Zona A e Zona B in attesa delle decisioni delle trattative di pace.

Fig. 2 Pola nel 1946: la città è all’interno della Zona A della Linea Morgan

Il 13 settembre 1943 il Comitato Popolare di Liberazione dell’Istria, composto da croati e italiani della regione proclamò a Pisino l’annessione della regione alla Croazia, proclamazione confermata pochi giorni dopo dal Zemaljsko antifašističko vijeće narodnog oslobođenja Hrvatske, il Consiglio territoriale antifascista di liberazione nazionale della Croazia, e il 30 novembre dal Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia. Ad Aidussina un’assemblea popolare slovena proclamò l’annessione militare del litorale di Gorizia, la costa fino a Grado, Trieste e l’Istria nord occidentale, zone prontamente occupate dall’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia. Nel giugno del 1945 questi territori furono divisi in due zone, classificate A e B, separate dalla Linea Morgan, la A amministrata dagli angloamericani, la B dagli iugoslavi. La città di Pola fu stata inclusa nella zona A, circondata dal territorio della zona B.

Il 10 febbraio 1947 a Parigi il Presidente del Consiglio della Repubblica italiana Alcide De Gasperi firmò il trattato di pace che tra gli altri provvedimenti toglieva definitivamente all’Italia gran parte dell’Istria, Zara in Dalmazia, la città di Fiume e le isole quarnerine di Cherso e Lussino. Il 10 novembre 1975 a Osimo il Ministro degli Esteri Mariano Rumor firmò il trattato che cedette la parte settentrionale dell’Istria, ancora contesa, la zona B.

Gli esuli di quelle terre furono accolti dal Governo italiano in 109 campi dislocati in tutte le regioni, in condizioni spesso miserrime.

Bibliografia:

AA. VV., Dall’impero austro-ungarico alle foibe, 2009;

Franco Catalano, L’Italia dalla dittatura alla democrazia 1919/1948, Milano, 1970;

Raul Marsetic, L’Ospedale provinciale (Santorio Santorio) di Pola durante l’Amministrazione italiana (1918-1947), in Quaderni del Centro di Ricerche Storiche Rovigno, vol. XXVI, 2015.

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Citazioni:

“Micheletti medico ed eroe di Vergarolla” in Centro di Documentazione Multimediale della Cultura giuliana istriana fiumana dalmata https://www.arcipelagoadriatico.it/micheletti-medico-ed-eroe-di-vergarolla/)